Evoluzione normativa e contrattuale dei CCNL sottoscritti nei comparti dalla FILCAMS-CGIL. 40 anni di cammino - di Luciana Mastrocola

La Filcams sottoscrive molti contratti collettivi nazionali di lavoro, alcuni molto noti, altri meno e altri ancora sconosciuti ai più. La conoscenza dei Ccnl è determinata dalla importanza del settore, dalla dimensione delle imprese che vi operano, dalla sindacalizzazione dei lavoratori addetti e dalla forza contrattuale che riescono ad esprimere.

Sulla forza contrattuale, grande rilevanza hanno le norme giuslavoristiche poste a protezione dei lavoratori e delle lavoratrici; la normativa italiana prevede l’applicazione di tutele più o meno forti in base al requisito dimensionale dell’azienda, a seconda che abbia più o meno di 15 dipendenti.

L’applicazione o meno dello Statuto dei lavoratori, sui diritti sindacali, la tutela contro i licenziamenti illegittimi, determina una grande influenza sulla forza contrattuale.

Negli anni abbiamo assistito alla progressiva manomissione della normativa in materia di lavoro, in nome della flessibilizzazione del mercato del lavoro e della maggiore occupazione. Il titolo del seminario è legato alla memoria, e questo mi porta a fare una riflessione sui cambiamenti che si sono verificati a livello legislativo e contrattuale negli ultimi 40 anni.

Le riforme che si sono susseguite negli ultimi 25 anni hanno determinato, più che una flessibilizzazione del lavoro, la precarizzazione dei rapporti di lavoro.

La liberalizzazione dei contratti a tempo determinato, con l’abolizione dell’obbligo della causale per i primi 12 mesi, ha privato il lavoratore dell’elemento che consentiva il controllo della legittimità dell’apposizione del termine e ha determinato all’interno delle aziende un maggiore turn over dei soggetti da assumere a termine. Anche la riduzione dei termini di prescrizione, entro cui contestare la legittimità del contratto, modificata dal collegato lavoro portato a 180 giorni, decorrenti dalla scadenza dell’ultimo contratto, (prima di questa modifica si applicava la prescrizione ordinaria di 10 anni). Difficilmente il lavoratore contesterà la legittimità del contratto a termine se spera di essere di nuovo assunto. Durante la ripresa economica del 2021, il 70% dei contratti sono stati stipulati a tempo determinato. Per la verità si conferma un trend che dura ormai da anni.

Lo stravolgimento dell’art. 18 dello statuto dei lavoratori, ad opera della legge Fornero, che ha superato la tutela reale, cioè il diritto alla reintegra sul posto di lavoro che è rimasto solo in pochi casi: licenziamento discriminatorio, maternità, matrimonio. Nel licenziamento discriminatorio vi è l’inversione dell’onere della prova, è il lavoratore che deve dimostrare la illegittimità del licenziamento.

L’introduzione delle tutele crescenti operata dal jobs act ha tracciato una linea di demarcazione tra i lavoratori assunti fino al 6 marzo 2015 e quelli assunti successivamente. Questa riforma ha determinato una differenza di tutela altamente discriminatoria, in virtù della sola data di assunzione ed ha limitato ulteriormente, rispetto alla riforma Fornero, i casi di reintegra, ampliando i casi di indennizzo, legato non al danno subito dal lavoratore ma alla sola anzianità aziendale.

L’impegno della Cgil a promuovere il contenzioso contro questa norma discriminatoria ha portato alla sentenza 194/2018 della Corte costituzionale, che ha dichiarato incostituzionale il criterio di determinazione del risarcimento basato unicamente sull’anzianità di servizio. La Corte costituzionale ritiene che questa norma viola, il principio di eguaglianza in quanto omologa situazioni diverse. Viola inoltre il principio di ragionevolezza, in quanto non risarcisce il danno subìto dal lavoratore, perché l’ammontare del risarcimento è troppo basso e proprio per questo motivo non idoneo a rappresentare un deterrente nei confronti delle aziende ad effettuare licenziamenti illegittimi.

