Annie Ernaux e la letteratura come luogo di emancipazione - di Marcella Conese

Oltre 140.000 hanno marciato, il 16 ottobre a Parigi, protestando contro l’inflazione, il carovita, i salari bassi e l’immobilismo sul cambiamento climatico.

Una grande manifestazione, poco raccontata dai media italiani, organizzata dal NUPES (l’alleanza dei partiti di sinistra) e che Jean-Luc Mélenchon, leader di France Insoumise (LFI), ha definito “la marcia della gente che ha fame, che ha freddo, che vuole essere pagata meglio”.

Accanto a Mélenchon, alla testa del corteo, Annie Ernaux, premio Nobel per la letteratura 2022, una delle voci più autorevoli della letteratura mondiale.

In occasione della cerimonia di consegna del Nobel, lo scorso 10 dicembre, con voce emozionata ma ferma, ha pronunciato un discorso limpido, che è una dichiarazione sul valore politico della letteratura: “Pensavo orgogliosamente e ingenuamente che scrivere dei libri, diventare, scrittore, al termine di una stirpe di contadini senza terra, di operai e di piccoli commercianti, di gente disprezzata per i loro modi, il loro accento, la loro ignoranza, sarebbe bastato a riparare l’ingiustizia sociale della nascita. Che una vittoria individuale potesse cancellare secoli di dominazione e povertà”.

“Guarda le luci, amore mio” è un libro di meno di 100 pagine, nel quale la Ernaux osserva, annota e racconta i gesti ordinari e ripetitivi del fare la spesa e ne trae un’analisi della società moderna.

La descrizione dello stupore degli abitanti di Kosice, mentre percorrono le corsie del primo ipermercato della città, inaugurato dopo la caduta del regime comunista, mi ricorda la prima volta che ho tentato di fare la spesa in un enorme ipermercato, a Milano…...impresa eroica, per me che sono nata e vivo in una piccola provincia del sud Italia.
Non sono riuscita a riempire il carrello, rapita dalla quantità di prodotti che mi circondavano, dalla vastità del luogo e oppressa dalla frustrazione di avere poca dimestichezza con le procedure self service.

La voglia di guardare tutto quello che gli scaffali offrivano, la sensazione di girovagare in territori sconosciuti, mi aveva travolto, generando dentro di me bisogni che prima non mi appartenevano e curiosità per tutto quello che avevo attorno, merci e persone.

Il centro commerciale è luogo frequentato da una gran varietà di individui, differenti per cultura, origine, reddito, età, e poiché questa molteplicità ha bisogno di fare la spesa, c’è bisogno di una quantità immensa di merci diverse, per soddisfare molteplici bisogni.

Guardando nei carrelli altrui, possiamo avere un’idea del modo di essere e di vivere degli altri, perché il carrello rivela inequivocabilmente il tenore di vita del cliente, per cui servirsi senza guardare il prezzo del prodotto misura la ricchezza, così come, rinunciare ad acquistare, misura la povertà.

Il centro commerciale è luogo dello sfruttamento del lavoro (chi ci lavora è povero) ed anche il luogo in cui si vende merce a basso costo, prodotta sfruttando altrettanta manodopera.

In una società che si è progressivamente impoverita, a tutti fa comodo comprare una maglietta a 7€ e non importa se è stata prodotta, per esempio, in Bangladesh da minorenni ridotti in condizioni di schiavitù. 

Il viavai della gente fa sentire in compagnia chi è solo e chi è triste può trovare consolazione nell’appagamento dei propri desideri.

Dentro la galleria, il meteo è dato insignificante e prescinde dalle stagioni: cambiano gli allestimenti e le merci, ma non la temperatura.

Nonne e mamme provano a resistere ai capricci di figli e nipoti, ma alla fine cedono alle richieste compulsive e pressanti, perché nella società dei consumi, “amare i bambini significa comprar loro più cose possibili”.

Un intreccio di vite e di bisogni, riuniti in un unico luogo, che non ha mai avuto dignità letteraria, forse perché, come spiega la Ernaux “ciò che non ha valore nella vita, non ne ha nemmeno in letteratura”.

Fare la spesa rientra nello spettro delle attività prevalentemente femminili, che, nella società capitalista, devono restare invisibili, anche se sono essenziali e funzionali alla struttura del sistema.

Solo un Premio Nobel può avere la capacità di prendere un’azione banale come fare la spesa e renderla un’indagine sociologica, che svela a tutti noi meccanismi e contraddizioni sociali che sono sotto gli occhi di tutti senza che nessuno riesca a vederle. 


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