Contrattare nelle nuove condizioni tecnologiche e organizzative - di Matteo Gaddi

Reds n. 02 - 2022 quater Hits: 601

Appunti per la relazione al seminario FILCAMS-CGIL del febbraio 2022

 

L'intreccio tra innovazioni tecnologiche ed organizzative: Industria 4.0 e Lean Production

La Lean Production, di cui il sistema di produzione di Toyota costituisce il fondamento, mira ad aumentare la produttività eliminando gli sprechi e definendo un flusso di produzione strettamente controllato in cui tutti gli elementi, compresi i fornitori, sono strettamente sincronizzati. La sovrapproduzione (tutto ciò che non è necessario per la fase di produzione successiva) è vista come uno spreco e deve essere eliminato, mentre i tempi di attesa devono essere ridotti al minimo. I tempi di consegna vengono comparati con i tempi di produzione, eliminando errori di sincronizzazione, ritardi dei materiali, code improvvise, guasti, mancanza di operatori, tempi di attrezzaggio, ecc.

Nel frattempo i luoghi di lavoro, non solo le fabbriche dell'Industria 4.0, sono stati trasformati dall'introduzione di strumenti e dispositivi ICT. In tutti i luoghi di lavoro, compresi quelli dedicati alla produzoione di servizi, si assiste alla presenza di un insieme di tecnologie - strumenti di comunicazione, connettività, raccolta ed elaborazione dei dati - che permette di collegare strumenti di lavoro, attrezzature, impianti e prodotti in modo che possano comunicare direttamente tra loro e con i sistemi centralizzati a velocità tale da poterlo fare in continuo ed in tempo reale: l'aumento dell'informatizzazione dei sistemi produttivi e l'uso di tecnologie di rete e ICT permette di integrare e sincronizzare tutte le parti del sistema in una rete di informazioni a disposizione delle imprese.

Le tecnologie di Industria 4.0 si sposano quindi perfettamente con gli obiettivi della Lean Production: le tecnologie digitali possono giocare un ruolo decisivo nell'accorciare i tempi di attesa e contribuire alla riduzione dei tempi di ripristino e risettaggio degli impianti.

Le applicazioni della Lean Production e le tecnologie dell'Industria 4.0 sono strettamente collegate tanto che Industria 4.0 non è pienamente comprensibile se non si tiene conto anche di questa stretta relazione con la Lean Production. In particolare, le tecnologie dell'Industria 4.0 facilitano la piena implementazione della Lean Production, superando i vincoli tecnici che prima ne limitavano l'applicazione ed è l'intreccio di questi due elementi che sta avendo le conseguenze più critiche per le condizioni di lavoro.

Essenzialmente, la Lean Production implica il passaggio da una logica "push" a una logica "pull": mentre con la prima la pianificazione della produzione veniva "spinta" dalle previsioni di vendita, ora viene "tirata" dagli ordini dei clienti - cioè da un'altra azienda, o anche da un altro reparto all'interno della stessa. In questo modo sono gli ordini acquisiti che innescano l'intera catena di produzione. Uno dei pilastri della Lean Production è il just-in-time: se l'intero processo di produzione è "tirato" dagli ordini dei clienti, a monte non deve essere prodotto nulla che non sia richiesto a valle. Ogni pezzo deve essere prodotto (o reso disponibile nel caso della distribuzione commerciale) nel momento in cui una postazione a valle lo richiede attraverso i kanban: cioè gli strumenti visivi che trasmettono informazioni e istruzioni sui materiali da fornire dalle aree di stoccaggio - "picking kanban" - e i componenti da produrre - "production kanban". Le nuove tecnologie, applicate al sistema kanban, permettono la stretta sincronizzazione delle diverse fasi di produzione (materiale o di servizi) e la gestione della domanda dei reparti e delle postazioni di lavoro in tempo reale. L'intero processo può essere costantemente monitorato dallo schermo di qualsiasi dispositivo collegato.

Ecco quindi anche le imprese clienti sono in grado di controllare i loro fornitori anche se questi ultimi sono formalmente responsabili dei loro processi interni. In sostanza questo si traduce nel fatto che le "teste" delle catene (o filiere) hanno un notevole grado di controllo sulle prestazioni di lavoro anche delle imprese della filiera.

La tipica architettura di integrazione adottata dalle aziende del settore automotive in Italia è la cosiddetta "piramide dell'automazione". Il primo livello di questa architettura è rappresentato dall'enterprise resource planning (ERP), che costituisce un insieme di strumenti di pianificazione per l'acquisizione e l'elaborazione degli ordini, la gestione della supply chain, la gestione delle risorse umane e della capacità produttiva degli impianti, l'ingegneria della produzione, ecc. Il secondo livello è il Manufacturing Execution System (MES), che svolge funzioni di schedulazione, invio degli ordini di produzione, allocazione delle risorse, tracciamento dei prodotti e della forza lavoro, analisi delle prestazioni, reporting della produzione, ecc. Il MES, partendo dalla pianificazione generale del processo generata dall'ERP, si occupa più specificamente della sua schedulazione e dell'invio degli ordini di produzione ad ogni reparto e/o postazione di lavoro.

Le tecnologie  di Industria 4.0 permettono l'integrazione verticale di questa architettura, riducendo il numero di passaggi tra le decisioni e il controllo del sistema appiattendo, quindi, la piramide.

In effetti, Industria 4.0 combina la digitalizzazione dei processi produttivi con l'acquisizione di dati in tempo reale, elaborati e analizzati tramite server ed edge (cloud) computing come mezzo per ottimizzare i processi industriali dal punto di vista dell'impresa.

L'intero processo prende avvia con un modulo di acquisizione dati, che ne facilita l'analisi statistica. I diversi nodi della rete (prodotti, macchinari, controllori, ecc.) si scambiano informazioni attraverso tecnologie sviluppate tramite applicazioni IoT (Internet of Things). I dati acquisiti in questo modo vengono elaborati non solo dal cloud computing e dall'analitics Big Data, ma vengono anche utilizzati dai CPS - Cyber Physical Systems, cioè strumenti di simulazione virtuale di processi fisici. In seguito, il feedback viene trasmesso ai PLC, al MES e all'ERP per rendere la produzione non solo flessibile ma anche altamente riconfigurabile in tempi molto brevi.

