Sconfiggere la rassegnazione e ridare senso di appartenenza - di Vasco Cajarelli

Sono nato il 20 febbraio 1963. A 16 anni ho iniziato a lavorare come apprendista e mi sono iscritto alla FIOM-CGIL e alla FGCI. A venti anni sono stato eletto per la prima volta delegato per la FILCAMS-CGIL in un magazzino Coop. A 26 anni sono stato distaccato dalla CGIL e sono entrato in Confederazione. Ho ricoperto vari incarichi, tra i quali segretario regionale della SLC-CGIL, segreteria Camera del lavoro di Perugia e segreteria regionale CGIL Umbria per nove anni; e infine sono stato in segreteria della FILCAMS-CGIL di Perugia per sei anni. Sono stato da sempre un compagno della sinistra sindacale da ‘Essere sindacato’ fino a ‘Lavoro società’. Allo scioglimento del PCI avevo deciso di “rimanere nel gorgo”, come diceva Pietro Ingrao, ma poi con altri compagni, dopo poco, ho seguito, con Stefano Zuccherini ed altri compagni, Bertinotti nel passaggio dal PDS a Rifondazione comunista. Oggi, come tanti, sono un comunista senza fissa dimora.

Nel percorso della mia lunga militanza rivendico una coerenza politica fatta di spirito critico e di senso di appartenenza. La spinta che mi ha sempre caratterizzato è stata dare rappresentanza a chi vive del proprio lavoro. Ho iniziato quando la rappresentanza politica e sociale erano sovrapponibili e i lavoratori dipendenti sapevano da che parte stare. Oggi non è più così.

Anche la nostra “cara CGIL” è cambiata ed era inevitabile e necessario, ma sono del tutto validi i fondamentali valori della sua costituzione. La CGIL vive una difficoltà oggettiva e una crisi di rappresentanza grave: questo dato non si può eludere.

Lo spirito critico, sempre costruttivo, che mi ha caratterizzato in tutti questi anni di attività, oramai è vissuto come un fastidio, e ancora peggio come un disagio. Oramai si apprezza più l’obbedienza che il saper fare sindacato e lotta sociale. Ho vissuto in questi ultimi anni, insieme ai compagni che hanno scelto di riconoscersi in ‘Lavoro società’, un disagio, osteggiato in un processo di costante marginalizzazione politica e organizzativa. La scelta di andare in pensione anticipata avviene dopo un percorso lungo di contrasto da parte della Confederazione e di richiesta sistematica di uscire, non certo perché considerato inadeguato, ma perché critico verso le scelte confederali della CGIL Umbria e della Camera del Lavoro di Perugia. La scelta di andare in pensione è stata sofferta, per chi come me non ha mai inteso “fare il sindacalista” come mestiere, ma come “missione” in difesa dei lavoratori. Un giorno si dovrà pur fare un a valutazione di come si vive il “non mestiere” del sindacato e dei livelli di burocratizzazione e delle degenerazioni che hanno prodotto. La concomitanza, a poche settimane dal mio pensionamento, delle elezioni regionali, dirimenti per la situazione politica e sociale dell’Umbria, ha fatto sì che abbia scelto di dare un contributo per il “cambiamento” della politica nella nostra Regione.

La Regione Umbria era sempre stata amministrata dalla sinistra o dal centro sinistra. La destra ha governato nella legislazione precedente e si era affermata grazie anche a delle vere e proprie degenerazioni politiche che nella legislazione precedente erano emerse, sintomo di una crisi di sistema che ha riguardato l’Umbria e non solo.
Il diritto alle cure e alla salute è stato l’elemento più forte nella campagna elettorale: la difesa della sanità pubblica ha fatto in modo che molte persone abbiano chiesto un cambiamento radicale delle politiche sociali. Ho scelto di candidarsi con la lista tematica “Umbria per la sanità pubblica”, che era stata sperimentata con successo anche al Comune di Perugia quattro mesi prima. La lista ha avuto il merito di mettere al centro della campagna elettorale il tema della sanità. Il diritto alle cure e alla salute è stato l’elemento più forte nella campagna elettorale: la difesa della sanità pubblica ha fatto in modo che molte persone abbiano chiesto un cambiamento radicale delle politiche sociali. Oltre ad aver riportato 8 mila voti ha spostato l’attenzione di tutte le forze politiche sulla gestione sanità pubblica. Sono arrivato primo con quasi mille voti di preferenza. Non sono stato eletto perché la legge elettorale ha una soglia di sbarramento, che la lista non ha superato per 130 voti. Sono passate poche settimane dalla vittoria del centro sinistra in Umbria con un successo che ha avuto una valenza sul piano nazionale. Ha rappresentato una grande soddisfazione anche personale aver contribuito a questa affermazione in maniera non irrilevante.

La crisi democratica e di partecipazione ha pesato e moltissimo, se si considera che in Regione il 48% degli aventi diritto non si è recato alle urne, neppure in una condizione di grande conflittualità. Ho fatto un’esperienza molto bella sul piano umano e politico, ma ho constatato con grande difficoltà il livello di rassegnazione e solitudine che anche nella nostra regione, in particolare, i lavoratori dipendenti vivono. Ho cercato in tutti i modi di segnare una differenza nei valori e nelle prospettive in campo, per quanto la nostra lista non fosse riconducibile a partiti politici anche se era connotata fortemente a sinistra: non c’è niente di più di sinistra che la tutela della salute come bene primario. Non siamo riusciti a scalfire come sarebbe stato necessario l’assenteismo elettorale. Del resto, la crisi della democrazia è così vasta e complessa nella società per cui è impensabile che possa essere affrontata e risolta in un contesto amministrativo. Il capitalismo sta fagocitando la democrazia.


La destra in Umbria: un disastro

Il Governo regionale di destra si è caratterizzato per un’inadeguatezza totale, incapace a gestire il declino sociale ed economico della Regione. L’exploit della Lega nel 2019 aveva prodotto l’affermarsi di una classe politica che definire inadeguata è un eufemismo.

Il declino dell’Umbria è caratterizzato da un ulteriore impoverimento del PIL, per la prima volta superato dall’Abruzzo: l’Umbria in questi ultimi 5 anni ha perso 19 mila abitanti su 850.000 circa e oltre 200 giovani laureati all’anno sono dovuti andare a cercare lavoro fuori Regione.

Indubbiamente e drammaticamente, la crisi più grande che la Regione ha avuto è rappresentata dal declino del sistema della sanità pubblica.

Nel 2023 la cosiddetta “mobilità sanitaria” ha fatto sì che l’Umbria abbia corrisposto circa 32 milioni di euro alle altre Regioni, perché i nostri cittadini hanno ricorso alle cure fuori regione (fino al 2018 era il contrario): 17 mila persone sono in lista di attesa, con il privato che ha quintuplicato il fatturato negli ultimi 3 anni, in una Regione dove la sanità pubblica era un’eccellenza. (V. C.)