Il manifesto di bordo - di Riccardo Chiari

Quasi non fanno più notizia i drammi che si ripetono ogni giorno nel Mediterraneo centrale. Solo pochi giorni fa la nave Ocean Viking ha salvato 422 migranti, e ora nel Canale di Sicilia sono arrivate anche la Open Arms e la Sea Watch 3. E proprio sulla nave diventata famosa per lo scontro fra Matteo Salvini e la capitana Carola Rackete c’è un marinaio d’eccezione, il redattore del manifesto Giansandro Merli.

La sua presenza è legata a un progetto che il quotidiano comunista ha messo in cantiere: “Siamo a bordo per andare a vedere da vicino – spiega Merli - e raccontarvi in presa diretta quello che accade nel Mediterraneo”. Con l’aiuto della fotografa Selene Magnolia, sul sito del giornale è possibile vedere gallerie fotografiche del viaggio e video con gli aggiornamenti di giornata e interviste all’equipaggio, e c’è infine la possibilità di seguire la rotta e leggere il diario di bordo redatto dal cronista.

L’hashtag #ilmanifestodibordo è subito diventato familiare fra i lettori del quotidiano, e fra gli italiani (e italiane) sensibili ai drammi e alle tragedie che da anni hanno come teatro il braccio di mare che separa l’Africa dall’Europa. Una buona notizia, al pari del ritorno ai “porti aperti” dopo i terribili 18 mesi passati con Matteo Salvini ministro dell’Interno, nel primo esecutivo M5s-Lega di Giuseppe Conte. Del resto ben tre convenzioni internazionali, quella della Nazioni Unite sul diritto del mare del 1982, quella per la sicurezza della vita in mare del 1974, e quella sulla ricerca e il soccorso in mare del 1979, sanciscono non solo l’obbligo per gli Stati di soccorrere quanti si trovano in pericolo di vita in mare, ma anche quello di far arrivare i naufraghi in un porto sicuro. Escludendo gli approdi in Paesi nei quali “la loro vita e la loro libertà sarebbero minacciate”. Libia in primis.