Appalti, è ora di cambiare - di Nadia Cima e Serenella Cavalli

Noi lavoriamo come ausiliarie nei nidi e materne del Comune di Brescia: svolgiamo un lavoro di supporto indispensabile per le educatrici comunali, che non lavorano senza la nostra presenza.

Chi svolgeva ruoli in qualità di dipendente comunale, negli anni passati, e svolge ancora oggi in alcuni plessi il nostro lavoro, viene retribuito 9,63 euro l’ora (più indennità varie) per 12 mesi all’anno.

Noi, come tutte le dipendenti delle aziende in appalto, percepiamo invece 7,16 euro l’ora, tale è la retribuzione del 2° livello parametro 115, per 10 mesi l’anno, visto che nei mesi di sospensione del servizio non riceviamo nulla, né di stipendio né di indennità di disoccupazione, né riceviamo gli assegni famigliari.

Questo è il frutto di un sistema, quello degli appalti, che, anche se gestito da amministrazioni di centro sinistra/progressiste, come quella di Brescia, ha sancito negli anni un continuo e costante abbassamento dei diritti e dei salari delle lavoratrici e dei lavoratori impegnati negli appalti.

La nostra condizione è analoga a quella di tante lavoratrici e lavoratori che nella scuola, negli ospedali, nelle amministrazioni pubbliche e nelle imprese private stanno svolgendo attività lavorative oggi in appalto; attività che in passato erano svolte da personale più garantito e meglio pagato. Ci riferiamo al personale che dipendeva direttamente dalle amministrazioni pubbliche e dalle aziende private per le quali svolgeva i servizi.

Da anni il sindacato si batte per garantire i diritti dei lavoratori degli appalti e per la trasparenza degli stessi. Dobbiamo, però, prendere atto degli scarsi risultati di questo impegno.

La stampa ci ricorda spesso come negli appalti i casi di infiltrazione criminale, gli scandali e le mazzette siano comuni.

Ancora più diffusi nel settore, e la Filcams-CGIL lo sa bene, sono le violazioni degli stessi istituti contrattuali e dei diritti dei lavoratori che diverse aziende mettono in atto; aziende che confidano nella debolezza delle lavoratrici costantemente “ricattate dal bisogno”, che non sempre hanno il coraggio o la possibilità di rivendicarli.

Preso atto di questa situazione forse sarebbe più opportuno iniziare una battaglia finalizzata alla reinternalizzazione mirata dei servizi oggi in appalto.

Nel 2019 il Governo ha proceduto a reinternalizzare i servizi di pulizia nelle scuole: dal 1° marzo 2020 circa 12.000 lavoratici, che per anni hanno fatto le pulizie nelle scuole per cooperative le quali a volte non garantivano neppure il pagamento delle retribuzioni, sono diventate dipendenti della scuola. Entro l’anno un nuovo concorso consentirà ad altre 1.600 di coloro che avevano più di 5 anni di servizio nelle pulizie scolastiche di essere assunte dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca. Abbiamo conosciuto diverse di loro, perché hanno partecipato insieme a noi alle iniziative messe in campo dalla Filcams-CGIL di Brescia per ottenere il riconoscimento dei mesi di sospensione ai fini pensionistici e siamo molto contente che finalmente abbiano raggiunto una stabilità occupazionale.
[Nella legge di stabilità 2021, infatti, è stata finalmente inserita una norma che, a 10 anni dalla sentenza della Corte di Giustizia europea, adegua la legislazione italiana alle direttive Ue, che vietano la discriminazione nell’accesso alla pensione per i part-time ciclici verticali. Dal 1° gennaio 2021, grazie a questa modifica, una parte delle centinaia di migliaia di lavoratrici e lavoratori con contratti part-time ciclici potranno recuperare settimane, mesi, anni utili per accedere alla pensione, senza la necessità, come in questi anni, di promuovere ricorsi amministrativi e vertenze giudiziarie contro l’Inps, cfr. Giorgio Ortolani, “Una vittoria dopo anni di lotta” su sinistra sindacale, n.21, del 30 novembre 2020, ndr]

Riteniamo che il sindacato dovrebbe iniziare una campagna che evidenzi quelle che sono state le conseguenze per i lavoratori dell’estensione, dagli anni ‘90 ad oggi, del sistema degli appalti, e promuovere una seria iniziativa per ridurli.

Non immaginiamo che da un giorno all’altro si possa cambiare la situazione e si possano eliminare gli appalti dappertutto.

Vi sono attività lavorative in cui l’appalto ha un senso, specie se legato a particolari specializzazioni o professionalità, oppure perché limitato nel tempo (rifare una strada o una rete elettrica di un comune ecc.). Ma vi sono molte altre realtà dove l’appalto è continuo: pulizie o servizi nelle scuole, negli ospedali, nelle amministrazioni pubbliche e anche nelle imprese private: ha senso continuare con gli appalti di quei servizi anno dopo anno? Si tratta di servizi il cui costo è quasi interamente determinato dal costo del personale.
Quale amministrazione pubblica o azienda, se ne ha, come oggi accade, la possibilità, non tenta di ridurre i costi (cosa poi non sempre vera), appaltando i servizi con l’obbiettivo di ridurre i costi? Riduzione dei costi che si traduce poi in meno diritti e meno salari per i lavoratori.

Le stesse forze politiche che a parole si dicono a favore dei diritti dei lavoratori, si esprimono contro la precarietà e contestano la politica dei bassi salari proponendo magari il salario minimo nazionale; poi però, nell’agire quotidiano, quando governano le amministrazioni pubbliche, fanno scelte che inevitabilmente producono precarietà e bassi salari per lavoratori e lavoratrici.

Sappiamo che non è semplice cambiare la situazione esistente, ma se vogliamo concretamente migliorare la condizione di vita e di lavoro di lavoratori e lavoratrici in appalto, dobbiamo mettere in discussione il sistema degli appalti, che produce precarietà e povertà.
La CGIL e la Filcams, che rappresentano gran parte delle lavoratrici e dei lavoratori degli appalti, devono provarci!