Rappresentanza e partecipazione - di Giancarlo Straini

Reds n. 10sexies - 2019 Hits: 654

Per una pedagogia egualitaria tra i lavoratori e nel sindacato

 

Premessa 

Ho il compito di dire qualcosa su rappresentanza e partecipazione.

Il tema è complesso e richiama aspetti teorici su cui si dibatte da molti secoli e non sarò certo io a risolverli nei prossimi minuti; proverò solo a fornirvi alcuni riferimenti molto generali, semplificati e approssimativi. Ho anche inserito molte note per suggerirvi possibili approfondimenti.

Margaret Thatcher ha detto che “la società non esiste”; per il pensiero liberista i soggetti collettivi (la Cgil, la Juventus, la Scozia) sono “fittizi”, privi di “sostanza”[1]. Viceversa c’è chi considera “essenza” i principi metafisici (le idee, dio, lo spirito) e “apparenza” o “conseguenza” tutto il resto[2].


Il mio suggerimento è di considerare gli individui non come essenze ma come relazioni, per esempio usando la similitudine della tela, in cui i fili sono le interazioni che intrecciandosi definiscono gli individui, e tutte insieme la struttura sociale[3].
 

Però non dobbiamo immaginare una tela ben tessuta, omogenea, come se tutti i nodi (gli individui) fossero equivalenti per qualità e quantità di relazioni. Per fare un esempio un po’ meno astratto, che tenga conto anche delle differenze di potere, è più esemplificativa l’immagine della rete. Una rete molto sbrindellata, con alcuni nodi (hub) attraversati da molti link, e altri nodi con poche interazioni (si pensi alla rete degli aeroporti, o all’Internet).

Fuori di metafora. Noi siamo individui sociali, siamo le nostre relazioni, dirette e indirette, lontane e recenti, che producono habitus, disposizioni durevoli, schemi cognitivi e comportamentali, strutturanti e strutturate[4].

 

La rappresentanza

Innanzi tutto dobbiamo distinguere il rappresentato e il rappresentante. Ogni definizione stabilisce un confine, un “noi” e un “loro”, e la relazione tra questi termini[5].

Il modello d’agenzia[6] (principal-agent) indica che c’è un contratto tra chi è rappresentato (principal, azionisti, elettori, nel nostro caso iscritti e lavoratori[7]) e chi ha ricevuto la delega di rappresentante (agent, manager, governanti, apparati sindacali, ecc.). Questa teoria ci pone di fronte a molte questioni, noi però ci limitiamo a osservare come la separazione di questi due termini ci possa portare verso l’autoreferenzialità[8] o verso il populismo[9].

 

Soggetti della rappresentanza

principal
masse

 

agent
organo
separato

 

principal
masse

agent
avanguardia
parte avanzata

Tipo di relazione

populismo, plebiscitarismo

elitismo, auto-referenzialità

democrazia partecipata

pedagogia circolare

Asimmetrie di potere

non considerate

teorizzate e consolidate

educazione 
alla democrazia

tendenziale riduzione

 

In ogni regime, istituzione, organizzazione, non basta l’effettività del potere. Chi comanda, per avere stabilità e durata, deve anche “giustificarsi” legalmente e moralmente; ha bisogno di autorevolezza, prestigio, legittimazione, che – nel mondo moderno – si acquisisce attraverso l’esercizio del voto e il rispetto di norme e valori fondamentali (la Costituzione repubblicana, nel caso della Cgil l’equivalente è lo Statuto).

I valori fondamentali spesso sono distanti dalle loro applicazioni. Per indicare questo scarto spesso si usa la locuzione “costituzione materiale” (in analogia noi possiamo usare “statuto materiale” per indicare la distanza tra principi e pratiche nella Cgil).

È quindi importante esaminare, da vicino, i rapporti di potere, la microfisica delle relazioni.

 

Il rapporto avanguardia-masse

Nelle tradizioni culturali marxiste, della sinistra e del sindacato, il rapporto tra “agente” e “principale” è stato chiamato rapporto avanguardia-masse.

Queste culture politiche, diversamente dai populisti, riconoscono che ci sono differenze di potere. Appoggiano i movimenti ma puntano a consolidarne le conquiste con una élite (gruppo dirigente) e una organizzazione (sindacato, partito). Un aspetto centrale è l’assunzione di responsabilità[14] da parte di chi dirige.

