Per fare un albero ci vuole un fiore, un governo il 51% - di Frida Nacinovich

Ma siamo sicuri che la colpa dell’attuale, ingarbugliatissimo scenario politico sia della legge elettorale? Esiste per caso un meccanismo di voto capace di superare il tripolarismo uscito dalle urne il 4 marzo scorso, regalando la maggioranza o al Movimento cinque stelle (32,3%), o alla cosiddetta coalizione di centrodestra (37% circa)?

In teoria ci sarebbe il doppio turno alla francese, ma la Corte costituzionale, bocciando buona parte dell’italicum, ha cancellato anche il ballottaggio fra le due forze politiche più votate. Ancora non sappiano se anche il rosatellum sarà archiviato dalla Consulta. Per certo lo strano mix proporzionale-maggioritario dell’attuale legge elettorale ha permesso di cantar vittoria ai Cinque stelle, primo partito del paese, ma anche ai tre tenori del centrodestra. Soprattutto al leghista Matteo Salvini, che con il suo 17% si propone come l’erede designato dell’anziano Silvio Berlusconi. In teoria il 51% dei parlamentari necessario per governare è un obiettivo possibile per la strana coppia Luigi Di Maio, Matteo Salvini.

In realtà la Lega senza Forza Italia (e Fratelli d’Italia) ha preso meno voti dello sballottato Pd di oggi, e anche volendo correre in proprio - vanificando il sogno di succedere al Cavaliere - non potrebbe ugualmente regalare ai Cinque stelle il governo del paese. Questo breve riassunto dello stato delle cose spiega - per quanto possibile chiaramente - perché la formazione del nuovo governo tardi tanto ad arrivare. Certo, se il Pd avesse accettato le offerte pentastellate, dando per scontato che alla compagnia si sarebbe aggiunta anche la Leu di Pietro Grasso e Pierluigi Bersani, una maggioranza parlamentare ci sarebbe stata. Ma ormai questa ipotesi è finita in archivio, per decisione non solo di Matteo Renzi, ma anche della quasi totalità del gruppo dirigente democrat.

A ben vedere il quadro emerso dalle elezioni politiche di marzo è più una somma di debolezze che di forze. Debolezze che derivano dalla presunta diversità del M5S, diventata oggi un’offerta a destra e a manca pur di arrivare a palazzo Chigi. Come diceva un antico proverbio medioevale: o Franza o Spagna, basta che se magna.

Un’analoga debolezza mina alla radice la pur strombazzata vittoria leghista. Per il semplice motivo che gli ex paladini padani, da soli, non sono né la prima né la seconda forza parlamentare. Quanto al Pd, è quasi inutile infierire su un partito che negli ultimi quattro anni ha perso sistematicamente ogni appuntamento elettorale. Referendum compreso. Passando ai programmi, la quasi certezza che dalle urne sarebbe uscito uno stallo, ha fatto sì che in campagna elettorale tutte le forze politiche abbiano fatto a gara a chi le sparava più grosse. Confidando nella ben nota smemoratezza degli italiani, che casomai non sono più quella brava gente di una volta: prova ne sono i proclami e i pronunciamenti contro gli immigrati, i politici, i fannulloni, contro i comunisti, i sindacalisti... e chi più ne ha più ne metta.


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