L'Europa val bene un governo? - di Frida Nacinovich

Nei paesi un po’ più normali del pianeta, per usare un’espressione di antico conio dalemiano, la digitalizzazione è una cosa seria, investe i modelli e le strutture produttive, disegna quello che è già un abbozzo di futuro. L’Italia resta invece ferma al 2.0, inteso come ossessiva ricerca di follower e di like, con ore e ore del proprio prezioso tempo - che come ben si sa non torna più - passate di fronte alla smartphone, al tablet, al computer, con effetti collaterali che vanno dall’abbassamento della vista all’obesità provocata dall’assenza di moto, fino alla perdita del contatto con la realtà.

D’accordo che ogni elezione, anche quella del paesino arroccato ai piedi delle Alpi e degli Appennini è una vittoria della democrazia. Ma da qui a parlare di svolte epocali per il risultato delle urne nella regione Umbria, ce ne passa.

I settecentomila residenti nella terra di San Francesco d’Assisi e del lupo di Gubbio non sono, oggettivamente, che una goccia nel mare del­­l’elettorato italiano.

E se anche è ingeneroso ricordare che la provincia di Lecce ha più residenti dell’intera Umbria, i numeri - che in democrazia sono sostanza - restano quelli. A due mesi dalla improvvisa, sorprendente, nascita del governo M5S-Pd-Leu, per altro basato su numeri parlamentari di tutto rispetto, parlare di ore contate per l’esecutivo appare quantomeno azzardato.

Prima di tutto perché la legislatura ha solo un anno e mezzo di vita, poi perché il vero esame autunno/inverno del Conte bis - quello con l’Unione europea - è stato superato. La legge di bilancio è tutto sommato piaciuta a Bruxelles, i nuovi professori dell’Ue (anche essi appena eletti) sono apparsi meno severi dei loro predecessori, e gli esponenti di punta del nuovo governo, dal premier Giuseppe Conte al ministro dell’economia Roberto Gualtieri, sono più apprezzati all’estero che in patria. In tempi di rinnovati nazionalismi, è un dato che fa onore a chi pensa che il campo di gioco non sia quello di Perugia o di Terni ma si estenda fino a Parigi, Berlino, Madrid.

Se invece guardiamo ai simboli, la progressiva disintegrazione del ‘modello umbro’ evidenzia una delle poche costanti della politica: la cattiva amministrazione provoca, invariabilmente, le critiche dei cittadini elettori e un ricambio al vertice. Dal locale al nazionale il salto può essere lungo. In confronto a quanto accaduto nel quinquennio 2008 - 2013, è più fisiologica la dinamica di questo ultimo anno e mezzo, in cui la sola variabile impazzita è stato il leader leghista Salvini.

Ora la scena è di un altro Matteo. Renzi ha approfittato dell’occasione per farsi il suo partito personale - atteso da tempo - e sgomita in cerca di visibilità. Per rendere più viva ‘Italia viva’, l’ex ragazzo di Rignano sull’Arno piccona quasi quotidianamente il governo di cui fa parte, salvo poi precisare - perché primum vivere deinde philosophari - che durerà fino alla scadenza naturale della legislatura nel 2023.

Quanto ai contenuti, gli adepti della Leopolda hanno già mostrato chiaramente cosa intendono fare: raccogliere l’elettorato disperso di Forza Italia al grido ‘no tasse’, ricordando poi ogni giorno che passa ai mai amati Cinque stelle che ora devono governare non solo con il Pd ma con lo stesso Renzi. Uno scenario che alla Casaleggio e associati non avevano messo in conto.

E che soprattutto non avevano messo in conto i dieci milioni e passa di elettori Cinque stelle del 4 marzo 2018. I non entusiasmanti (eufemismo) risultati dei pentastellati nei vari round amministrativi ne sono la conseguenza.


Print   Email