“rappre-sentare” (significati in Treccani)

rispecchiare, equivalere

riprodurre, raffigurare, impersonare

interpretare, significare

eseguire, sostituire

 

soprattutto

due aspetti

 

 

rispecchiamento / impersonificazione

nell’identità, nella cultura, nel voto (rappr. statica, stare, standing for)

interpretazione / sostituzione

nella contrattazione e nei servizi (rappr. dinamica, agire, acting for)

pedagogia

ascoltare

imparare

elaborare

insegnare

circolare

dalle masse

alle masse


Diverse visioni del mondo producono diverse pedagogie, che aumentano o riducono le differenze (asimmetrie) di potere.

Per sfuggire alle “legge ferrea dell’oligarchia” di Michels non bastano statuti e regole democratiche (che pure sono importantissimi). Serve una pedagogia fondata sull’egualitarismo, per ridurre le asimmetrie di potere, nella rappresentanza, nella comunicazione e in generale in tutte le interazioni.

 

La partecipazione

Oggi quasi tutti si dichiarano democratici e per la partecipazione, ma spesso assegnando a questi termini significati diversi.

La democrazia moderna[16] nasce in Europa con l’avvento del capitalismo, per eliminare i privilegi feudali della nobiltà e del clero. Si afferma il concetto di Stato moderno che dispone dell’uso legittimo della forza in un dato territorio e si basa sulla sovranità popolare, cioè su cittadini[17] che hanno la pienezza dei diritti costituzionalmente sanciti (Stato liberale).

L’Illuminismo è la corrente di pensiero che indica i principi di libertà e uguaglianza (il “contratto sociale” per l’autodeterminazione dell’umanità) che devono sostituire sia il giusnaturalismo dell’epoca antica, sia la teologia dell’epoca medievale[18].

Storicamente, in concreto, la democrazia moderna nasce considerando cittadini solo i maschi bianchi possidenti (democrazia censitaria).

L’Illuminismo però diventa il “cantiere aperto” che favorisce le lotte per l’estensione effettiva dei diritti (civili, politici e sociali) anche alle donne, alle altre etnie, ai non possidenti.

Fase storica

1a globalizzazione (da fine ‘800 a ww1)

I terribili trent’anni (1914 - 1944)

I magnifici trent’anni (1945 - 1975)

2a globalizzazione (1975 - 2007)

Nuovo paradigma? (2008 - ???)

Regolazione Stato / mercato

Mercato:

laissez-faire

Stato:

economia di guerra

Stato / mercato: equilibrio tra equità ed efficienza

Mercato:

l'equità limita l'efficienza

Torna l'esigenza dell'equità e del ruolo dello Stato?

Sistema finanziario

Gold standard, va­lore moneta legato a riserve di oro

Crisi del Gold standard

Accordi di Bretton Woods, apertura negoziata

Washington Con-sensus, condizioni  troika (Ce Bce Fmi)

Inerzie del W. Consensus in crisi?

Teoria econ. dominante

Liberismo

Protezionismo, autarchia

Keynesismo

Neoliberismo

Neoliberismo

in crisi?

Forme di regime

Democrazia elitaria, nazionalismi

Irruzione delle masse sulla scena politica e crisi delle élite, rivoluzione russa, fascismi

Democrazia costituzionale, suffragio universale

Tecnocrazie transnazionali, rivincita delle élite

Stagnazione neoliberista?

Reazione populista?

Altro?

 A fine ‘800 la classe lavoratrice si è ormai “consolidata” e nascono sindacati e partiti socialisti, incominciano ad estendersi il suffragio elettorale, i diritti, lo stato sociale; al concetto di “libertà negativa” (liberi da), cioè alla democrazia procedurale (formale) comincia ad affiancarsi quello di “libertà positiva” (liberi per) cioè l’esigenza di una democrazia sostanziale[19], che rimuova attivamente gli ostacoli che impediscono l’effettiva libertà e uguaglianza.

Dopo la seconda guerra mondiale questi principi vengono recepiti più compiutamente (welfare state) e nasce la democrazia costituzionale moderna, “rigida” (vista la facilità con cui i fascismi avevano piegato le precedenti norme liberali) nel senso che alcuni principi non possono essere modificati neanche da una maggioranza.

Nei magnifici trentanni (1945-1975) si assiste a una riduzione delle disuguaglianze senza precedenti nella storia dell’umanità[20]. Al culmine dei magnifici trentanni, negli anni ‘70, anche grazie al femminismo e ad altri movimenti, sono state realizzate misure che hanno sostanziato la democrazia formale (statuto dei lavoratori, divorzio, sistema sanitario, ecc.).