Questo significa che la pianificazione, la programmazione, l'invio degli ordini di lavoro ecc. possono essere continuamente ridefiniti - obbligando la forza lavoro ad adattarsi continuamente.

In questo ambiente "just-in-time", gli aumenti di produttività si basano su una forte intensificazione delle prestazioni di lavoro, vale a dire un maggior grado di sfruttamento del lavoro.

Questo sistema collega l'intero ciclo di produzione dalla fine all'inizio: cioè partendo a ritroso dalla fine della catena - il punto in cui gli ordini di produzione di un cliente possono essere spediti a quel cliente stesso - si risale una fase dopo l'altra, postazione dopo postazione. Dal punto di vista della Lean Production, questo elimina la sovrapproduzione, e minimizza i tempi di attesa.

Le tecnologie di Industria 4.0 forniscono anche un supporto decisivo per la piena implementazione della logica dei kanban che, diventando progressivamente elettronici e digitalizzati, rendono l'invio, la ricezione, la registrazione, ecc. degli ordini più facile e veloce. A partire dalla pianificazione generale della produzione tramite ERP, e quindi dalla programmazione dei tempi di lavoro per ogni singola postazione di lavoro tramite il MES, i kanban elettronici possono essere generati e trasmessi ai dispositivi connessi che sono "incorporati" in ogni postazione (o strumento) di lavoro. Quando le richieste di un kanban sono state soddisfatte, il sistema di registrazione elettronica mostra lo stato di avanzamento del processo produttivo per permettere alle direzioni aziendali di monitorarlo in tempo reale e di intervenire immediatamente quando sono necessari aggiustamenti di sincronizzazione.

Il rispetto dei tempi assegnati è centrale nella Lean Production, in cui il ritmo di produzione è determinato dal 'takt time': le tecnologie 4.0 ne permettono il monitoraggio in tempo reale attraverso dispositivi di registrazione connessi che caricano immediatamente i dati sui sistemi informativi aziendali in modo da confrontare i tempi effettivi con quelli pianificati. In questo modo, il takt time determina i tempi di lavoro su ogni postazione, imponendo ritmi e sistemi di lavoro per soddisfare gli standard fissati dall'azienda. Inoltre facilitano il livellamento della saturazione delle postazioni di lavoro, o heijunka: una volta definiti i takt time, i carichi di lavoro da assegnare alle varie postazioni vengono calcolati automaticamente, tenendo conto della disponibilità di strutture e personale.

La stretta osservanza del takt time e l'ossessione dei sistemi Lean per la riduzione dei tempi di consegna fanno sì che gli strumenti che sono presentati come aiuti per i lavoratori nello svolgimento dei compiti loro assegnati, per i quali non devono "perdere tempo" a pensare, controllare, verificare, ecc. - o altrimenti come modi per ridurre l'ansia dell'operatore per i possibili errori, vengono così trasformati in strumenti per intensificare le prestazioni lavorative. Le implicazioni dei sistemi poka-yoke ('infallibili'), che forniscono istruzioni dettagliate ad ogni postazione di lavoro, o assegnano automaticamente combinazioni di codici lotto-macchina-componente, rendono i lavoratori sempre meno autonomi.

L'integrazione tra Lean Production e Industria 4.0 è molto importante anche in termini di logistica: le linee vengono rifornite automaticamente da kanban elettronici, con prodotti consegnati sia dal magazzino che da fornitori esterni attraverso gli stessi strumenti software e sistemi informatici. In questo caso, la fornitura di tutto il necessario per la produzione direttamente alle postazioni di lavoro, lungi dall'essere un aiuto per l'operatore, costituisce un ulteriore modo per annullare ogni forma di 'spreco' in termini di 'attività non a valore aggiunto'. Questa classificazione delle attività in 'valore aggiunto' e 'non valore aggiunto' (NVAA) è un altro elemento critico della Lean Production - le prime sono le uniche attività che, trasformando progressivamente gli input produttivi, aggiungono valore agli stessi. Al contrario, le attività non a valore aggiunto non aggiungono direttamente valore agli input e devono, quindi, essere compresse il più possibile poiché sono viste come "tempi morti". Le NVAA di solito includono tutte queste attività legate al disporre/predisporre, cercare, posizionare, spingere, tirare, dividere, pulire, camminare, tutti i tipi di attesa, tutti i tipi di arresto, misurare, contare, controllare, inviare/trasferire, ecc.

Il World Class Manufacturing (WCM) è un'evoluzione della Lean Production ed è anche fortemente integrato con l'Industria 4.0: secondo questo approccio, tutte le attività operative e di supporto alla produzione devono essere continuamente migliorate per generare un flusso di valore aggiunto senza sprechi e con il minor numero possibile di perdite. In altre parole, i lavoratori devono puntare a un flusso di lavoro che si svolga alla massima velocità e al minimo costo.

Il WCM definisce gli sprechi come perdite di valore dovute a qualche tipo di sovrapproduzione (scorte in attesa di lavorazione, pezzi difettosi, impianti fermi a causa dei tassi di guasto, ecc.); mentre le perdite sono il costo della mancata allocazione di una risorsa al suo uso alternativo ottimale, misurato come la perdita di valore aggiunto associata a tale errata allocazione - un economista neoclassico li chiamerebbe "costi - opportunità". Un lavoratore che aspetta istruzioni, materiali, attrezzature, il riavvio di una macchina inattiva, ecc. genera non solo uno spreco ma anche una perdita perché il tempo di attesa potrebbe, in alternativa, essere usato per svolgere attività che producono valore aggiunto.

Come in tutti i sistemi Lean, quindi, identificare ed eliminare gli NVAA è fondamentale per il WCM e per i suoi pilastri tecnici: "impiego dei costi"; "miglioramento mirato"; "manutenzione autonoma"; e "organizzazione del posto di lavoro". In particolare, il pilastro dello spiegamento dei costi si svolge in ogni area, identificando le perdite e gli sprechi inerenti a tutti i processi e sottoprocessi di fabbricazione, quantificandoli in termini di costo e definendo programmi d'azione volti alla loro riduzione. Per esempio, il costo associato agli NVAA è il numero di minuti occupati dai lavoratori impegnati in tali attività e moltiplicato per il loro salario al minuto - identificandoli così come un costo da tagliare.

