“Lavoro a mano armata”. Una affatto ordinaria storia di proletarizzazione… - di Nicola Atalmi

La compagnia di intrattenimento via internet on demand Netflix ci ha abituati ad una moltiplicazione della offerta di film e serie tv che difficilmente avrebbero trovato posto nei canali televisivi tradizionali ma anche nella produzione cinematografica delle major.
Ci trovi serie televisive su Trotsky (peraltro orrenda), film di Bollywood, serie tv africane, produzioni esclusive e puoi anche inciampare in qualche bel frammento lotta di classe.

“Lavoro a mano armata” (Dérapages, chi s’intende di automobilismo coglierà la sfumatura del titolo originale francese e la creatività del traduttore italiano, più di quello inglese che alla Ken Loach ha tradotto il titolo in Inhuman Resources, ndr) già nel titolo regala un brivido che a noi italiani ricorda parecchie cose, anche dolorose.

In questa serie, prodotta da Arté in Francia, si parla, e parecchio, di lotta di classe, del capitalismo finanziarizzato dei nostri tempi, di spietati amministratori delegati che snocciolano esuberi con malcelata eccitazione, di pistole, carceri e soldi.

Tutto ciò è possibile grazie a lui, protagonista assoluto, calciatore di successo, poi attore, ribelle e outsider.

Éric Cantona, calciatore francese (ma con sangue anche catalano e sardo ci tiene a precisare), classe ’66, stella del Manchester United, interpreta Alain Delambre, ex manager rottamato di 57 anni, che si trascina tra lavori precari da sei anni, mentre il suo mondo, la sua famiglia, il suo stesso appartamento si sgretolano davanti ai suoi occhi, relegandolo ai margini della società assieme ai precari, ai migranti, agli sconfitti.

Ma lui non ci sta e decide di riprendersi tutto e con gli interessi a dire il vero, con un perfetto “lavoro a mano armata”.

Come Éric Cantona durante una partita interruppe una azione per andare prendere a calci un tifoso nazi venendo squalificato per otto mesi ma commentando poi: “Prendere a calci un fascista è stata la cosa migliore che ho fatto in tutta la mia carriera avrei dovuto calciare più forte. Non posso pentirmi. Mi sono sentito benissimo. Ho imparato molto da questo episodio e credo che anche lui”, così il suo personaggio Alain Delambre di fronte al manager che punta a licenziare 1250 dipendenti per rilanciare l’azienda in borsa, prende la pistola e a chi in famiglia gli fa la morale per come vuole uscire, in modo diciamo originale, da un destino di disoccupazione risponde: “Chi cerca lavoro è in guerra. I vincitori sopravvivono, gli altri muoiono”.

È una storia, tratta dal libro di Pierre Lemaitre, sul capitalismo nazionale alla francese corrotto e corruttore, una storia di sommersi e salvati, ma è anche un godibile legal-thriller che ci parla di come il mercato giochi con le vite delle persone tentando sempre di stritolarti se non sei pronto al tutto per tutto per difenderti.

Una miniserie di soli 6 episodi con una grande regia di Ziad Doueiri, allievo di Tarantino che ci consegna un gigantesco Éric Cantona con una interpretazione che regge da sola tutta la storia. Un pallonaro di successo che si è ritirato presto per dedicarsi alle sue passioni, Pasolini e Bukovsky, che ha recitato per Ken Loach, che è l’idolo di Liam Gallagher “è l’ultimo calciatore rock’n’roll” e nemico di Cristine Lagarde per la sua lotta contro il sistema bancario francese, ci porta al centro di una vicenda che peraltro si basa su una assurda storia vera di giochi di ruolo per manager senza scrupoli con esiti paradossali.

Da vedere per riflettere su come il liberismo finanziarizzato stia sempre più dimostrando la sua insostenibilità sociale e per chiedere a noi stessi di non abituarci ad un sistema delle imprese che misura i suoi successi sulla capacità di realizzare tagli al personale tanto sanguinosi quanto profittevoli.

Salta il confine tra il lecito e l’illecito, tra l’accettabile e lo scandaloso, tra i mezzi ed i fini, tra dentro e fuori dal carcere, tra lavoro e salario, tra vita e profitto.

Del resto, la stella dei diavoli rossi alla fine ci ricorda sornione una antica verità già del buon vecchio compagno Brecht: “cos’è rapinare una banca a paragone del fondare una banca?”