L’ultima puntata della storia del Petrolchimico di Porto Torres è del 19 marzo 2025, giorno in cui l’assessore Regione Sardegna dell’Industria Emanuele Cani ha incontrato a Cagliari una rappresentanza di Eni e Versalis per un confronto sulla questione del rilancio della chimica verde nel polo industriale di Porto Torres.
A distanza di 14 anni dal giorno in cui a Palazzo Chigi il 25 maggio 2011 fu siglato il Protocollo di Intesa per la “Chimica Verde” (a Porto Torres tra Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministeri dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, del Lavoro e delle Politiche Sociali, delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, dello Sviluppo Economico, Regione Autonoma della Sardegna, Provincia di Sassari, Comuni di Alghero, Porto Torres e Sassari, ed ENI S.p.a., Novamont S.p.a., Polimeri Europa S.p.a., Syndial S.p.a., Enipower S.p.a. e CGIL, CISL, UIL, UGL, Filctem, Femca, UIL Cem, UGL Chimici, con le linee di indirizzo per il riutilizzo ai fini produttivi delle aree resesi disponibili) niente di concreto si è mai fatto.
La Sardegna è rimasta fuori dalle interlocuzioni nazionali sul tema, ma ora la riattivazione dei rapporti con Eni è fondamentale perché il polo chimico industriale del Nord Sardegna rappresenta una realtà di rilievo primario per la Regione ed è evidente la necessità di comprendere quali siano le reali prospettive di Eni, che conferma la strategicità dell’impianto di Porto Torres.
Il tavolo del 19 marzo segue quello avvenuto a Sassari lo scorso 7 marzo, che si è concluso con la firma (da parte della Presidente della Regione, Alessandra Todde, e dal T.I.P.S., Tavolo Istituzioni e Parti Sociali, ovvero i Sindaci dei Comuni di Sassari, Porto Torres e Alghero, la Provincia di Sassari e le parti sociali, Confindustria centro nord Sardegna, Consorzio industriale provinciale di Sassari, Cgil, Cisl, Uil) della “posizione condivisa” sul rilancio della chimica verde, che rimarca che è dal 25 maggio 2011 che Porto Torres attende una risposta per la riconversione industriale del suo stabilimento chimico, facendo dell’area industriale di Sassari e Porto Torres una delle sedi di sviluppo dell’economia green e circolare sulla quale si basa il rilancio del Paese, come è scritto nel protocollo sottoscritto.
È stata anche l’occasione per comunicare a Eni che la Regione Sardegna è impegnata a chiedere in tempi stretti al Governo la convocazione della “cabina di regia”, così come stabilito dal decreto legge n. 17 del 2022 (denominato “Misure urgenti per il contenimento dei costi dell’energia elettrica e del gas naturale, per lo sviluppo delle energie rinnovabili e per il rilancio delle politiche industriali”).
Il “piano condiviso” punta alla produzione di plastica biodegradabile, ovvero polimeri, additivi e lubrificanti bio (bioplastiche e biofiller) su scala industriale con produzioni di 100-120 mila tonnellate anno. La “nuova fase” prevede investimenti in qualità e valore equivalenti a quelli indicati nel 2011. Il progetto punta a risposte connesse alla filiera agricola con il coinvolgimento diretto della Regione Sardegna, anche per il tramite delle agenzie Agris, Laore, Argea e del rapporto con le università di Sassari e Cagliari con lo sviluppo del Centro Ricerche a Porto Torres. Oggi sono operativi solo due impianti: P01 per la produzione di monomeri bio da olio di girasole con 40 addetti impiegati e P02 per lubrificanti bio da acido pelargonico con 27 addetti. Il piano di impostazione degli impianti e delle produzioni prevede investimenti per 450 milioni con 217 addetti diretti e 80 nell’indotto.