Il paradigma keynesiano, in sostanza, diceva che lo sviluppo era realizzabile grazie all’equilibrio tra equità ed efficienza. Nella successiva fase neoliberista, invece, equità ed efficienza sono state contrapposte, e sono aumentate le disuguaglianze, in ogni ambito.

Dalla metà degli anni ‘70 comincia ad affermarsi questo nuovo paradigma, in particolare negli anni ‘80 con i governi di Margaret Thatcher e Ronald Reagan, e negli anni ‘90 con l’”esplosione” della seconda globalizzazione. Il neoliberismo diventa l’ideologia dominante, con il pensiero postmoderno che svaluta il lavoro ed esalta il consumo immediato, con le sinistre incapaci di indicare una prospettiva politica diversa nel nuovo contesto economico, tecnologico e culturale. Inevitabilmente la partecipazione effettiva si riduce, nonostante l’azione della Cgil che si sobbarca anche a una funzione di supplenza politica.

Poi la crisi del 2008, che non è solo economica e finanziaria. Probabilmente gli storici nei prossimi anni la indicheranno come l’avvio di una nuova fase, ma oggi nessuno è in grado di prevederne l’esito. Questa nuova fase sarà caratterizzata da una lunga stagnazione neoliberista? da una riedizione dei “terribili trentanni”? o dei “magnifici trentanni”?

L’esito, un po’, dipenderà anche da ciascuno di voi.

Quindi. Nello stato liberale capitalistico la forma di regime (democrazia rappresentativa) esprime per ogni fase storica un equilibrio di potere tra le classi (mai dato una volta per tutte).

Come indicato nell’art. 3 della Costituzione[21], la partecipazione è la presenza effettiva dei lavoratori e dei ceti popolari nella sfera pubblica; quindi è anche la misura sociale della loro influenza, del loro peso politico.

Le modalità di espressione della democrazia partecipativa possono essere molte[22], ma l’indicatore principale resta la possibilità di esercitare diritti, condizionamenti e controlli nei luoghi di lavoro (democrazia economica).

 

La comunicazione

Non basta voler comunicare qualcosa. Spesso si creano incomprensioni e talvolta si ottiene l’effetto contrario. La comunicazione è un insieme di scienze e tecniche che devono essere studiate per comunicare efficacemente. Proviamo con un esempio.

 

Immaginiamo una situazione: voi volete convincere i vostri colleghi di lavoro a rinnovare il contratto aziendale. Come comunicarlo? (I singoli passi sono in realtà molto intrecciati ma indico una sequenza solo per comodità espositiva).

 

 

L’emittente

con la sua visione del mondo,

pre-giudizi

e capacità linguistiche

definisce l’obiettivo strategico, prefigura il ricevente ideale e lo stile/com-plessità del messaggio

sceglie il canale di comunica-zione (non neutrale),

cerca di imporre il tema prioritario (agenda building)

invia messaggio testuale

e comuni-cazione

non

verbale

Il ricevente

con la sua visione del mondo,

pre-giudizi e capacità linguistiche

riceve ed

emette un feedback

 

L’emittente, in questo caso siete voi, con la vostra visione del mondo.

Dovete tenere conto dei vostri pregiudizi (da quelli ideologici a quelli più banali): ho proprio voglia di imbarcarmi in questa storia? ...e la mia carriera? voglio vedere la faccia del mio capo... quando riparo il rubinetto che gocciola?

E dovete tenere conto delle vostre capacità linguistiche. Se avete di fronte esperti di astrofisica, e voi non lo siete, lasciate stare i buchi neri, a meno che non vogliate fare una battuta volgare.

Fatte queste riflessioni, vi convincete che rinnovare il contratto è l’obiettivo strategico e dovete trovare il modo di comunicarlo.

Ora dovete cercare un canale di comunicazione tra quelli disponibili, o sostenibili (facendo una valutazione costi/benefici). Una assemblea? Un comunicato in bacheca? Cominciamo con una chiacchierata alla macchinetta del caffè (non dimenticate le monetine).

I canali di comunicazione hanno anche un effetto strutturante sul messaggio; McLuhan esagera con il determinismo tecnologico quando afferma che “il medium è il messaggio” ma ci aiuta a notare che lo strumento tecnico usato non è neutrale[23].