Un’altra importante spallata alle tutele dei lavoratori e delle lavoratrici è stata operata dal governo Berlusconi con l’introduzione del D.lgs 276/2003 che tra le altre cose ha disposto l’abrogazione della L. 1369/60, che disciplinava il divieto di intermediazione ed interposizione nelle prestazioni di lavoro nell’impiego di mano d’opera negli appalti.

Questa legge faceva obbligo all’imprenditore committente, che appaltava opere o servizi in solido con l’appaltatore, a corrispondere ai dipendenti dell’appaltatore stesso, un trattamento retributivo e normativo, non inferiore a quello spettante ai lavoratori dipendenti dall’azienda committente.  La norma era importante, non solo perché la parità di trattamento veniva tutelata anche nei riguardi dei trattamenti normativi, ma  perché tale forma di tutela veniva posta in solido a carico del committente e dell’appaltatore.

La legge 196/97, (pacchetto Treu) aveva già introdotto nell’ordinamento la facoltà per l’imprenditore di “utilizzare” le prestazioni di lavoratori dipendenti da altro soggetto, determinando una dissociazione tra titolarità formale del rapporto di lavoro e l’utilizzatore della prestazione.

Tuttavia al “lavoro interinale” poteva farsi ricorso solo nei casi tassativi previsti dalla legge.  Il d. lgs. 276/2003 ha generalizzato la possibilità per le aziende di ricorrere a prestazioni di lavoro temporaneo. Nella nuova fattispecie di lavoro in somministrazione, introdotta nel 2003, quindi, l’utilizzazione di dipendenti assunti da altri non è più prevista come straordinaria o eccezionale, ma può anche essere riferita “all’ordinaria attività dell’utilizzatore”. Con il decreto Poletti del 2014, il ricorso al lavoro somministrato è stato del tutto liberalizzato ed è soggetto solamente ad un limite quantitativo e ad uno temporale. 

La garanzia di pari trattamento retributivo e normativo, ad evitare il “dumping contrattuale”, con l’abrogazione della legge 1369/1960, non si applica più negli appalti, mentre vige nel contratto di somministrazione.  Venendo meno questo obbligo le aziende fanno sempre più ricorso alle “esternalizzazioni”, affidando ad altre aziende lo svolgimento di alcuni rami d’attività.

Il conferimento in appalto è diventato uno strumento per abbassare il costo del lavoro a danno dei lavoratori e delle lavoratrici.

L’attività d’impresa si frammenta, viene suddivisa tra molteplici aziende. L’appaltatrice è spesso una azienda di piccole dimensioni, di frequente cooperativa, che non offre ai lavoratore/trici le stesse garanzie di solidità e solvibilità della committente. Inoltre ciò comporta l’applicazione di un Contratto collettivo nazionale di lavoro diverso rispetto a quello applicato dal committente.

Questo fenomeno oltre ad avere effetti sui diritti e tutele dei lavoratori e delle lavoratrici che operano negli appalti, determina anche   la frattura dell’unità dei lavoratori indebolendone il potere contrattuale.  Soprattutto nelle azioni di lotta per rinnovo contrattuale.

Nel nostro operare, quotidianamente, ci imbattiamo in queste realtà. Supermercati che appaltano la gestione del magazzino, il rifornimento degli scaffali, oppure nella gestione degli alberghi dove ormai nella maggior parte dei casi il rifacimento delle camere e le pulizie vengono conferite in appalto. Non è raro il caso in cui l’attività di impresa viene appaltata nella sua interezza.

Questa situazione è diventata così grave da indurre la Filcams ad inserire nella piattaforma per il rinnovo del contratto del turismo, il diritto dei lavoratori che operano in quelle realtà ad avere applicato il ccnl del turismo per recuperare per via contrattuale quanto cancellato dalla legge.

Il D.lgs 276/03 inoltre, al fine di efficientare il mercato del lavoro, ha introdotto diverse tipologie contrattuali che hanno precarizzato, indebolito e impoverito le condizioni di vita dei lavoratori/trici.

