La difficile coerenza tra il dire e il fare - di Andrea Montagni

[Sintesi dell’intervento di Andrea Montagni all’assemblea nazionale di Lavoro Società CGIL del 9 gennaio 2019]

I cambiamenti profondi della composizione della classe, le sue stratificazioni e differenziazioni; le modalità nuove – in realtà vecchissime – di una prestazione lavorativa dispersa nel complesso dell’organizzazione sociale; la precarizzazione del lavoro; le terziarizzazioni e lo spostamento di masse ingenti di lavoratori dall’industria al terziario anche nei settori nei quali permane il modello industriale, fabbriche di macchinari, componentistica, agroalimentare, produzione di energia, trasporti; la riduzione del pubblico impiego attraverso le privatizzazioni e le esternalizzazioni, la sua definitiva proletarizzazione; la riduzione del peso dell’aristocrazia operaia nei settori chiave, energia, trasporti, comunicazioni e quindi l’indebolimento della base strutturale delle organizzazioni sindacali contemporanee siano essi corporative o confederali; l’economia degli algoritmi che produce ricchezza immateriale senza riconoscere alcuna quota del valore agli utenti che usano il digitale nella vita quotidiana, per gli acquisti, immagazzinandone le informazioni e le conoscenze, affiancati dalle politiche neoliberiste di smantellamento della rete di tutele, e di attacco ai diritti del lavoro…
Tutto questo mette in discussione il sindacato, confederale e di massa. Questo modello va innovato, confermando la scelta delle Camere del Lavoro come centro di ascolto, incontro e organizzazione del lavoro organizzato e disperso.

Il rifiuto di una deriva corporativa per i settori protetti, e della trasformazione in un sindacato di pura agitazione per quelli senza tutele, è diventata una sfida alla quale non ci possiamo sottrarre: mantenere l’unità del mondo del lavoro!
Questo punto di arrivo e di ripartenza va difeso e consolidato. Siamo riusciti, pur con sofferenze, strappi, lacerazioni, a rimanere una grande organizzazione di massa che organizza milioni di lavoratori, e a sottrarci al destino che ha travolto prima la sinistra radicale e poi la sinistra liberista.

La Cgil c’è arrivata anche grazie al nostro contributo, quello di una sinistra sindacale che non è residuale, né minoritaria.
Il Piano del lavoro, la Carta dei diritti, rappresentano questa consapevolezza. Sono stati coinvolti, con le firme per le leggi di iniziativa popolare e per i referendum, milioni di uomini e di donne.
Siamo impegnati a fare della Cgil un sindacato confederale di classe nell’Italia del XXI secolo. Per far questo non basta amministrare la ditta con buon senso e la consueta retorica, conta quello che dichiariamo e quello che, concretamente, riusciamo a fare.

Difendiamo lo stato sociale, ma di fronte allo smantellamento operato dalla politica che recita il mantra liberista ‘meno stato più mercato’ e adotta una politica fiscale che premia i ricchi e punisce il reddito da lavoro dipendente, siamo costretti ad accentuare il peso contrattuale del welfare contrattuale e aziendale, cosicché sotto i nostri occhi cresce il divario fra chi ha un lavoro stabile e chi non ce l’ha, anche in termini di tutele universali!

Ci poniamo l’obiettivo di ridurre il numero dei contratti e di rendere esigibile la contrattazione collettiva, di fronte al proliferare di contratti pirata che fanno dumping, ma firmiamo nuovi contratti sotto le pressioni di controparti che affermano la loro esistenza per via contrattuale, con una frammentazione anche della rappresentanza delle imprese.
Le forze politiche liberiste, da quelle moderate di Pd e Forza Italia, a quella confusionaria dei 5 stelle, a quella reazionaria della Lega, gongolano, perché la destrutturazione della rappresentanza, e della mediazione dei corpi sociali intermedi, rende più governabili i processi di smantellamento dei diritti.

E’ una tendenza che pare inarrestabile, perché la stragrande massa dei lavoratori e delle masse popolari ha interiorizzato l’idea della inutilità della lotta, dell’organizzazione, e si rifugia nel mugugno, nella protesta silente, nell’individualismo e nel rancore.
Risalire questa china, andare controcorrente e sfidare questa realtà per cambiarla, è impresa titanica che richiede coraggio, determinazione.
Per farlo c’è bisogno di una nuova leva di attivisti e di dirigenti sindacali, preparati e formati, che si mettano alla prova nei luoghi di lavoro, che condividano con la massa dei lavoratori il fardello dell’incertezza della condizione di vita e di lavoro, che abbiano ideali saldi e che siano motivati.
C’è bisogno di una leva multietnica che rifletta la composizione della classe lavoratrice, una nuova leva che sia anticapitalista e antimperialista, che abbia saldi i valori sociali della democrazia, dell’uguaglianza e della solidarietà di classe.

