Pensioni: governo che viene, tesoretto che trova - di Dafne Conforti

Reds n. 5 - 2019 Hits: 721

E' noto che stipendi e salari vengono rivalutati a seguito di contrattazioni nazionali e aziendali. L’importo delle pensioni annualmente è adeguato all’aumento del costo della vita secondo le indicazioni ISTAT con riferimento all’inflazione media rilevata nell’anno precedente. La rivalutazione dell’importo pensionistico legato all’inflazione è la “perequazione”.

In occasione del consueto rinnovo fatto al 1° Gennaio di ogni anno, le pensioni erano state rivalutate per il 2019 sulla base della normativa vigente in materia di rivalutazione dei trattamenti pensionistici e assistenziali (circolare INPS n. 122/2018), applicando la percentuale di variazione in misura pari a +1,1 sull’importo di pensione non eccedente il triplo del minimo; per le fasce di importo comprese tra il triplo ed il quintuplo del minimo la percentuale di aumento è ridotta al 90%; per le fasce d’importo eccedenti il quintuplo del minimo la percentuale di aumento è ridotta al 75%, secondo quanto stabilito dalla Finanziaria 2001.

Già, perché la fase transitoria del cosiddetto blocco delle pensioni, anche se ammorbidito, era terminato e a partire dal gennaio 2019, come avevano concordato le parti sociali col governo Gentiloni, sarebbe dovuto tornare in vigore il modello che prevedeva tre fasce di trattamento pensionistico e l'applicazione del taglio della perequazione su scaglioni progressivi di reddito (come avviene per le aliquote Irpef).

Degli effetti, anche sul piano della qualità della vita, della (contro)Riforma delle pensioni Monti-Fornero si è detto tanto. Forse è meno noto che con la stessa Legge la rivalutazione delle pensioni secondo quanto previsto dalla Legge 448/1998, veniva riconosciuta al 100% per gli anni 2012-2013 “esclusivamente ai trattamenti pensionistici di importo complessivo fino a tre volte il trattamento minimo INPS”. A seguito della declaratoria di incostituzionalità da parte della Corte Costituzionale (sentenza 70/2015), per la quale il trattamento pensionistico è a tutti gli effetti un salario differito e non una rendita, era intervenuto il Governo Renzi con il decreto noto come ‘Decreto Poletti’ che snobbando la sentenza, introduceva un sistema che prevedeva un meccanismo di adeguamento a scaglioni, per cui la rivalutazione automatica delle pensioni per il biennio 2012/2013 veniva riconosciuta al 100 % solo per le pensioni di importo complessivo fino a 3 volte il trattamento minimo INPS e quindi al 40%, al 20%, al 10%. La rivalutazione non veniva riconosciuta per i trattamenti pensionistici complessivamente superiori a 6 volte il trattamento minimo INPS. Di fronte a un nuovo ricorso, “La Corte costituzionale ha respinto le censure di incostituzionalità del decreto-legge n. 65 del 2015 in tema di perequazione delle pensioni, che ha inteso “dare attuazione ai principi enunciati nella sentenza della Corte costituzionale n. 70 del 2015”. La Corte ha ritenuto che – diversamente dalle disposizioni del “Salva Italia” annullate nel 2015 con tale sentenza – la nuova e temporanea disciplina prevista dal decreto-legge n. 65 del 2015 realizzi un bilanciamento non irragionevole tra i diritti dei pensionati e le esigenze della finanza pubblica”. Ancora una volta i pensionati avevano non certo volontariamente aiutato lo Stato a risparmiare circa 22 miliardi di euro.

Era il tempo in cui l’attuale vice-premier Salvini urlava “vergogna” e minacciava le barricate se a tutti i pensionati non fossero stati restituiti tutti i soldi.

Era, appunto. La Legge di bilancio 2019 (la Finanziaria) ha introdotto un nuovo meccanismo di rivalutazione automatica delle pensioni per il triennio 2019-2021, con lo scaglionamento in 7 fasce di perequazione con aliquote decrescenti, per i trattamenti pensionistici fino a 9 volte il minimo (TM per il 2018 € 507,42). Solo gli assegni entro tre volte il minimo ricevono il pieno adeguamento, quest'anno fissato provvisoriamente all'1,1%. A questa percentuale, per gli importi superiori, si applicano aliquote che vanno dal 97 al 40 per cento. Di fronte alle proteste, il premier Conte così si è simpaticamente espresso: “nemmeno l’avaro di Molière si accorgerebbe dei pochi centesimi in meno”. Pochi? E’ il Primo Ministro che decide quanto sia “poco” e quanto “tanto”? In ogni caso lo SPI-CGIL ha calcolato che nel triennio si va da una perdita di € 44 fino oltre € 1.500.

Per cosa? Per finanziare Quota 100 e Reddito di Cittadinanza, perché come non c’erano 500.000 irregolari, non c’erano i soldi per mantenere tutte le promesse elettorali. “Aumento delle pensioni minime e di invalidità a € 780”. FALSO. La Pensione di cittadinanza non è un aumento delle pensioni, ma non altro che un parente del Reddito di cittadinanza, legato al valore dell’ISEE e del valore patrimoniale. “Entro l’anno smonteremo la Fornero”. FALSO. La Monti-Fornero è attiva e viene solo rimodulata, anche per Quota100, anche per il differimento e la rateizzazione del TFR/TFS dei dipendenti pubblici.
Ma non è finita. L’INPS, a seguito della riformulazione della perequazione, dal 1° Aprile ha ricalcolato le pensioni e ora dovrà recuperare quanto liquidato in più per i primi mesi dell’anno. Non lo ha fatto ad aprile, non lo ha fatto a maggio quindi il Governo è riuscito a bloccare il conguaglio: sarà fatto dopo le elezioni di maggio. Saranno pure pochi spiccioli, ma la somma fa il totale e i partiti di governo non possono presentarsi al voto dopo avere palesato di avere usato i pensionati come un bancomat, esattamente come tutti gli altri governi.

Il 1° Giugno i pensionati scenderanno in piazza. I ministri avranno certo una battuta pronta, ma le pensionate e i pensionati non rinunciano a rivendicare ancora una volta il diritto a essere considerati soggetti attivi della società e non scarti.

 

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