Passiamo poi ad esaminare la collaborazione a progetto, abrogata  dal jobs act nel 2015. In realtà il jobs act ha abrogato il progetto ed è rimasta la collaborazione coordinata e continuativa. E’ stato cioè abrogato lo strumento che ci permetteva di rivendicare il rapporto di lavoro di tipo subordinato, in quanto nella maggior parte dei casi si trattava di rapporti simulati volti unicamente ad evadere l’applicazione della contrattazione collettiva e ad usufruire di una contribuzione più a buon mercato.

Sempre ad opera del D.lgs 276/03 è stato introdotto il contratto di lavoro a chiamata, che è tra tutte le tipologie contrattuali, quello più precario di tutti. Consiste in un rapporto di lavoro di tipo subordinato, caratterizzato da prestazioni di lavoro discontinue o intermittenti, quindi senza nessuna garanzia di durata.

Lo stesso Decreto demandava alla contrattazione collettiva di individuare le ipotesi in cui si poteva far ricorso al lavoro a chiamata. Tuttavia il rifiuto a disciplinare il lavoro a chiamata all’interno della nostra contrattazione collettiva non ne ha impedito l’utilizzazione.

La legge prevede un limite di utilizzo di 400 giornate lavorative nel triennio per ogni lavoratore/trice a chiamata; tuttavia questo limite non si applica nei settori del turismo e dei pubblici esercizi.

Il lavoro accessorio o voucher che nel periodo del suo utilizzo ha provocato danni a centinaia di migliaia di lavoratori e lavoratrici, indusse la Cgil a promuovere la raccolta di firme, volta a chiederne l’abrogazione attraverso il referendum.

Inoltre il D.lgs 276/03 ha previsto la costituzione delle commissioni di certificazione, create con l’obiettivo di rendere più difficile la rivendicazione di un rapporto di lavoro di tipo subordinato in caso di contratto simulato. Anche il ricorso alla magistratura del lavoro, tradizionalmente gratuito, per rivendicare i propri diritti, è stato fortemente scoraggiato con l’inserimento del pagamento del contributo unificato e la condanna al pagamento delle spese di soccombenza in caso di perdita della causa.

La mancata attuazione dell’art. 39 Cost fa sì che la contrattazione collettiva, non abbia un’applicazione erga omnes, ma ricada nella disciplina dei contratti di diritto comune e come tale vincola esclusivamente i firmatari del contratto collettivo cioè i datori di lavoro aderenti alle associazioni datoriali stipulanti. E’ sufficiente non aderire ad alcuna Associazione di rappresentanza e il gioco è fatto.

In questo complesso mercato del lavoro, negli ultimi 10 anni, abbiamo assistito anche alla proliferazione dei contratti pirata, sottoscritti da soggetti non rappresentativi, che oltre a prevedere retribuzioni più basse dal punto di vista normativo, prevedono che anche i pochi diritti riconosciuti siano soggetti a derogabilità a livello aziendale, ma su questo non mi dilungo vista l’approfondita e puntuale analisi che ci ha presentato Salvo Leonardi.

La frammentazione delle Associazioni datoriali e la loro incapacità a fare sintesi, ha determinato la proliferazione di Ccnl che disciplinano lo stesso settore. Questa situazione non ha creato problemi fino a quando si è trattato di sottoscrivere contratti fotocopia con la stessa decorrenza e durata.

È il caso del turismo per cui la Filcams sottoscrive 3 CCNL con Confcommercio, con Confindustria e con Confesercenti. Nel gennaio 2014 fu sottoscritto il rinnovo del CCNL turismo Confcommercio con la sola Federalberghi perché all’ultimo momento le Associazioni datoriali rappresentanti degli altri comparti si sfilarono.

La mancata sottoscrizione da parte di tutte le Associazioni datoriali, rappresentanti i diversi comparti, ha dato inizio allo sfaldamento di quel contratto. Fino ad allora aveva raggruppato, gli alberghi, i pubblici esercizi, la ristorazione collettiva, le agenzie di viaggio. Uno stesso contenitore che raggruppava tutta la filiera del turismo.  La frattura avvenuta all’interno delle diverse Associazioni aderenti a Confcommercio, ha portato alla sottoscrizione di 3 diversi Ccnl: alberghi, pubblici esercizi e ristorazione collettiva, agenzie di viaggi.