Il WCM introduce delle distinzioni tra le perdite risultanti, che possono essere osservate, e le perdite causali, essendo queste ultime l'origine delle prime. I costi totali, quindi, possono essere rintracciati identificando le perdite risultanti e sommando le corrispondenti perdite causali. Per esempio, un lavoratore che esegue le NVAA implica una perdita di produzione - che, a sua volta, è associata ai costi fissi, all'ammortamento degli elementi di investimento, ai costi energetici, ecc. - ma anche in termini di attesa dei lavoratori a valle: cioè allungamento dei tempi di consegna e desaturazione del processo di lavoro, ecc.

La quantificazione precisa di tutte queste voci di costo è il motivo per cui ogni postazione di lavoro deve essere dotata di dispositivi connettivi di bordo (sensori, monitor, lettori ottici, ecc.) in grado di registrare e trasmettere eventuali imperfezioni, irregolarità o deviazioni del flusso. In questo modo, è possibile individuare ogni NVAA potenzialmente eliminabile, che ora assume una definizione molto ampia basata sulla catena causale di tutte le perdite e gli sprechi che ne derivano. Questo è anche ciò che permette di presentare l'assegnazione dei carichi di lavoro e dei tempi di ciclo come del tutto "scientifici", in quanto risultato dell'elaborazione software di variabili che sono, per definizione, oggettivamente misurate. Ciò pone le aziende in una posizione ambita di vantaggio, poiché, laddove queste non siano discutibili, ciò rende sempre più difficile la negoziazione formale e informale sui carichi di lavoro, l'organizzazione del lavoro e i livelli di personale.

 

La Lean Production applicata al lavoro informatico: DevOps e Scrum

L’organizzazione del lavoro è sempre più ispirata ai principi della lean production ([1]) anche nel settore ICT. Questa comprende sia il DevOps ([2]) che lo Scrum ([3]). Si tratta di sistemi di organizzazione dei processi produttivi e lavorativi che le imprese ICT applicano da tempo, cioè da prima della collocazione massiva ed emergenziale del personale in condizioni di smart working.

Il DevOps (DevelopmentOperations) è una metodologia di sviluppo del software finalizzata ad incrementare la produttività. Si ispira ai principi della lean production, a partire dalla drastica riduzione dei cosiddetti “tempi di attraversamento” di un prodotto – il tempo che intercorre tra la sua concezione/ideazione ed il momento in cui arriva sul mercato.

Il DevOps si propone quindi di ridurre drasticamente i tempi di rilascio (release) del prodotto (software) riducendo il lead time da mesi a poche ore, o addirittura a pochi minuti, in modo da incrementare in maniera esponenziale il numero di rilasci.

Questa metodologia prescrive l’individuazione delle aree dove il flusso del valore (cioè il processo produttivo) rischia di essere rallentato, in modo da arrivare alla riduzione del lead time: per questo si individuano le aree dove il lavoro rimane in attesa per settimane o mesi. Per ciascuna area viene valutato il lead time specifico ed il tempo effettivo di lavoro, quello cioè che crea valore, calcolando il rapporto tra questi due tempi. Le aree che presentano i valori più elevati di questo rapporto sono quelle più critiche, su cui si deve intervenire per allineare lead time e tempo di lavoro effettivo. Automazione, compressioni dei tempi, aumenti di saturazioni con conseguente intensificazione dei ritmi di lavoro sono gli strumenti principalmente utilizzati per raggiungere questo obiettivo.

Per conseguire questo obiettivo tutte le fasi che costituiscono la catena di produzione del software devono essere compresse, fino ad essere organizzate in parallelo e/o essere automatizzate. La modalità tradizionale di produzione del software (waterfall “a cascata”) prevede fasi distinte e successive: analisi dei requisiti, progetto, sviluppo, collaudo, manutenzione. Nella mentalità “Agile” questo implica tempi troppo lunghi, che contrastano con la necessità di rilasci continui.

La riorganizzazione dei flussi deve quindi rendere più veloce e prevedibile il lead time che, nel flusso complessivo, deve coincidere il più possibile con il process time (o task time): mentre il lead time si misura a partire dal momento della richiesta fino a quello in cui viene evasa, il task time inizia quando comincia il lavoro concreto sulle richieste del cliente, ed esclude tutti i tempi di attesa. Da qui l’obiettivo di cancellare tutti i tempi “morti” come attese, pause, errori, tempi di lavoro più lunghi rispetto a quanto pianificato, ecc.

A queste finalità sono dedicati tutti gli strumenti del DevOps, anche quelli che vengono presentati come elementi in grado di meglio supportare i lavoratori o di migliorare la qualità del lavoro. Limitiamoci, per ragioni di spazio, soltanto ad alcuni esempi.

Il DevOps viene quindi presentato come uno strumento atto a migliorare la qualità del prodotto e del lavoro, ma di fatto si propone di comprimere il più possibile i tempi del lead time nei confronti dei clienti, sia interni (cioè chi si occupa di altre fasi) che esterni all’azienda. Questo comporta anche una crescente responsabilità (intesa unicamente come carico lavorativo e di stress, non certo come il riconoscimento di maggiori ambiti di autonomia) nei confronti del “duplice cliente”. Il fatto che anche i dipartimenti interni vengano classificati come “clienti” fa inoltre sì che il rapporto tra colleghi sia quello tipico di una fornitura commerciale invece che di tipo collaborativo, nonostante la grande enfasi posta sul fatto che tutti i membri di un flusso di valore debbano lavorare insieme.

Inoltre, il DevOps permette di individuare prontamente gli errori di programmazione, e quindi di correggerli immediatamente. Anche questa enfasi posta sull’immediata rilevazione degli errori tramite feedback continui possiede un duplice natura: da una parte viene presentata con la facciata della positività del lavoro di qualità (immediata rilevazione di difetti da correggere), ma dall’altra richiede di monitorare (quindi controllare) continuamente ogni prestazione degli operatori, magari individuando i responsabili di eventuali errori e incrementando ansia e pressione.

Per realizzare questi obiettivi di identificazione, contenimento e correzione di eventuali errori, il DevOps non prescrive l’inserimento di ulteriori step di ispezione o di autorizzazione. La cancellazione di questi passaggi, e del relativo lavoro (almeno sulla carta), viene giustificata con la retorica “democratica” della logica lean, secondo cui l’efficienza di un procedimento di verifica decresce man mano che ci si allontana dal luogo in cui concretamente si realizza il lavoro. In realtà, la completa cancellazione di questi passaggi non può avvenire; quindi, le mansioni residue vengono caricate sugli operatori, contribuendo così ad aumentarne i livelli di saturazione e responsabilità.

