La quistione: rivoluzione sociale o reazione completa! - di Giuseppe Rizzo Schettino

[La prima, seconda parte e terza parte di questo articolo sono stati pubblicati, con i titoli “Alle origini del socialismo italiano”, “I democratici e la rivoluzione italiana: dalla guerra per bande al ‘fare massa’” e “Mazzini, il suo programma e le critiche dei primi socialisti” sui nn. 1, 6 e 7 di ‘Reds’, a. IX, 2020]

Caduta Roma, dove, nel suo ruolo di Capo di Stato Maggiore, si comportò egregiamente sotto il punto di vista organizzativo e per le sue vedute, Pisacane toccò Marsiglia, Ginevra, Losanna, Londra, Lugano e infine Genova, dove rimase fino alla sua partenza per Sapri.

Prima di occuparci però della sua prima opera, intitolata Guerra combattuta in Italia negli anni 1848-49, del 1851, enucleeremo, da alcuni suoi opuscoli e da una serie di suoi articoli, apparsi, precedentemente a essa, sulla mazziniana “Italia del Popolo”, alcune idee che ne fanno un uomo avviato verso il socialismo. Innanzitutto Pisacane era più che convinto che le rivoluzioni fossero il “punto trigonometrico” della Storia, che segnassero cioè il passaggio da un periodo di progresso all’altro e che fossero il trionfo delle idee, “l’astratto tradotto in realtà e azione”. Inoltre la grande partecipazione di popolo acclaratasi nel ’48, gli aveva dimostrato come lungo tutta la penisola la “rivoluzione morale” fosse un fatto assodato e che rimanesse da compiere solamente quella “materiale”. Alla luce di ciò, forza motrice del cambiamento sarebbe dovuta essere, per lui, la “ragione”, concepita come il “principio ordinatore di una società migliore”, l’unica capace di avvicinare l’uomo alle “leggi di natura”. Sul piano squisitamente tecnico-militare, egli propendeva per il principio della “massa”, di un assembramento celere degli uomini sorti dall’insurrezione, volto a creare un esercito rivoluzionario da contrapporre a quello nemico, concezione che relegava inevitabilmente la guerra per bande in una dimensione accessoria della rivoluzione nazionale. A questo riguardo, egli si esprimeva così: “In uno Stato ove esistono le armi, gli arsenali ed i cavalli, è cosa facilissima porre in piedi un esercito. Molti vedono ciò impossibile; essi, credendo lunghi e difficili i metodi militari, vagheggiano solamente il sistema di combattere insurrezionale, alla spicciolata, il quale non può menare a decisivo successo. Il grande errore sta nel credere un metodo distinto ciò che non è altro che l’infanzia dell’arte militare. Questi due metodi di combattere non esistono separati, ma l’uno è il punto donde l’altro mosse per giungere al presente grado di perfezione”. E fino al “disarmo universale”, conseguenza di un mondo di nazioni indipendenti e libere, l’esercito auspicato dal partenopeo sarebbe dovuto coincidere con i cittadini, in una prospettiva di “nazione armata”.

Sviluppate e accresciute, in un insieme incardinato nel racconto dei fatti occorsi in Italia dal 1848 al 1849, queste idee convoglieranno nel suo primo libro, pubblicato a Genova, che lo rivelerà un socialista completo, un’opera importante anche perché eleverà Pisacane al pari di Giuseppe Ferrari, Giuseppe Montanelli, Carlo De Cristoforis, Ausonio Franchi ecc., a formare un embrionale partito alla sinistra di quello mazziniano. Come è noto, nelle loro opere, questi uomini, chi più, chi meno, affermavano che la rivoluzione italiana non poteva non essere anche sociale. In una lettera del 19 aprile 1850 Pisacane lo diceva chiaramente: “Negli avvenimenti politici, io penso che questa sia una tregua; la quistione io la vedo da per tutto mascherata, rivoluzione sociale, o reazione completa; che la seconda proceda senza una lotta io lo credo impossibile; questa lotta sarà ingaggiata al primo movimento che vi sarà in una parte qualunque d’Europa; il paese iniziatore di questa rivoluzione sociale, io credo sarà la Francia o l’Italia. Ma quando le ostilità cominceranno, il quale sarà il risultato della lotta, non è facile prevederlo. Intanto una prima campagna, in favore delle nuove idee sociali non mi sembra lontana; e se i popoli saranno vinti, allora dormiremo, e forse noi non vedremo la rigenerazione della società, la quale deve succedere con la stessa certezza, che il giorno deve succedere alla notte”. Come si sarà assaporato da queste parole, rispetto ai suoi colleghi di pensiero, Pisacane si distinguerà per un’analisi materialista e classista del nostro paese. La sua collisione con Mazzini, che vedeva un popolo indistinto, giudicato spiritualmente, che, per di più, chiedeva azione e non ragionamento, divenne inevitabile.