Alla macchinetta c’è un gruppetto di persone, c’è un tifoso di calcio, un crumiro, un cislino, altre persone più o meno ben disposte verso la Cgil. Prima di rivolgervi a loro dovete immaginare i loro pregiudizi.

Le scienze cognitive ci insegnano che assimiliamo facilmente ciò che ci aspettiamo, ciò che rientra nei nostri bias, nei nostri pre-giudizi.

Dovete immaginare anche le loro capacità linguistiche, cioè le difficoltà che possono avere di comprendere tecnicamente quello che direte.

Di solito è opportuno usare la regola pedagogica di uno sforzo moderato e progressivo, senza cui o ripetereste noiosamente cose già dette, o viceversa comunichereste che voi siete intelligentoni e loro un branco di capre (tecnica alla Sgarbi, non proprio egualitaria).

Conoscendo i loro pregiudizi (o presumendoli) e le loro capacità linguistiche potete finalmente immaginare il ricevente ideale a cui rivolgervi (l’ascoltatore, o il lettore ideale nel caso di uno scritto).

Bisogna poi pensare alla comunicazione non verbale[24]. La postura, il tono della voce, l’espressione del volto, l’abbigliamento, ecc. possono trasmettere significati che, a seconda del contesto, sottolineano o contraddicono la comunicazione testuale, talvolta generando anche dei paradossi.

Innanzi tutto dovete conquistare la definizione della priorità del tema, della issue (agenda building). Sapete che c’è un collega tifoso interessato alla partita di calcio e che questo tema non è il più adatto per il vostro obiettivo: se si parla di calcio la pausa caffè si consumerà inutilmente per i vostri scopi. Però sapete che il crumiro, se opportunamente provocato, dirà che è da irresponsabili rinnovare il contratto in questa congiuntura: quindi vi contrasterà nell’interpretazione del tema, nel framing, ma involontariamente vi aiuterà a definire la priorità, il tema da discutere.

Salvini è bravissimo nell’agenda building: dovremmo studiarne con freddezza le tecniche e imparare.

Finora non avete spiccicato parola. Ora potete cominciare con una comunicazione testuale accompagnata da una comunicazione non verbale che i riceventi acquisiranno con la loro visione del mondo, con i loro bias e competenze linguistiche[25].

E inevitabilmente il ricevente emetterà un feedback[26], un’informazione di ritorno. Inevitabilmente, perché non si può non comunicare, perché anche l’eventuale silenzio sarebbe una risposta.

 

Riassumendo

Noi siamo individui sociali, siamo le nostre interazioni che ci strutturano e sono strutturate dalle nostre pratiche concrete, non da principi astratti.

Ogni relazione è sempre una relazione di potere, perché non si può non interagire, non si può non comunicare[27], non si può non insegnare e imparare (esprimere una pedagogia buona o cattiva), non si può non fare politica (influire sui rapporti di potere).

È quindi importante esaminare, da vicino, i rapporti di potere, la microfisica delle relazioni.

Come relazionarsi? Il concetto del rapporto avanguardia-masse fa parte delle nostre tradizioni culturali. Queste ci dicono, diversamente dai populisti, che c’è bisogno di un’élite, di un gruppo dirigente capace di assumersene la responsabilità.

Ma, diversamente dagli elitisti, ci dicono che dobbiamo considerare non ineluttabile il rovesciamento autoreferenziale dei mezzi e dei fini.

Per evitarlo il gruppo dirigente che aspira ad essere avanguardia deve considerarsi parte delle masse, non organismo separato; deve cercare la legittimazione della rappresentanza tramite una pedagoga circolare, in cui prima si ascolta, si impara, si elabora, e poi si insegna.

Dire “uno vale uno” è una nobile propensione, ma le relazioni tra individui, singoli o associati, sono sempre asimmetriche perché c’è sempre una differenza di potere (economico, fisico, culturale, reputazionale, ecc.). Dobbiamo sempre domandarci qual è lo scopo e l’effetto della rappresentanza, della comunicazione; cioè se, alla fine, l’asimmetria di potere è diminuita, è stata confermata, o è aumentata.

La pedagogia egualitaria si basa sulla partecipazione, sulla presenza effettiva dei lavoratori e dei ceti popolari nella sfera pubblica, per renderli protagonisti; l’indicatore principale dell’effettiva partecipazione resta la possibilità di esercitare diritti, condizionamenti e controlli nei luoghi di lavoro.