È inoltre importante sottolineare che la produzione giornaliera deve comunque essere sempre garantita: se il flusso si interrompe a seguito di eventuali errori, il tempo impiegato per la correzione va recuperato, con una conseguente intensificazione dei ritmi.

Ovviamente, la risoluzione immediata degli errori serve a impedire che questi si diffondano a valle, dove identificarli e correggerli diventa molto più difficile e costoso. L’individuazione del problema, inoltre, spesso coincide con quella del singolo individuo che lo ha causato.

Il DevOps si propone anche di ridurre i cosiddetti handoff – i trasferimenti di informazioni o di responsabilità lungo la catena di produzione del software. Poiché esistono centinaia o addirittura migliaia di operazioni richieste per muovere il codice dalla versione di controllo a quella utilizzabile in ambiente di sviluppo, ciascuno di questi passaggi può rappresentare una “coda” o un “accumulo”. Questo può comportare rallentamenti nelle fasi successive, che nella logica lean vengono classificati dall’impresa come “sprechi” (Muda) – mentre per i lavoratori sono momenti in cui si riduce l’intensità della prestazione.

Inoltre, con un numero elevato di handsoff il rischio è che gli operatori perdano il senso del contesto complessivo all’interno del quale un problema deve essere risolto. Il DevOps ne riduce il numero sia automatizzando quanto più possibile il lavoro che riorganizzando i team. Anche in questo caso possiamo dare una duplice lettura: se da una parte la preoccupazione di garantire una comprensione complessiva del contesto superando la parcellizzazione delle fasi e delle attività è positiva, dall’altra va rilevato che il fine ultimo è quello di ridurre il più possibile i passaggi, comprimendo il più possibile il lead time e quindi il tempo di fornitura al cliente.

 

Il lavoro per "obiettivi": verso un sistema di cottimo?

L'organizzazione del lavoro segna pesantemente i temi dei carichi di lavoro e delle scadenze. I due elementi sono da trattare insieme in quanto sono le scadenze strette a determinare carichi di lavoro eccessivi – e rimandano alla necessità di un approfondimento circa l’organizzazione del lavoro che si è diffusa in aziende caratterizzate dall’assegnazione di obiettivi ai dipendenti. Questo approfondimento appare utile anche alla luce della previsione di cui alla l. 81/2017 (smart working) secondo la quale la modalità di esecuzione del rapporto può essere determinata «anche mediante forme di organizzazione per fasi, cicli ed obiettivi e senza precisi vincoli di orario», formulazione che sembra valorizzare il raggiungimento di risultati determinando una «cadenza dell’esecuzione lavorativa organizzata per obiettivi predeterminati» ([4]).  

Il lavoro per obiettivi viene sovente presentato ([5]) come uno strumento per valorizzare competenze, professionalità e creatività dei dipendenti. In questo caso, invece, sembra svolgere una funzione di vincolo e pressione nei confronti dei lavoratori che, per raggiungere gli obiettivi assegnati, si vedono costretti a superare l’orario di lavoro contrattuale e/o ad intensificare la prestazione lavorativa.

Questo sistema di assegnazione di obiettivi ricorda, concettualmente, quello del cottimo, seppur senza cambiamenti dal punto di vista retributivo. Questo sistema, infatti, non comporta conseguenze in termini di modalità retributiva, ma bensì dal punto di vista dell’organizzazione del lavoro, dei ritmi, dell’intensità e della saturazione del tempo di lavoro. Teoricamente l’orario contrattuale di lavoro dovrebbe essere sufficiente ad assolvere il carico di lavoro che questi obiettivi comportano; ma le particolari modalità con cui avviene questa assegnazione determinano conseguenze sia dal punto di vista di una possibile estensione del tempo di lavoro che di una possibile intensificazione della prestazione. Se questo sistema, a differenza del cottimo tradizionale, non comporta conseguenze retributive in termini di incentivazione economica, viene da chiedersi come abbia potuto affermarsi in questo tipo di imprese; tema che vedremo in seguito, prima è necessario che il richiamo concettuale del cottimo sia oggetto di alcuni approfondimenti.

L’articolo 2099 del Codice Civile fonda una distinzione fondamentale tra le tipologie di retribuzione: quella a tempo e quella a cottimo. Mentre la prima garantisce la certezza del reddito del lavoratore subordinato essendo calcolata sul tempo di lavoro al quale lo si obbliga, la seconda pone l’accento sul raggiungimento del risultato dell’attività lavorativa. Se in una determinata fase storica la retribuzione a cottimo è apparsa caratteristica del lavoro autonomo, successivamente si è diffusa anche nell’industria come forma retributiva di lavoratori subordinati ([6]). Tuttavia, va precisato che nel corso del tempo nell’industria il cottimo “tanto a pezzo” ([7]) ovvero quel cottimo che astrae completamente dalla retribuzione a tempo e che remunera il lavoratore in base al numero di pezzi realizzati moltiplicati per la tariffa unitaria – è stato superato da forme di cottimo che determinavano soltanto una parte della retribuzione, con chiare finalità di incentivazione all’intensificazione della prestazione lavorativa e quindi di incremento dei volumi prodotti. Vale altresì la pena rilevare che anche nel cottimo “tanto a pezzo” la produzione, che poteva avere volumi diversi a seconda della destrezza dell’operaio e/o dell’intensificazione della prestazione, avveniva comunque all’interno di un determinato orario di lavoro inteso come il numero massimo di ore giornaliere dedicate al lavoro.

Rispetto ai casi storici del cottimo nelle imprese di servizi (specie ICT) emerge con grande evidenza un’ulteriore criticità: l’indeterminatezza di chi misura, e come, il carico di lavoro che comporta un determinato obiettivo. Formalmente l’obiettivo viene assegnato al lavoratore subordinato da parte della figura gerarchica di riferimento (il manager, il responsabile della function o della divisione, ecc.), ma non è chiaro se e come avvenga la determinazione – cioè il calcolo – del tempo necessario a portarlo a termine. La definizione di una modalità condivisa, cioè contrattata con l’organizzazione sindacale, di misurazione del “peso” di ciascun obiettivo deve consentire di quantificarlo in termini di carico di lavoro e quindi di “tempificarlo”.

