Prima di spegnere la luce ci si preoccupi di spegnere la guerra - di Giacinto Botti

Il 5 novembre una grande manifestazione di massa attorno a parole d’ordine molto chiare: cessate il fuoco subito, negoziato per la Pace. L’appello di convocazione della “Rete italiana Pace e Disarmo condanna l’invasione russa e chiede la messa al bando delle armi nucleari, contro l’aumento delle spese militari; ha raccolto l’adesione di centinaia di associazioni, sindacati, partiti, movimenti. La CGIL, tra i promotori della mobilitazione, è stata protagonista forte delle posizioni assunte contro l’invasione, il sostegno alla Pace, al negoziato, contro l’invio delle armi e l’aumento delle spese militari.

Ci riconosciamo nell’appello della mobilitazione e lo sosteniamo, anche se vi mancano la denuncia delle responsabilità degli Usa, della Nato e della Ue sul conflitto. Bisogna esprimere con altrettanta forza la solidarietà verso il popolo russofono del Donbass per anni perseguitato dai governi ucraini e per chi in Russia diserta la chiamata alle armi rischiando il carcere e senza trovare asilo nei paesi europei. Va ribadita la contrarietà all’invio delle armi da parte dell’Italia, come la CGIL ha fatto dal primo giorno.

L’Italia ripudi la guerra nel rispetto della Costituzione antifascista e l’Europa: prima di spegnere la luce e ridurre il riscaldamento, si preoccupi di spegnere la guerra.

E’ in atto un suicidio collettivo della civiltà umana perpetrato dalle potenze imperialistiche. La guerra aumenta i profitti di pochi e riduce in miseria milioni di persone, procurando sofferenza, distruzione, odio e orrori. Non ci sono i crimini di guerra, diceva Gino Strada, è la guerra stessa ad essere un crimine contro l’umanità. Violenze, stupri, barbarie contro civili, donne e bambini sono perpetrati in ogni guerra, giustificata dal pretesto odioso di esportare democrazia e “civiltà”. Il giornalista Julian Assange viene perseguitato, nel silenzio generale, per aver reso pubblici i crimini compiuti dagli Usa in Afghanistan e Iraq.

Siamo in un’economia di guerra, nel quadro di una pericolosa escalation segnata da uno scontro geopolitico tra imperialismi, per accaparrarsi fette di mercato, risorse energetiche e materie prime, e per ridisegnare il sistema mondiale. Il congresso del partito comunista cinese ci riguarda, e ci dice che un mondo di Pace e di convivenza tra nazioni non potrà mai essere unilaterale ad egemonia economica e culturale occidentale, ma multipolare.

Le conseguenze della guerra sono recessione e inflazione, carenza di energia e di materie prime, aumento delle bollette e dei prezzi dei generi alimentari e di ogni prodotto, possibili chiusure di attività produttive, licenziamenti, un impoverimento generale. Avremo conseguenze globali e tragiche in tutta Europa. La crisi colpirà in modo diverso il vivere quotidiano di milioni di persone, in questo mondo ingiusto e diseguale.

Stiamo in piazza, conoscendo aggressore e aggredito, non equidistanti, ma solidali con il popolo ucraino, ma non ipocritamente piegati a una lettura mistificante che attribuisce la responsabilità di questa tragica follia solo all’autocrate, allo zar Putin. Siamo stanchi della retorica dei bellicisti senza etica che offendono i pacifisti bollandoli come vigliacchi, disertori e complici di Putin. Basta! Il popolo ucraino ha tanti falsi amici interessati a che la guerra prosegua sino a una vittoria militare che non ci sarà: sul campo resteranno solo la distruzione di una nazione e il massacro del suo popolo. Dalla fine del secolo passato, la politica degli Usa punta a sottrarre l’Ucraina all’influenza russa e questo sbocco catastrofico non è un imprevisto. Questa non è una guerra tra Russia e Ucraina ma tra imperi, tra la Russia di Putin e l’America di Biden, con un’Europa succube della Nato e senza ruolo politico di mediazione, destinata a pagare il prezzo più alto. Una guerra mondiale con l’uso di armi atomiche è una reale possibilità: le 15 testate nucleari depositate nelle basi militari di Aviano e Ghedi sono pronte per essere utilizzate su ordine Nato.

Il governo Draghi rimane, dalla nascita della Repubblica, il più bellicista e supino alle scelte della Nato e alla politica imperialista degli Usa. In un biennio, l’Italia ha speso circa 29 miliardi per i nuovi sistemi d’arma e approvato 20 programmi per il riarmo. Le multinazionali come Leonardo, Fincantieri, il gruppo Exor degli Agnelli ringraziano di questi copiosi investimenti, di quel 2% del Pil di aumento (14 miliardi) delle spese militari, deciso dal governo Draghi e approvato in Parlamento.

Il ministro della guerra Guerini, poche settimane fa, propugnava la sola via militare in Ucraina e teorizzava e il riarmo come unico deterrente per prevenire i conflitti, rivendicando la scelta di aumentare la spesa militare per “modernizzare” le forze armate e proseguire nella costruzione di forti capacità militari comuni in Europa. È lo stesso ministro che - prima che il suo partito in campagna elettorale attaccasse il “pericoloso” nazionalista Orban - si vantava dell’accordo economico, militare e industriale realizzato con l’Ungheria, che tra l’altro prevedeva la collaborazione e l’addestramento delle truppe!

Queste posizioni belliciste non sono in sintonia con il popolo della Pace, con la maggioranza degli italiani. Non lo sono neppure con il Papa che denuncia l’aumento delle spese militari e la guerra come una follia, e che ha stigmatizzato le responsabilità della Russia come dell’Occidente e della Nato, senza equidistanza. Una Nato che non è un sistema di deterrenza delle guerre ma il suo contrario, come dimostrano i conflitti in ex Jugoslavia, in Iraq, in Libia, in Afghanistan.

Verificheremo nel voto in Parlamento sull’invio di nuove armi la coerenza dei partiti e dei deputati che partecipano e parteciperanno alle manifestazioni per la pace.

Da questa crisi di sistema vogliamo uscire da sinistra, con un’altra visione e un altro progetto di Paese, impedendo che a pagare siano ancora i più poveri, il mondo del lavoro, le giovani generazioni. In piazza per la Pace, per fermare l’invio delle armi, per la riduzione delle spese militari e la riconversione civile delle fabbriche di armi e di mezzi militari, per un mondo multipolare all’insegna della coesione pacifica, fuori dagli unilateralismi euroatlantici, da illusorie superiorità della cultura e della democrazia occidentali e da rinascenti nazionalismi che affondano le radici negli imperi novecenteschi. Siamo e saremo in piazza perché siamo donne e uomini della sinistra, pacifisti e militanti della CGIL.