La Coop è ancora la “nostra” coop o è vero il contrario? - di Luca Lugli

La cooperazione rappresenta un modello di impresa diverso, che nasce dalla unione di forze produttive, lavoratori o imprenditori, che si consorziano per dare vita ad un’idea di azione economica solidale e democratica. I valori della cooperazione si rifanno ai valori culturali della sinistra e del mondo cattolico progressista: solidarietà, controllo democratico delle attività della cooperazione, rispetto della comunità, rispetto dei lavoratori e dei loro diritti, legalità, sono alcuni di questi valori.

Tra gli innumerevoli ambiti di impresa cooperativa la distribuzione commerciale è uno dei più visibili e conosciuti: ed è anche uno di quello che con maggiore enfasi ha sempre applicato e reso visibili questi concetti.

In passato lavorare per la distribuzione cooperativa, le COOP come vengono comunemente dette, era motivo di vanto e serenità: la contrattazione integrativa che migliora i trattamenti economici del contratto nazionale e un clima lavorativo sereno, rispettoso e coinvolgente i punti di forza che un lavoratore della COOP poteva condividere con i propri colleghi. Ma la COOP non è un soggetto avulso dal contesto sociale ed economico e in questi anni il mercato della distribuzione organizzata e delle grandi catene commerciali ha subito dei cambiamenti che hanno messo in crisi anche i diritti dei lavoratori. Si è passati dalla stagione delle disdette dei contratti integrativi, a quella della frammentazione delle catene, con la cessione di catene o parte di esse a imprenditori locali più piccoli. Si sono imposti nuovi modelli distributivi (franchising tra questi) che hanno minato una storia contrattuale fondamentale nella nostra categoria.

Questi cambiamenti sono arrivati anche nel mondo della distribuzione cooperativa e dei negozi a marchio COOP.

Io ho iniziato a lavorare in COOP Lombardia alla fine degli anni ‘80: allora si percepiva una diversa realtà. In quegli anni non era ipotizzabile che la cooperativa mettesse in discussione i trattamenti economici e normativi che venivano offerti ai lavoratori. Nel dicembre del 2019 invece, come se fosse un regalo natalizio indesiderato e indigeribile, COOP Lombardia ha inviato la disdetta del contratto integrativo. Nel pieno del periodo più difficile per le famiglie e le persone è stata fatta la scelta più dura e dirompente.

Già in questa scelta è evidente il cambiamento che la cooperazione sta vivendo: se qualcuno prova a navigare sul sito internet di COOP Lombardia potrà leggere di molti progetti a carattere sociale e dal grande valore etico e politico. Tutte cose importanti ma che per noi lavoratori appaiono beffarde. “Ma come, nel momento di maggior peso psicologico della pandemia, nel momento in cui tra gli eroi sociali riconosciuti dalla grande retorica informativa c’eravamo noi, addette e addetti dei supermercati tu azzeri la storia contrattuale aziendale e ci poni di fronte a una difficoltà non prevista né accettabile”: il pensiero dominante.

Apparve chiaro a tutti, che da quel giorno la strada si sarebbe fatta irta di ostacoli e recuperare ciò che avevamo perso sarebbe stato molto difficile da recuperare.

Tra i lavoratori si diffuse una sensazione negativa che noi delegati non potevamo risolvere: l’idea definitiva della trasformazione della nostra realtà, da cooperativa portatrice di valori in azienda per cui i lavoratori sono risorse economiche da utilizzare e su cui risparmiare per ridare fiato ai profitti, in quel momento in diminuzione. Quando si ragiona sulla COOP è bene ricordarsi che le sue attività non si limitano alla distribuzione alimentare, ma riguardano anche attività finanziarie (il prestito sociale è una fonte di finanziamento mai venuta meno che sostiene la vendita di prodotti assicurativi o finanziari), attività immobiliari, vendita di servizi alla persona, e molte altre cose che non permettono la precisa identificazione delle dimensioni economiche e della ricchezza prodotta dal sistema. Allora, su queste basi, aver inviato la disdetta del contratto integrativo e aver impostato una trattativa che disconosce le rivendicazioni sindacali e cerca di imporre scelte molto pesanti ai lavoratori in forza e a quelli che verranno è la dimostrazione plastica del cambiamento in atto.

In questi anni le trasformazioni non hanno riguardato solo la realtà cooperativa lombarda, ma molte altre, con accorpamenti e modifiche societarie e commerciali molto pesanti (anche nel mondo cooperativo il franchising si è imposto come per esempio nel caso della Sicilia dove i negozi a marchio COOP sono stati ceduti a imprenditori locali che non sono organici al sistema cooperativo).

In queste settimane e mesi la contrattazione riguarda anche altre centrali cooperative, con difficoltà articolate e diverse da quelle che ho qui sintetizzato. Non è possibile più rinviare, anzi forse è oggi in ritardo, l’analisi di quale direzione la distribuzione cooperativa vuole prendere, per poter guardare con occhiali diversi e più consapevoli cosa accade nei suoi punti vendita e raccogliere il disagio di lavoratori che non si identificano più con il “proprio negozio”, come accadeva oramai troppo tempo fa.