Il delegato non deve sentirsi solo. Deve essere un protagonista - di Debora Tubito

Se dovessi immaginare “il sindacato che vorrei”, desidererei – come delegata sindacale – che nei prossimi mesi e anni il ruolo del delegato all’interno del sindacato fosse rivisto. Mi piacerebbe che il suo ruolo fosse valorizzato di più, che fosse preso in considerazione con maggiore convinzione, che fosse coinvolto maggiormente nelle attività sindacali e decisionali che si svolgono all’interno della struttura. Vorrei che non fosse semplicemente un attore passivo di questa grande, importante organizzazione, ma che avesse un ruolo attivo.

Il delegato non deve essere considerato, come spesso accade, un esecutore, un postino che recapita ai lavoratori le decisioni o le comunicazioni della struttura, ma vorrei che fosse coinvolto in ogni fase dell’attività sindacale per acquisire una maggiore sicurezza e padronanza di tutto quello che ruota intorno al mondo del lavoro, politica compresa. Questo gli permetterebbe di essere visto dai colleghi di lavoro come un punto di riferimento autorevole e competente e di sentirsi parte attiva dell’organizzazione.

La CGIL dovrebbe investire maggiormente nel delegato sindacale, perché una pedina fondamentale nell’avvicinare la strutta nuovamente ai posti di lavoro. Vanno bene la formazione, i seminari, i vari direttivi, ma l’aspetto più importante, per me, sarebbe il coinvolgimento concreto e quotidiano del delegato nell’attività sindacale che avviene in struttura. Il delegato deve sentire la struttura come una seconda casa e non come una macchina burocratica complessa, fredda e irraggiungibile. Il delegato deve “fondersi” con la struttura, deve diventare un unicum con essa.

A volte capita che nei posti di lavoro ci si senta soli e se questo sentimento pervade il cuore e la mente di un delegato, figuriamoci come il lavoratore possa percepire la nostra organizzazione: c’è da lavorare tanto – e tutti insieme – affinché questo non succeda o si protragga.

La CGIL ha una storia di 130 anni e spero che la sua vita si ancora lunghissima, ma dal 2012 ad oggi la CGIL ha perso 400.000 iscritti e questo è un segnale da non sottovalutare. Chi non è iscritto, e anche quelli che hanno dato disdetta, ci stanno dicendo forse che stiamo andando nella direzione sbagliata o che comunque non facciamo abbastanza oppure che stiano sprecando tante risorse economiche ed intellettuali per cose che non sono al centro dei problemi della vita dei lavoratori.

Dobbiamo ritornare in modo semplice, senza tanti “virtuosismi” intellettuali, nella vita quotidiana dei lavoratori iniziando dalle piccole cose. Secondo me, quello che fa la differenza tra il tesseramento cinicamente interessato – e per questo non duraturo – e il tesseramento duraturo e sentito, che va oltre gli scenari politici e sociali che a volte sono ostili al sindacato, è la relazione che si crea tra il delegato e i lavoratori. Per questo la struttura dovrebbe scrollarsi di dosso quella rigidità burocratica che ha a volte per umanizzarsi di più e tornare con umiltà a mescolarsi con i lavoratori e i cittadini.

La CGIL dovrebbe puntare sul non far sentire sole le persone, ma farle sentire parte di una grande famiglia. Infatti, se non vogliamo diventare un sindacato dei servizi, e vogliamo ritornare ad avere un grande ruolo nella società, dobbiamo sforzarci tutti insieme con la concretezza, la quotidianità, la costanza, l’entusiasmo, la vicinanza per neutralizzare il cinismo e l’individualismo imperanti in questa società, così come l’assenza di una politica di qualità, la disgregazione di ogni valore di solidarietà e fratellanza.

Confido nell’esperienza storica e nei grandi valori della CGIL per riuscire, tutti insieme, a costruire un nuovo equilibrio che dia la giusta importanza ai delegati per riportare una nuova linfa vitale, creativa e moderna alla struttura, per permettergli di costruire un percorso “rosso” fatto di relazioni umane.


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