Nel 1962 a Porto Torres fu avviato quel gigantesco polo industriale tra i più grandi in Italia, dalla Sir (Società italiana resine) per volontà dell’imprenditore Nino Rovelli per la produzione su larga scala di fenolo, che trasformò una cittadina sul mare che viveva di pesca e agricoltura, in una città industriale presa d’assalto da uomini per lo più provenienti da tutti i paesi del nord Sardegna e dell’Italia. In quel paese ci sono nata e ci vivo: ricordo gli autobus fino a 300 al giorno, con tutti i posti occupati, che arrivavano alle prime luci dell’alba alla portineria a mare, che si affaccia sulla spiaggia di Marinella, e scaricavano centinaia e centinaia di uomini in tuta blu, giovanissimi ragazzi che con in mano una busta con scarpe e un cambio di abbigliamento entravano in quello stabilimento per le otto ore di lavoro, lavoro sicuro e stabile. Tra quei giovani ce n’era uno appena maggiorenne, che aveva lasciato il lavoro nella edilizia privata e negli anni sarebbe cresciuto professionalmente, e avrebbe messo su famiglia con una giovanissima sarta del posto; e di lì a qualche anno sarebbe diventato mio padre.
Nel 1965 al fenolo si aggiunse la lavorazione di etilene in steam cracking per 45.000 tonnellate all’ anno e nel 1968 realizzò una raffineria di petrolio. Nel 1979, alcuni procedimenti penali a carico di Rovelli e i debiti accumulati da parte del gruppo, resero necessario il subentro di Eni alla direzione del petrolchimico con il suo programma risanamento ambientale che prevedeva la dismissione del caracking e l’inserimento delle lavorazioni di gomme e plastiche, facendo arrivare il butadiene per la produzione di polimeri, soprattutto gomme butiliche, plastiche e resine da Brindisi.
Il petrolchimico ha rappresentato il boom economico per la mia città, invasa da un benessere di cui ancora non conosceva il prezzo: l’inquinamento delle terre, delle acque e dell’aria, un prezzo che tanti hanno pagato con la vita, morendo troppo giovani di un male incurabile probabilmente connesso all’inquinamento atmosferico del petrolchimico. Porto Torres era diventata la discarica dei rifiuti inquinanti frutto della spazzatura delle lavorazioni. E oggi, a 63 anni di distanza, ha lasciato povertà, desolazione, dolore e rassegnazione, trasformando Porto Torres in Morto Torres.
La società Versalis ha deciso di procedere con la chiusura degli ultimi due impianti di cracking italiani e le conseguenti ricadute occupazionali e industriali su tutta la filiera produttiva interessano gran parte dei comparti manifatturieri, diventando un incubo che si avvera. Perché, dopo aver completato la demolizione degli impianti e dei fabbricati dismessi e proseguito con il recupero ambientale di oltre 1100 ettari, si doveva arrivare alla costruzione della centrale a biomasse, che non è mai partita. L’accordo, inoltre, prevedeva l’impiego di migliaia di lavoratori, per tornare ai livelli occupazionali precedenti, pari a 2.400 unità, ma al momento sono impiegati circa 200 maestranze, più i 100 dell’indotto, che a seguito della decisione di Versalis non hanno più futuro.
E sono proprio i lavoratori dell’indotto le vittime di questo progetto che non decolla.
Perché se è vero, e lo è, che i lavoratori diretti di Eni Versalis sono eccellenze nel mondo della chimica industriale, ricercati in tutto il mondo, che non avrebbero difficoltà a trovare ricollocazione, lo stesso non possiamo dire delle lavoratrici e i lavoratori degli appalti, delle mense, del pulimento, della vigilanza, dell’edilizia e delle manutenzioni, il cui futuro lavorativo è strettamente collegato al futuro di quel petrolchimico. Ed è per questo che il 10 marzo è stato proclamato lo sciopero con la protesta davanti ai cancelli del petrolchimico, al quale hanno partecipato i lavoratori e le lavoratrici degli appalti, con la rassegnazione negli occhi di chi conosce l’intreccio di promesse, disillusioni, sofferenze e speranze che si sono accumulati nel corso di decenni e di un futuro certamente peggiore del presente.
Ma rimane la voglia di lottare di chi non vuole e non può più essere semplice spettatore in attesa di investimenti dall’alto.