Davvero è ripresa la vita “normale”? - di Federico Antonelli

La relazione alla riunione nazionale della sinistra sindacale FILCAMS-CGIL del 17 giugno 2020 (1)

In questi giorni riaprono le palestre, i bar delle grandi città tornano ad affollarsi, negli occhi delle persone ritorna la voglia di divertirsi e svagarsi dopo i mesi della pandemia: ma questa voglia di vita è davvero il sintomo di una ripresa della vita normale? La crisi sanitaria mondiale non è finita. E’ stata affrontata partendo da due estremi: la Cina, che ha attuato azioni rigide, con la chiusura completa delle città più coinvolte, e Brasile e Stati Uniti che hanno attuato politiche negazioniste. Questi due paesi stanno galoppando verso il non invidiabile record di morti e contagi. L’Europa ha gestito l’epidemia in maniera disomogenea con il nostro paese, il più colpito ma anche il più radicale nelle misure di contenimento alla diffusione del virus. Non è bastato però adottare queste misure straordinarie per limitare i danni a causa di un sistema sanitario impreparato: la distruzione della sanità pubblica e della medicina di base sono causa del dramma lombardo.

La diffusione del virus e le conseguenze sanitarie, economiche e sociali che sta imponendo, non hanno però fermato il cammino della storia: la ribellione negli Stati Uniti alla morte di George Floyd l’evento più impressionante. I tratti violenti di questa rivolta sono il sintomo dell’esasperazione che il sistema americano ha portato al limite. E’ in atto qualche cosa le cui dimensioni non sono prevedibili. In questa ribellione, ritengo, non ci sia solo la disperazione per la violenza della polizia: l’aumento delle disuguaglianze e lo stato di prostrazione economica di larghi strati della popolazione, sono un detonatore potente. Quello che accade negli USA sta a alle condizioni materiali delle persone, accentuate dalla odierna crisi sanitaria e dall’impunità della polizia che fino ad oggi ha goduto di quasi potere assoluto.

La ribellione è sempre giusta. Perché nella ribellione c’è la voglia di essere vivi e rivendicare il proprio diritto alla vita.

Trump ha reagito in maniera scomposta e strumentale. Ma la sua reazione non ha fermato le proteste. L’ex grande campione di basket Jabbar ha affermato che in America finalmente c’è un “idea collettiva della lotta”. Parole che aprono a una nuova prospettiva di lotta che è necessario praticare anche di fronte alla pandemia. Trump e Bolsonaro stanno ancora negando il dramma del Covid-19. Sull’altare dell’interesse economico non hanno assunto iniziative e le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti. Anche in Europa tale tentazione è stata forte, ma, dopo un iniziale sottovalutazione del problema, si è dovuto reagire e avviare misure adatte a sconfiggere la pandemia.
In questa crisi sanitaria si è capito che non sarà il vaccino a salvare la salute pubblica: serve un sistema sanitario realmente organizzato. Oltre quella sanitaria il Covid ha creato altre due emergenze: il problema economico, con la caduta della ricchezza prodotta e una crisi del lavoro drammatica, e la crisi della libertà con l’idea di diversi governi di sfruttare la situazione per restringere i diritti individuali, agendo su aspetti che spesso nulla hanno a che fare con la crisi sanitaria. Ungheria, Polonia e Slovenia sono a capo di questa corrente politica. Nei giorni più pesanti della pandemia ho vissuto sensazioni negative anche da noi: ho avuto modo di verificare atteggiamenti arroganti da parte di alcuni esponenti delle forze dell’ordine. La presenza dei soldati a presidio delle strade e dei quartieri rappresentava un pesante fardello nel momento più difficile. Perché nella crisi la tentazione autoritaria è viva, nella crisi l’idea che con la repressione sociale si possa ristabilire il giusto ordine è forte. Perché molta gente percepiva questa presenza come il giusto prezzo da pagare per la riconquista della salute. Il capitalismo si nutre di crisi, ma il fascismo di paura e bisogno di ordine. E il fascismo spesso è un’ideologia difficilmente identificabile: si insinua lentamente per poi rivelarsi all’improvviso, quando oramai l’assuefazione a uno stato di fatto è completa.

In queste ore si sono conclusi a Roma gli stati generali dell’economia. Un evento che il primo ministro Conte ha voluto nella speranza di assurgere al ruolo di moderno statista, capace di governare la crisi, prima, e il rilancio poi. Ma la sua figura inizia ad impallidire. La politica è tornata a “giocare” confliggendo sui temi a lei più cari: una riforma fiscale iniqua, ma pubblicizzata come rivoluzionaria, dalla destra sovranista e una sostanziale incapacità della sinistra di imporre al dibattito delle idee alternative. Nel dibattito tra chi propugna l’idea di un nuovo patto sociale e la Confindustria che propone misure vecchie (a cominciare dalla riforma dei contratti) è necessario da parte nostra assumere una posizione forte e propositiva. Bene ha fatto Landini a replicare prontamente a Bonomi: se si vuole innovare il paese si inizi a rinnovare i contratti, perché è li che si possono ricondurre i problemi delle persone e le risposte all’economia in crisi attuale. Se si vuole rilanciare questo paese è necessario rilanciare i consumi con una politica salariale di forte rivalutazione delle retribuzioni. Se si vogliono dare delle risposte al paese è necessario rivedere le politiche degli appalti (che non può essere la sospensione del codice degli appalti), ragionare sulla organizzazione del lavoro partendo dalla riduzione dell’orario. E’ necessario riprendere la strada della regolamentazione delle forme di assunzione e del mercato del lavoro. La “Carta dei Diritti” resta il documento da cui avviare il dibattito.