Si tenga presente che nei sistemi di cottimo industriale veniva calcolato (e laddove i rapporti di forza lo consentivano, anche contrattato) il tempo necessario a realizzare un pezzo: il “tempo assegnato”, che costituiva la base di partenza del cottimo da confrontare con il “tempo effettivamente impiegato” ([8]). Da questo rapporto derivava il “rendimento di cottimo” che entrava nel calcolo della percentuale di cottimo nei casi della sua applicazione come sistema “integrale”, “accelerato”, “rallentato”, “anticipato”, ecc. Non è questa la sede per aprire una discussione sul sistema di cottimo e sulle conseguenze negative che esso comporta per i lavoratori; si vuole soltanto sottolineare come anche questo sistema, assai critico, prevedesse comunque alcuni elementi di trasparenza (altro discorso, ovviamente, è la correttezza del calcolo del “tempo assegnato” che infatti costituiva uno degli aspetti più significativi della contrattazione sindacale aziendale).

Nel settore manifatturiero, una procedura analoga di determinazione dei tempi è sempre avvenuta tramite i classici sistemi dei “tempi e metodi”. Si pensi, ad esempio, al sistema Beadeaux tramite il quale viene cronometrato lo svolgimento di un determinato insieme di operazioni. Attraverso una serie di passaggi (normalizzazione del tempo in base al giudizio di efficienza, applicazione delle maggiorazioni) si arriva al tempo “assegnato” all’operatore per svolgere una determinata fase o ciclo.

Nel caso delle imprese ICT, come viene calcolato il tempo necessario a realizzare un obiettivo? Al momento non si è a conoscenza di come questo avvenga, né di metodi contrattati e condivisi con le organizzazioni sindacali. Ne consegue che l’assenza di tempi associati agli obiettivi rende difficile per i lavoratori valutare se il loro raggiungimento possa avvenire all’interno dell’orario contrattuale o se, al contrario, si rendano necessari: a) una quota supplementare di ore; b) una forte intensificazione della prestazione lavorativa ([9]); c) entrambe le ipotesi precedenti ([10]).

Se, come anticipato, questo sistema di lavoro per obiettivi non assume le sembianze classiche del cottimo in termini di incentivo economico, bisogna cercare di capire quali sono le motivazioni che spingono i lavoratori delle imprese di questo settore ad una sua sostanziale accettazione. Alla luce di precedenti ricerche svolte ([11]), alcune ipotesi possono essere formulate. La realizzazione degli obiettivi assegnati entro una determinata scadenza temporale costituisce uno dei principali elementi che concorrono alla valutazione del dipendente. Questa valutazione non determina conseguenze tanto in termini retributivi, quanto in termini di profilazione del dipendente e, di conseguenza, in termini di un suo coinvolgimento o meno nello svolgimento di attività qualificate e gratificanti, in progetti di formazione e sviluppo delle competenze, nonché in termini di possibili avanzamenti di carriera.

 

Il carattere di classe della tecnologia e dell'organizzazione del lavoro

Le conseguenze che alcune tecnologie – segnatamente quelle di Industria 4.0 – e organizzative _ sistemi Lean Production - possono determinare sulla condizione di lavoro sono assai chiare. A questo punto una precisazione si impone: il punto di vista sulla tecnologia di chi scrive non è né di tipo “tecnofobicocatastrofista” né di tipo “entusiastico-fideistico”.

Questi approcci, seppur agli antipodi, risultano speculari tra loro condannando l’azione sindacale all’impotenza assoluta: nell’un caso, la forza e la prevasività delle nuove tecnologie sarebbero tali da produrre esiti negativi sui quali nulla è possibile fare; nell’altro caso si tratterebbe semplicemente di attendere che le “magnifiche e progressive” sorti del progresso dispieghino i loro benefici.

Al contrario, scevri da ogni determinismo tecnologico, possiamo trovare conferma, nei casi studio, del carattere sociale della tecnologia e della sua non neutralità. Questo significa continuamente sottoporre a revisione critica, e a partire da un preciso punto di vista – quello della classe lavoratrice – quali sono i portati delle scelte tecnologiche operati dalle imprese La tecnologia non è affatto neutrale, a partire dalla sua progettazione e dall’individuazione degli obiettivi che con essa si intendono perseguire. In altre parole, ogni scelta tecnologica, lungi dall’essere dettata da meri motivi di scientificità ed oggettività, risponde a scelte sociali e politiche ben precise.

Sul primo numero dei Quaderni Rossi, nel celebre saggio “Sull’uso capitalistico delle macchine nei neocapitalismo”, Raniero Panzieri (1961, pag. 54) ebbe modo di sottolineare come “Lo sviluppo della tecnologia avviene interamente all’interno di questo processo capitalistico”, da cui consegue che l’uso capitalistico delle macchine non rappresenta una deviazione o una distorsione da un percorso di sviluppo oggettivo, ma è esso stesso a determinare lo sviluppo tecnologico.

Quindi, “Lo sviluppo capitalistico della tecnologia comporta, attraverso le diverse fasi della razionalizzazione, di forme sempre più raffinate di integrazione ecc., un aumento crescente del controllo capitalistico” Panzieri (1961, pag. 56).

Anche David Noble (1979, p. 101) ha opportunamente sottolineato che “La tecnologia di produzione è quindi determinata due volte dalle relazioni sociali di produzione: in primo luogo, è progettata e messa in opera secondo l’ideologia e il potere sociale di coloro che prendono queste decisioni; e in secondo luogo, il suo effettivo utilizzo nella produzione è determinato dalle vicissitudini delle lotte tra le classi nei luoghi di produzione”.

La tecnologia, quindi, presenta un fortissimo carattere sociale: svelarne il segno di classe può consentire ai lavoratori e alle loro organizzazioni di comprendere, in anticipo, quali conseguenze possono determinare l’implementazione di un software, di un robot, di un impianto automatizzato ecc.

Ovviamente questo comporta anche lo sforzo di comprenderne le logiche che ne ispirano il funzionamento: da qui l’esigenza, sia attraverso specifici momenti di formazione – anche tecnica – che di inchieste sul campo, di realizzare opportuni approfondimenti.