Le sottoscrizioni dei rinnovi sono avvenute in tempi diversi e questo ha comportato l’erogazione di una diversa massa salariale tra i diversi comparti e con gli altri CCNL del turismo, differenze che non sempre si sono riuscite a colmare con i diversi accordi di rinnovo.

Gli altri due CCNL del turismo, Confesercenti e Confindustria, hanno mantenuto un unico contratto, dove sono raggruppati tutti i comparti della filiera.

Stessa situazione si è verificata nel terziario, dove fino al 2015 si sottoscrivevano 3 Ccnl, con Confcommercio, Confesercenti e la cooperazione.

A fine 2011, dopo che si era consumato l’accordo separato, la Filcams non aveva sottoscritto il rinnovo del CCNL terziario Confcommercio. Federdistribuzione, che rappresenta la Grande distribuzione, è uscita da Confcommercio. L’accordo di rinnovo dell’accordo separato con Confcommercio è stato sottoscritto anche dalla Filcams a marzo 2015, mentre la sottoscrizione di quello con Federdistribuzione è avvenuta dopo una lunghissima ed estenuante trattativa nel 2019.  

Anche nel settore del multiservizi ci sono 3 CCNL: uno sottoscritto con Confindustria, Legacoop e Confcooperative, l’altro con Fnip Confcommercio, pur essendo contratti fotocopia; il terzo, sottoscritto per la prima volta nel 1999 con le Associazioni datoriali del mondo artigiano, prevede una disciplina più aderente alle specificità   delle imprese artigiane.

Per effetto dei cambiamenti verificatisi nel settore e la possibilità di riunirsi in Consorzi o in Associazioni temporanee di imprese sono iniziati i problemi. Il consorzio o l’Associazione temporanea di imprese consente anche ad imprese piccole e piccolissime di candidarsi ad acquisire anche appalti di rilievo. Per effetto delle retribuzioni più basse, che determinano un costo del lavoro inferiore, le aggiudicazioni degli appalti per le imprese artigiane risultano facilitati. La differente formulazione, rispetto al CCNL multiservizi, della clausola sociale in caso di cambio appalto, ha causato gravi problemi sulla tenuta occupazionale nel settore. La garanzia del posto di lavoro nel CCNL delle pulizie artigiane, scattava solo se il cambio appalto riguardava 5 lavoratori full-time o full time equivalent. Nella piattaforma rivendicativa presentata per il rinnovo del contratto delle pulizie artigiane nel 2004 venne inserita la richiesta della clausola sociale, così come disciplinato nel CCNL multiservizi e un riallineamento graduale per il costo medio orario.

Il rifiuto da parte datoriale ad addivenire ad un accordo determinò la comunicazione unitaria di revoca del CCNL nel marzo 2009. Dopo una lunga e complicata trattativa, il nuovo contratto fu sottoscritto a settembre 2014, con l’impegno di arrivare ad un riallineamento graduale del costo medio orario del CCNL multiservizi come unico riferimento in sede di gara di appalto.  La norma sul cambio di appalto ha portato, per quanto riguarda la clausola sociale alla garanzia del mantenimento del posto di lavoro se il cambio appalto riguarda un numero superiore a tre lavoratori.

Con l’ultimo rinnovo del CCNL vigilanza privata è stata inserita la disciplina della vigilanza non armata “servizi fiduciari”. La sottoscrizione del contratto dei servizi fiduciari ha creato molti problemi. In diversi cambi di appalto, lavoratori/trici cui veniva applicato il CCNL multiservizi, con il passaggio ai servizi fiduciari si sono visti ridurre la retribuzione notevolmente; le retribuzioni sono molto basse e diversi tribunali hanno dichiarato che questo contratto non è rispettoso dell’art. 36 della Costituzione.

Nella piattaforma di rinnovo, la richiesta delle OO.SS. è di addivenire ad un unico CCNL che disciplini il comparto sicurezza, sia essa armata che non armata, in modo da determinare un riallineamento del trattamento retributivo e normativo per i lavoratori/trici dei servizi fiduciari. Ma nonostante il CCNL della vigilanza sia scaduto il 31 dicembre 2015 non si riesce ancora a sottoscrivere il rinnovo.

