"No all'intervento militare in Libia" - di Coordinamento Nazionale Lavoro Società, Sinistra Sindacale Confederale CGIL

La dura presa di posizione di ‘Lavoro Società’ su quanto sta accadendo in Medio Oriente 

Quello che sta accadendo a livello internazionale ed europeo, le guerre, i conflitti armati ci riguarda tutti. Il terrorismo jihadista e il cinismo interessato delle grandi potenze economiche stanno utilizzando i conflitti mediorientali per un conflitto globale dalle molte facce.

Come in tutte le guerre, le prime vittime sono le popolazioni inermi sulle quali, violando tutte le regole internazionali, si consumano orribili crimini. (…)

Le stragi dei migranti, l’orrore del terrorismo non si fermano alzando vergognosi muri e barriere xenofobe, o barricandosi nei propri Stati mettendo in discussione Schengen, né si può pensare di schierare la flotta Nato a barriera contro profughi e migranti. Così si chiude ogni spiraglio per l’integrazione, così muore anche il progetto di “Stati uniti d’Europa”. Al contrario, vanno garantiti corridoi umanitari di arrivo e transito nei paesi europei e reali processi inclusivi basati su politiche attive di inserimento formativo e lavorativo.

Siamo dentro fenomeni epocali che sono la conseguenza di scelte politiche disastrose, il prodotto di interventi armati a guida Usa sciagurati giustificati come lotta contro dittature e terrorismo mentre, come sappiamo dalle guerre in Afghanistan e in Iraq, l’obiettivo è sempre quello del controllo di territori e risorse, e di un assetto geopolitico spartitorio tra le grandi potenze.
(…) L’insidia del conflitto armato tra civiltà o tra religioni si sconfigge togliendo ai terroristi e alla loro azione criminale qualsiasi sostegno culturale, economico e politico, la protezione delle petromonarchie del Golfo (finora principali alleate di USA e UE, che devono radicalmente cambiare politica nei loro confronti) e la possibilità di continuare a fare affari con il petrolio e altri traffici.

Siamo per questo contrari a un intervento militare occidentale in Libia, di cui si stanno discutendo i tempi e la “leadership”.
L’Italia deve mantenere la posizione di netta contrarietà, in coerenza con l’articolo 11 della nostra Costituzione, non cedendo alle pressioni dei vertici militari statunitensi che si stanno predisponendo per una decisa azione militare contro la quale si sono già espresse le stesse forze politiche e le tribù libiche, che hanno chiesto solo aiuti umanitari, logistici, tecnici e strumentali per combattere contro una presenza dell’Isis per ora limitata ma che deve fare i conti con la volontà dell’ISIS di estendere, con il terrorismo e la guerra asimmetrica, il campo di battaglia in tutta la umma musulmana, coinvolgendo anche l’Europa, al fine di distrarre forze dal terreno di guerra del Califfato (Siria e Irak).

I governi occidentali - Usa in testa - dimostrano purtroppo di non aver appreso nessuna lezione dai conflitti e dalle guerre permanenti in Afghanistan e Iraq e dalla “guerra civile” in Siria. L’Isis è il nemico comune di tutte le democrazie e di tutti i popoli, ma è anche il tragico risultato delle guerre dell’occidente che hanno distrutto e frammentato ulteriormente le società, prima che i regimi, lasciando situazioni politiche, economiche e sociali di estrema instabilità sulle quali hanno prosperato le milizie che usano l’estremismo religioso come collante e fattore identitario, ma sono alimentate dagli interessi contrapposti di molti degli attori della cosiddetta “coalizione” anti Isis, a partire dall’Arabia Saudita, che i governi occidentali continuano a ritenere principale alleato e con la quale l’Italia ha recentemente concluso ingenti affari con la vendita di armamenti.

L’eventuale fronte di guerra in Libia, peraltro senza nessuna legittimità internazionale, dato che non vi sono risoluzioni delle Nazione Unite, non farebbe che aggravare questo quadro e, al di là dell’obiettivo dichiarato di combattere l’Isis, lo rafforzerebbe facendogli guadagnare il consenso di tribù e popolazioni chiaramente contrarie a un intervento occidentale. E per l’Italia, ex potenza coloniale ci sono, tra l’altro, ragioni storiche, politiche e morali ancor più stringenti contro un suo intervento militare.

L’impegno e le energie della Nazioni Unite, e con esse dell’Europa e dell’Italia, devono essere rivolte a favorire nuovi equilibri basati sulla coesistenza pacifica, la non interferenza negli affari interni dei singoli paesi, basate sul diritto all’autodeterminazione e alla convivenza democratica, a partire dalla soluzione della questione palestinese. Perché non c’è reale processo di pace senza giustizia, senza un nuovo ordine politico e sociale che abbia come fattori costitutivi i valori della libertà, della democrazia e dell’autodeterminazione dei popoli, la lotta alla povertà, alla diseguaglianza e allo sfruttamento.
Roma, 18 febbraio 2016


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