 

Diritti di informazione e gestione delle informazioni

Poiché gli investimenti in Industria 4.0 e le innovazioni organizzative ad essi associate determinano impatti significativi sul lavoro è necessario che siano oggetto di informazione preventiva da parte delle imprese per consentire ai lavoratori e alle loro rappresentanze di comprenderne gli effetti e, di conseguenza, definire la propria posizione ed eventuali iniziative. Nei Contratti Nazionali, tra le materie oggetto di informazione e consultazione, rientrano quelle decisioni dell’impresa suscettibili di comportare rilevanti cambiamenti nell’organizzazione del lavoro.

Nel corso delle inchieste si è constatato come tale obbligo sia stato ottemperato in modo prevalentemente burocratico-formale, spesso evitando di entrare nel merito delle caratteristiche delle innovazioni tecnologiche ed organizzative introdotte, impedendo che le stesse divenissero oggetto di contrattazione. Ne consegue che, spesso, le iniziative di investimento e di riorganizzazione delle aziende vengono assunte in modo unilaterale mettendo i lavoratori di fronte al fatto compiuto.

Al contrario, il concreto esercizio dei diritti di informazione deve costituire un elemento di relazioni sindacali improntate ad una reale democrazia ed effettiva partecipazione, cioè autonoma e non subalterna, dei lavoratori e delle loro rappresentanze sindacali per la contrattazione delle condizioni di lavoro.

Per quanto concerne la gestione delle informazioni dei processi produttivi, si è realizzato un ribaltamento di prospettiva. In precedenza, quella di disporre

di uno strumento informativo che evidenziasse il programma di produzione, i tempi di realizzazione e i risultati raggiunti in termini di volumi realizzati era una richiesta sindacale.

In passato diversi accordi sindacali, tra cui l’accordo del 26 giugno 1969 alla Fiat, stabilivano l’obbligo per l’azienda di comunicare la produzione complessiva che si intendeva realizzare a turno e, di conseguenza, il numero di operai necessari.

Era altresì prevista l’affissione dei singoli tempi di tutte le operazioni da eseguirsi sulla linea: si trattava del famoso tabellone, che rappresentava una conquista in materia di diritti di informazione e che poteva essere utilizzato come strumento di controllo da parte dei lavoratori e dei delegati.

Al contrario nella fase attuale, grazie ad un particolare utilizzo delle nuove tecnologie, strettamente intrecciato con i principi lean dei modelli di organizzazione del lavoro, questi aspetti si sono trasformati in una forma di controllo e pressione sul lavoro da parte delle imprese.

Se in diversi stabilimenti il cartellino di lavoro non è disponibile agli operatori, sono invece ben presenti nei reparti degli strumenti (tabelloni elettronici, Andon, ecc.) che consentono di visualizzare in tempo reale lo stato di avanzamento della produzione (ritardi rispetto al programmato, ecc.) – strumenti che si configurano come strumenti di controllo a disposizione delle gerarchie aziendali e che esercitano una notevole pressione nei confronti dei lavoratori.

Viene utilizzato in particolare l’Andon, cioè un pannello digitale sul quale vengono visualizzate una serie di informazioni in tempo reale: la quantità prodotta rispetto quella prevista, i difetti e i guasti con l’indicazione della postazione in cui si sono verificati; a volte viene inserito anche un segnale sonoro che indica l’approssimarsi del tempo da rispettare per ciascuna operazione (Takt Time).

Ovviamente tutto questo viene presentato sotto il presunto segno della “trasparenza”, quando in realtà si tratta di una gestione delle informazioni di tipo unilaterale e finalizzata ad esercitare pressione e controllo nei confronti dei lavoratori.

 

Innovazioni e produttività (e sfruttamento)

Le aziende con questi investimenti si propongono l’obiettivo di aumentare la produttività, con conseguenze occupazionali che non sembrano tradursi, almeno nell’immediato, in esuberi e licenziamenti (quantomeno non di massa), quanto piuttosto in un mancato allargamento dell’organico anche a seguito di possibili aumenti dei volumi produttivi dovuti, appunto, all’accresciuta produttività.

Viene fuori, quindi, il carattere labour-saving di questi investimenti tecnologici: la capacità per le imprese di fare più, con meno (lavoro). Per questo motivo si impone all’ordine del giorno per il Sindacato la capacità di contrattare con le imprese questi aumenti di produttività: chi deve fruire dei vantaggi della stessa? Soltanto le imprese?

Questa discussione appare sempre più urgente anche alla luce degli interventi operati dai vari Governi sul tema della produttività e, quindi, della contrattazione di secondo livello. Con provvedimenti normativi di defiscalizzazione, i Governi hanno continuamente cercato di spostare il baricentro della contrattazione al livello aziendale, premiando quella contrattazione di secondo livello che aggancia il salario variabile agli aumenti di produttività, da leggersi esclusivamente come incrementi di redditività aziendale.

La produttività viene calcolata esclusivamente a livello aziendale, quando in realtà sarebbe più corretto calcolarla a livello di subsistema (o, per dirla in termini meno tecnici e precisi, a livello di filiera). Il tema della produttività (in termini fisici, cioè di prodotto realizzato per ore lavorate) andrebbe spostato dal livello aziendale (dove non significa altro che redditività dell’impresa) a quello di filiera.

E andrebbe ricondotto alla questione centrale: quella cioè di come e in che misura le imprese stanno incrementando l'estrazione di plusvalore.

 

Tempi, saturazioni, controllo sul lavoro

Le tecnologie 4.0, combinate con i sistemi organizzativi della lean production, determinano una forte compressione dei tempi ciclo, un peggioramento dei ritmi di lavoro e un aumento delle saturazioni, intensificando così la prestazione lavorativa. Questo può accadere sia nelle fabbriche di produzione manifatturiera, sia nelle imprese di software che in quelle che realizzano interventi di manutenzione/assistenza, che nei servizi commerciali e di distribuzione.

Per cercare di nascondere questi effetti, il tentativo delle aziende è quello di “oggettivare” tempi e ritmi, dando loro una parvenza di scientificità incorporandoli in dispositivi e procedure, e sottraendoli quindi alla contrattazione formale ed informale.

I tempi ciclo, quindi, anziché apparire per quello che sono, cioè decisioni sociali delle imprese, vengono presentati come qualcosa di oggettivo, determinato unicamente dalla tecnologia e, oltretutto, nascosto alla percezione dei lavoratori.