La Cgil è la casa dei lavoratori. Ogni lavoratore può trovare da noi un ascolto, una tutela, l’organizzazione per difendere i suoi diritti. Qualunque sia la sua idea, qualunque partito o lista abbia votato. Ma ogni uomo o donna che sceglie la Cgil deve sapere che con la tessera ‘acquista tutto il pacchetto’. La Cgil è antifascista, la Cgil è antirazzista, la Cgil si oppone alla xenofobia e ad ogni discriminazione sociale, etnica e di genere. La Cgil è la casa dei lavoratori italiani e stranieri, emigrati, migranti e immigrati, atei, cristiani, ebrei, musulmani, animisti, buddisti, maschi, femmine e LGBT!
Chi vuole dirigere la Cgil deve sapere che questi valori li deve condividere!

Bisogna essere rossi ed esperti. Essere esperti è una qualità che si costruisce con lo studio e l’esperienza, ma l’essere rossi è una qualità che bisogna avere prima e che non bisogna smarrire mai.
Essere rossi vuol dire essere ribelli verso lo stato di cose esistente, ribelli verso lo sfruttamento e la prevaricazione, solidali verso i propri fratelli e sorelle di classe, animati dalla fiducia che le cose possano cambiare, irriducibilmente ottimisti sul successo della nostra buona causa...
Infine, il congresso, apertosi in modo unitario, si avvia a segnare un punto rilevante di confronto interno. Sarà una battaglia politica difficile, quella che affronteremo a fine mese a Bari, perché il terreno su cui si svolgerà non è stato scelto da noi.

Per noi, per la nostra storia e la nostra cultura politica, il terreno del confronto delle idee è rappresentato dai congressi di base. La piattaforma del confronto, della discussione, del posizionamento di merito, è quella dei documenti congressuali. E’ stato così fin dal 1986 con i primi emendamenti nazionali, è stato così con i documenti congressuali alternativi dei successivi tre congressi, è stato così con il sostegno al documento di maggioranza due congressi fa, e ai quattro emendamenti del congresso precedente.

La destra dell’organizzazione – che esce per la prima volta allo scoperto nella nostra storia dopo le minacce di rottura della prima metà degli anni ‘80 – ha scelto il terreno a lei più congeniale, quello della manovra burocratica. Ed ha determinato, anche per errori e ritardi della maggioranza, tempi e luogo della precipitazione dello scontro. Quando si combatte in un campo scelto da altri, tutto è più difficile!
In questa lotta per difendere il documento congressuale “Il lavoro è”, per riaffermare la linea che la Cgil ha seguito in questi anni, abbiamo trovato conferma che in Cgil c’è bisogno di sinistra, perché il centro dell’organizzazione, da solo, non basta. C’è bisogno dei valori e della storia del sindacalismo di classe e conflittuale. Abbiamo ritrovato compagne e compagni da cui ci eravamo separati durante e dopo il congresso, e con i quali, insieme ad altri, riprenderemo un percorso comune.

E’ cambiato, inevitabilmente, il rapporto fra lavoratori e sindacato. Non sono cambiati i valori, i riferimenti strategici: la lotta di classe, la democrazia partecipata, la lotta per una società di liberi ed uguali che abbia a fondamento il lavoro.

Abbiamo detto che bisogna navigare in mare aperto.

Come si definirà la sinistra sindacale, e le modalità di organizzazione che saranno scelte, dipenderà dall’esito del congresso. Ma una sinistra sindacale autorevole, sburocratizzata, motivata sul piano ideale e politico, ci sarà. Per fare questo occorre ritornare alla centralità delle delegate e dei delegati nei luoghi di lavoro, conquistarli all’idea della trasformazione sociale e del sindacato di classe.
In Cgil una sinistra sindacale c’è stata, c’è e ci sarà, perché ce n’è bisogno.

La sfida è quella di mantenere forte e unito un sindacato confederale, soggetto autonomo dal quadro politico e dal padronato, capace di organizzare i settori ‘forti’ del mondo del lavoro e la massa del lavoro precario subordinato. E nel sindacato dissodare il terreno anche per una nuova leva di una sinistra del XXI secolo, che raccolga la bandiera della Costituzione della Repubblica fondata sul lavoro.



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