Anche nel settore delle farmacie i CCNL sono 2: uno sottoscritto con Assofarm, che rappresenta le ex farmacie comunali e l’altro con Federfarma per le farmacie private. Il CCNL Assofarm prevedeva dei trattamenti più tutelanti rispetto a quelli delle farmacie private.

Nel 2012 Assofarm comunicò la disdetta e recesso del CCNL, in quanto la riduzione delle marginalità comportava un costo non più sostenibile, visto che le farmacie ex municipalizzate operano sullo stesso mercato delle farmacie private e quindi per essere competitive dovevano avere gli stessi costi. Dopo una lunga e complicata trattativa il nuovo contratto è stato sottoscritto a luglio 2013 cercando di conservare parte dei trattamenti di miglior favore. Il comparto delle farmacie sicuramente non rappresenta un settore povero, è caratterizzato dalla presenza di alte professionalità ma il CCNL farmacie private scaduto il 31 gennaio 2013 è stato rinnovato a settembre 2021.

In controtendenza rispetto ai contratti di cui ho parlato fino ad ora, vi è il CCNL studi professionali, che disciplina i rapporti di lavoro tra i professionisti e i propri dipendenti.

Negli anni 80 c’erano due contratti; negli anni, pur essendosi ampliata la sfera di applicazione, arrivando a disciplinare quasi tutte le aree professionali, è diventato l’unico Ccnl che disciplina i rapporti di lavoro dei dipendenti degli studi professionali. Avere un unico CCNL, ha dato la possibilità, pur trattandosi di attività che mediamente impiegano 3 lavoratori/trici, di costituire il fondo sanitario integrativo, il fondo di formazione, l’ente bilaterale e il fondo per il sostegno al reddito, che per effetto di una massa critica di circa 1 milione di addetti tra lavoratori subordinati, partite Iva e collaboratori, riesce ad assicurare buone prestazioni.

Il CCNL dei barbieri e parrucchieri, l’altro contratto che la Filcams sottoscrive con le Associazioni artigiane, scaduto a giugno 2016, non si riesce a rinnovare perché le Associazioni datoriali vogliono ampliare la sfera di applicazione che gli consenta di ampliare la loro rappresentanza.

Per ultimo ma, non per importanza il CCNL lavoro domestico. Negli ultimi 20 anni per effetto dell’invecchiamento della popolazione, fatto che spesso determina non autosufficienza, è esplosa la domanda di lavoro di cura e ciò ha fatto aumentare il numero di lavoratrici e lavoratori che operano nel settore. Si stima che siano più di 2.000.000; parlo di stima, perché nel comparto è molto diffuso il lavoro irregolare. Infatti i contratti dichiarati all’Inps, dati 2020, sono 920.000. Questo CCNL sconta il fatto di disciplinare un settore ritenuto speciale dalla normativa, ma questa specialità determina una condizione di sottoprotezione, in quanto la maggior parte delle norme, poste a tutela della generalità di lavoratrici e dei lavoratori, al lavoro domestico non vengono applicate. A tal fine è stata presentata al governo una piattaforma sottoscritta, oltre che dalle Organizzazioni sindacali, anche dalle Associazioni datoriali, dove si chiede il riconoscimento del diritto alla maternità, così come riconosciuto a tutte le lavoratrici ed il diritto alla indennità di malattia a carico Inps.

Alla luce delle criticità che ho provato ad evidenziare con il mio intervento, l’ideale sarebbe avere un unico contratto collettivo nazionale di lavoro che disciplini tutto un settore. Questa condizione garantisce anche ai lavoratori dipendenti da piccole e medie aziende, di usufruire dell’applicazione di un contratto di lavoro più tutelante, ottenuto con la forza contrattuale e la lotta dei lavoratori e delle lavoratrici delle aziende più grandi.