Gli strumenti informatici sono proprio funzionali a questo scopo: tramite la lettura dei codici a barre collegati agli ordini di lavoro, con lettori ottici e PC a bordo macchina/linea, oppure con comunicazione via MES, all’operatore viene imposto il tempo ciclo entro il quale concludere l’operazione. Contestualmente, si avvia il conteggio del tempo effettivamente impiegato consentendo in tal modo il controllo in tempo reale ed in remoto della prestazione lavorativa.

I tempi ciclo sono quindi incorporati negli ordini di lavoro definiti dai dipartimenti di ingegneria, tramite software gestionali ERP che programmano la produzione e ne definiscono la schedulazione (spesso tramite MES). Gli strumenti informatici, in particolare il MES, vengono utilizzati anche per comunicare gli ordini di lavoro direttamente in postazione (su monitor, tablet ecc.); tali ordini incorporano già il tempo assegnato per lo svolgimento delle operazioni sottraendolo alla conoscenza, al controllo e alla possibilità di negoziazione dei lavoratori. La stessa cosa avviene con l’utilizzo dei dispatching tools – nel settore della manutenzione/assistenza/riparazione ecc. - che, combinando l’utilizzo di un software di schedulazione con un dispositivo (tablet, smartphone ecc.), fanno pervenire agli operatori l’elenco degli interventi da realizzare comprensivi già del tempo da impiegare.

Quando le operazioni coinvolgono uno strumento, i tempi ciclo dipendono dai programmi in esso incorporati, che a loro volta definiscono con precisione i tempi di lavoro, trasformando i lavoratori in mere appendici.

Da qui l’intensificazione dei ritmi di lavoro: le operazioni svolte dai lavoratori sono spesso complementari a quelle svolte dalle macchine, che funzionano in modo sempre più rapido; con il pretesto dell’automazione, i lavoratori si trovano in carico più di una macchina contemporaneamente (come visto, anche sei), e devono anche svolgere una serie di operazioni – self-check, controllo qualità, burocrazia – che prima erano affidati ad altri ma che, in quanto classificati come attività a non valore aggiunto, vengono “caricati” sugli operatori "di linea". Tutti questi compiti sono normalmente svolti con l’ausilio di dispositivi come tablet, PCecc; i dati sono immediatamente caricati sui server dei sistemi informativi aziendali attraverso ERP o MES e resi visibili in tempo reale agli uffici deputati al controllo e al monitoraggio, magari anche collocati in altre sedi o, addirittura, in altri paesi.

In generale tempi di lavoro e saturazioni spesso non sono contrattati, ma imposti unilateralmente dalle aziende, non di rado senza fornire informazioni ai lavoratori e alle loro rappresentanze circa i sistemi e le metriche adottate, prestando così il fianco ad una possibile gestione discrezionale ed arbitraria da parte delle gerarchie aziendali.

Ritornare a discutere di vincoli, cadenze, tempi ciclo, rendimenti, saturazioni significa ritornare a discutere di organizzazione del lavoro e, quindi, di organici, cioè di livelli occupazionali.

Il vincolo, inteso come l’obbligo di adeguare i propri ritmi di lavoro al tempo ciclo, non riguarda solo il lavoro direttamente impiegato nella produzione di un bene fisico, di un servizio o di un software: con la nuova organizzazione del lavoro ogni singola fase deve essere strettamente sincronizzata con il processo nel suo complesso. La cadenza, quindi, non indica solo la velocità con cui il semilavorato (sia esso un oggetto fisico, un servizio o un software) si sposta tra le fasi di lavoro, ma consente di definire il tempo ciclo per ogni singola figura lavorativa.

Per ogni turno esiste la possibilità di definire una cadenza massima qualora si allentasse il vincolo determinato dal just-in-time – presentato, come nel caso delle tecnologie, come oggettivo e immodificabile, quando in realtà si tratta di una decisione sociale.

Il problema è completamente ribaltato dalle imprese: prima vengono definiti i target produttivi (in termini di pezzi, interventi, rilasci ecc. al giorno), e sulla base di questo vengono definiti i tempi delle prestazioni e la conseguente organizzazione del lavoro.

Per questo assume rilevanza centrale la saturazione massima individuale che indica la quantità di lavoro massimo assegnabile ad ogni lavoratore. Molto più problematico sarebbe, invece, determinare la saturazione individuale media per costruire e verificare globalmente il carico di lavoro di ogni lavoratore, cioè la somma dei carichi di lavoro di un turno, perché questa può comportare notevoli differenze di intensità di prestazione nel corso del turno di lavoro.

In questo modo la contrattazione può ritornare a definire condizioni di lavoro meno pesanti e a incidere sugli organici. Rispetto alla produzione impostata, infatti, il concetto di saturazione massima individuale (istantanea) consente di stabilire l’organico necessario a realizzare gli obiettivi produttivi, rivendicando un numero maggiore di addetti.

Deriva da qui la necessità, nel definire la saturazione, di riprendere la contrattazione sui fattori di maggiorazione (fattori di riposo, di affaticamento, imprevisti, condizioni ambientali, stress ecc.) che devono tener conto del nuovo carico di lavoro comportato dalle nuove tecnologie.

Strettamente associato al tema dei tempi vi è quello del controllo sulla prestazione lavorativa. Le tecnologie 4.0, garantendo la tracciabilità di ogni operazione e del relativo stato di avanzamento, consentono un controllo pervasivo ed in tempo reale sui lavoratori.

I software consentono di pianificare la produzione e di verificare in tempo reale il rispetto di scadenze e passaggi. I dati relativi a programmazione, schedulazione e monitoraggio sono gestiti da un singolo software, o comunque disponibili su un’unica piattaforma.

Gli operatori registrano inizio e fine di ogni operazione con l’ausilio di strumenti informatici che caricano i dati nel sistema informatico, rendendoli immediatamente visibili agli uffici preposti al controllo del processo.

Nel caso delle operazioni manifatturiere il controllo si esercita attraverso l’associazione del badge dell’operatore – tramite lettura di codici a barre o l’inserimento dei dati in dispositivi ICT (PC bordo linea/macchina o di reparto, tablet ecc.) – con il codice del ciclo e/o dell’ordine di lavoro da eseguire; con le macchine e i componenti utilizzati; con la produzione realizzata. Le macchine stesse producono, durante il loro funzionamento, dati relativi alle fasi svolte, alla lavorazione di ciascun lotto, ad eventuali problemi che ne limitano la funzionalità.

Lo stesso meccanismo viene applicato nel caso degli interventi di manutenzione/assistenza con l’aggravante che i lavoratori sono anche geolocalizzati.

Non è esente il lavoro d’ufficio: oltre al classico meccanismo di registrazione di inizio/fine delle operazioni, esistono software in grado di tracciare le varie funzioni “cliccate”, verificando eventuali errori, sovrapposizioni o ripetizioni, attività a non valore aggiunto, ecc. Inoltre, come visto, strumenti come il DevOps e lo Scrum sono espressamente finalizzati a monitorare in continuo gli stati di avanzamento del lavoro, anche per singole figure professionali, anche mediante l’utilizzo di strumenti informatici.

Per questo l’estrazione in tempo reale di informazione dai dati consente un controllo in tempo reale delle prestazioni di ciascun dipendente. La “fabbrica trasparente” è proprio questo: un potente dispositivo di controllo dei lavoratori.

Questo obiettivo è insito anche nel Piano del Governo Impresa 4.0: le caratteristiche obbligatorie che, per legge, devono avere i beni strumentali che consentono di fruire dell’iperammortamento prevedono che gli stessi debbano essere controllati per mezzo di CNC o PLC, essere interconnessi ai sistemi informatici con caricamento da remoto di istruzioni e/o part program, essere integrati in maniera automatizzata con il sistema logistico dell'impresa o con la rete di fornitura e/o con altre macchine/strumenti del ciclo produttivo, disporre di sistemi di controllo in remoto, consentire il monitoraggio in continuo delle condizioni di lavoro e dei parametri di processo attraverso sensori ecc.

Sono inoltre agevolabili fiscalmente sistemi di monitoraggio in process per la tracciabilità del processo produttivo connessi al sistema informativo, sistemi intelligenti e connessi di marcatura e tracciabilità dei lotti e dei singoli prodotti (RFID, bar code, geolocalizzazione, IoT ecc.), sistemi di monitoraggio e controllo delle condizioni di lavoro delle macchine ecc.

Le aziende non avranno più bisogno di installare sistemi di video-sorveglianza, la cui efficacia è di gran lunga inferiore a quella degli strumenti ICT.

In questo senso, la riforma dell’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori operata con il Jobs Act rischia di avere conseguenze molto pesanti: in essa si prevede che non è soggetto ad accordo sindacale (né all’autorizzazione dell’Ispettorato del lavoro) l’utilizzo di strumenti che possono comportare controllo a distanza nel caso in cui siano utilizzati dal lavoratore per rendere la propria prestazione lavorativa.

Le imprese saranno libere di disporre di strumenti in grado di controllare la prestazione lavorativa senza doverli sottoporre ad accordo sindacale: tale obbligo è imposto solo nel caso di strumenti unicamente destinati al controllo, laddove nel caso delle tecnologie 4.0 esiste piuttosto una potenzialità di controllo come caratteristica intrinseca, che grazie alla riformulazione dell’articolo 4 lascia le mani libere alle imprese.

Andrebbe operata quindi una distinzione di funzionalità degli strumenti ICT: quelle di supporto al processo lavorativo vanno separate da quelle che consentono di esercitare forme di controllo, pretendendo che queste ultime vengano sottoposte ad accordo sindacale per regolarne l’utilizzo.


[1] T. Ohno, Lo spirito Toyota, 2004, Torino; J. P. Womack, D. T. Jones, D. Ross, The machine that chenged the world, 2007, New York; B. Coriat, Ripensare l’organizzazione del lavoro, 1991, Bari.

[2] G.J. Kim, P. Humble, J.W. Debois, The Devops Handbook. How to Create World–Class Agility, Reliability & Security in Technology Organizations, 2016, Portland; L. Leite, C. Rocha, F. Kon, D. Milojiccic, P. Meirelles, A Survey of DevOps Concepts and Challenges, in ACM Computing Surveys, 2019, vol. 52, 6, Article 127.

[3] K. Schwaber, J. Sutherland, The Scrum Guide. The Definitive Guide to Scrum: The Rules of the Game, 2020, disponibile in: https://scrumguides.org/; S. Sachdeva, Scrum Methodology, in International Journal Of Engineering And Computer Science, 2016, Vol. 5, 6, 1679-6799; M.R.J. Qureshi, I. Sayid, Scheme of Global Scrum Management Software, in I.J. Information Engineering and Electronic Business, 2015, 2, -

[4] F. Santoni, L’obbligazione di risultato nei contratti di lavoro tra vecchi e nuovi problemi, in Massimario di giurisprudenza del lavoro, n. 4/2019, 92-33

[5] M.G. Wolf, Selecting the Right Performance Management System, in The Talent Management Handbook Creating Organizational Excellence by Identifying, Developing, and Promoting Your Best People, a cura di L. A. Berger, D. R. Berger, 2004, New York, 85 ss.

[6] G. Giugni, Organizzazione dell’impresa ed evoluzione dei raporti giuridici. La retribuzione a cottimo, in Rivista di diritto internazionale del lavoro, -, 1968; M. Roccella, Manuale di diritto del lavoro, 2008, Torino, 343 ss.

[7] FIOM, Dispensa per corso sindacale. Il cottimo, senza data (anni ‘60).

[8] CGIL, Tempi e cottimi, 1967, Roma.

[9] Risultati analoghi sono stati riscontrati in precedenti ricerche svolte nell’ambito dell’ICT, si veda ad esempio: D. Di Nunzio, G. Ferrucci, M. Mensi, Il lavoro informatico. Reti organizzative, condizioni di lavoro e azione sindacale, 2019, Roma.

[10] Sui tempi di svolgimento della prestazione e sulla durata delle attività di lavoro cfr. B. Maggi, Smart working: le false promesse, in M. Neri (a cura di), Smart working: una prospettiva critica. Quaderno del programma di ricerca L’officina di organizzazione, 2017, Bologna.

[11] A. Mazzei, A. Nastri (a cura di), Terziario avanzato ICT. Le job description aziendali e il riconoscimento delle professionalità, Supplemento n. 5 al n. 1/2013 anno III del periodico Ebinter News – Bilateralità nel terziario, 2013, Roma; M. Gaddi, Industria 4.0: più liberi o più sfruttati?, 2019, Milano.

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