Quando ho iniziato a lavorare in Filcams, nel 1980, le differenze retributive tra i maggiori Ccnl, terziario, turismo e multiservizi erano contenute. Con gli anni e con il superamento della erogazione della contingenza, gli aumenti di retribuzione sono solo quelli ottenuti attraverso la contrattazione collettiva, unico strumento per salvaguardare il potere di acquisto dei lavoratori/trici. Gli aumenti contrattuali sono stati calcolati, con i criteri sanciti dal protocollo del 1993, intervenuto dopo la disdetta dell’accordo sulla scala mobile. Tale accordo prevedeva l’applicazione dei tassi di inflazione programmata ai fini del calcolo degli aumenti e in caso di mancato rinnovo entro i 3 mesi  dalla scadenza del contratto, l’erogazione della indennità di vacanza contrattuale ad evitare comportamenti dilatori. In realtà le cifre erano talmente esigue che non hanno svolto un’azione di deterrenza.

Con il protocollo sul modello contrattuale del 2009, che la Cgil non aveva sottoscritto, l’indennità di vacanza contrattuale è stata superata. Il tasso di inflazione da prendere a riferimento per il calcolo degli aumenti è l’Ipca depurata dall’inflazione determinata dai prodotti energetici.

Va da sé che quando i contratti non si riescono a rinnovare per tempi lunghi, tanto da determinare il salto di una o due rinnovi, e questa condizione è ormai comune a tutti i nostri contratti.

Di conseguenza i lavoratori/trici perdono importanti quote di retribuzione determinandone l’impoverimento. Il potere di acquisto delle retribuzioni attualmente in vigore è inferiore a quelle percepite nel 1990.

L’esempio più eclatante è il Ccnl multiservizi. Per l’ultimo rinnovo, intervenuto nel 2021 sono passati ben 8 anni. Sono stati saltati più di due rinnovi e anche per quello rinnovato nel 2007 era stato necessario l’intervento dell’allora Ministro del lavoro Damiano. Eppure questo è un settore caratterizzato dalla presenza di grandi e grandissime imprese, i lavoratori e le lavoratrici addetti/te sono sindacalizzati e rispondono quando vengono chiamati alle azioni di lotta.  Il mancato riconoscimento di una indennità a copertura della vacanza contrattuale incentiva i comportamenti dilatori messi in atto dalle Associazioni datoriali.

I settori del pulimento e della ristorazione collettiva sono inoltre caratterizzati, da sempre, dalla presenza di lavoratrici e lavoratori a tempo parziale. Inoltre questi settori sono contraddistinti da lavoro che viene svolto in appalto e ad ogni cambio di appalto, con modifica delle condizioni (modifica di capitolato), per evitare i licenziamenti, si ricorre alla ulteriore riduzione dell’orario di lavoro. Queste situazioni si sono accentuate durante la grande crisi del 2010, periodo in cui negli appalti pubblici si è fatto ricorso alla spending review scaricando la necessità di riduzione dei costi sulle spalle dei lavoratori/trici degli appalti. La diffusione dei centri cottura, nella ristorazione collettiva, ha determinato diffuse riduzioni di orario di lavoro, in quanto i pasti non vengo preparati presso il committente ma solamente serviti. Sia il Ccnl multiservizi che la ristorazione collettiva sono contraddistinti dalla presenza di contratti individuali con percentuali di part-time bassissimi. Nel multiservizi il minimo di orario previsto è di 14 ore settimanali, spesso questo minimo non viene rispettato.

Nei settori per cui la Filcams sottoscrive i contratti collettivi nazionali di lavoro è diffuso da sempre il tempo parziale ma l’utilizzo di questa tipologia contrattuale era limitato al lavoro domestico, alle imprese di pulizie e alla ristorazione collettiva.

Negli anni il contratto a tempo parziale è diventato sempre più utilizzato anche negli altri settori, come la grande distribuzione. Il part-time sembra essere diventato per molte aziende una scelta vincente. Non sempre però si tratta di una scelta delle lavoratrici e dei lavoratori, come misura di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, ma semplicemente perché è l’unico lavoro che si è trovato.

In forza di tutte questi cambiamenti c’è stato una forte diffusione del cosiddetto “lavoro povero”.

In passato la povertà veniva associata alla mancanza di un rapporto di lavoro, oggi si può essere poveri anche quando un rapporto di lavoro lo si ha.