 


[1]   Margaret Thatcher (1925-2013) in una intervista del 1987: "non esiste una cosa come la società. Ci sono uomini e donne, e le famiglie". Da liberista ha detto che l’unica realtà sociale esistente sono solo e soltanto gli individui e le loro preferenze. Tutto ciò che non è “individuo” (lo Stato, le classi, partiti e associazioni, ecc.) sarebbe solo un espediente linguistico (nominalismo), un modo di dire privo di “sostanza”, una somma di individui isolati (monadi). Ma, stranamente, non sarebbero fittizie, esisterebbero, la famiglia, l’impresa, il capitale (quindi anche la moneta, l’inflazione, la domanda, l’offerta, ecc.) e soprattutto il mercato, la cui “essenza” è la mano invisibile che determina un ordine spontaneo autoequilibrante (vizi privati pubbliche virtù). Anche da queste contraddizioni si evidenzia come l’individualismo metodologico non sia tanto una descrizione quanto una prescrizione, un dover essere.

[2]   Per Platone (428/427-348/347 a.e.v.) le cose del mondo, la materia, sono una copia imperfetta delle idee pure che stanno nell’Iperuranio, cioè oltre il mondo fisico. Questa visione metafisica, tipica dei filosofi idealisti, può essere rintracciata anche in chi, come gli strutturalisti, fissa nelle strutture “essenze” sovratemporali.

[3]   Per Karl Marx (1818-1883) “L’individuo singolo è l’insieme dei rapporti sociali” (Tesi su Feuerbach) e “il linguaggio, come la coscienza, sorge soltanto dal bisogno, dalla necessità di rapporti con altri uomini”. (L’ideologia tedesca). Anche per il filosofo e sociologo George Herbert Mead (1863-1931) l'individuo è un prodotto dell'interazione sociale (interazionismo simbolico): "la mente individuale può esistere solo in relazione alle altre menti mediante significati condivisi" (The Individual and the Social Self).

[4]   Pierre Bourdieu (1930-2002) critica sia la posizione strutturalista sia quella soggettivista e cerca di superare la contrapposizione tra soggetto e struttura attraverso il concetto di habitus, cioè quell’insieme di disposizioni durevoli che, formatesi nella pratica della vita sociale, sono un prodotto delle interazioni tra soggetti, ma, al tempo stesso, producono tali relazioni, perché delimitano il campo delle effettive possibilità di pensiero e azione.

[5]   Non può esistere identità, individuale o collettiva, senza un riferimento all’altro, al diverso, e non esiste l’altro se non in riferimento a un osservatore che lo descrive, definendo nel contempo se stesso. L’identità di un soggetto collettivo si basa su una storia e una memoria collettiva (non un “archivio” ma una continua rielaborazione). Il passato è sempre uguale, ma viene ricordato in modi sempre diversi, attraverso una ideologia. Per Tzvetan Todorov la precisione filologica è meno importante della “coerenza” del racconto (compresa la “dimenticanza” di ciò che potrebbe dividere).

[6]   Michael Jensen e William Meckling (Theory of the firm: agency costs, 1976): “un contratto in base al quale una o più persone (il principale) obbliga un’altra persona (l’agente) a ricoprire per suo conto una data mansione, che implica una delega di potere”. Per Mariana Mazzucato (Il valore di tutto, 2018) l’Agency theory e il Maximizing shareholder value innescano “un circolo vizioso […] riducono gli investimenti a lungo termine [...] La diffusione della finanziarizzazione nel processo decisionale delle società va ben oltre gli effetti immediati per gli azionisti e i dirigenti”.

[7]   La Cisl fa riferimento ai soli iscritti, mentre per la tradizione della Cgil il riferimento è duplice: i lavoratori (in passato la classe) e gli iscritti.

[8]   Il termine autoreferenzialità è usato in logica per indicare un enunciato che si riferisce a se stesso; nelle scienze sociali per indicare un gruppo dirigente (un apparato burocratico) che riferisce a se stesso, si rinnova solo per cooptazione, non cerca la legittimazione in chi dovrebbe rappresentare.

[9]   Il termine populismo, in questo caso, è usato solo per il suo carattere comune alle diverse interpretazioni, cioè l’esaltazione del popolo depositario di valori totalmente positivi, contrapposto a una élite.

[10] Per Robert Michels (1876-1936) è la stessa logica organizzativa (centralizzazione, burocratizzazione) dei partiti e dei sindacati che produce un gruppo dirigente che tende ad autonomizzarsi (autoreferenzialità) sostituendo inevitabilmente (legge ferrea dell’oligarchia) i propri interessi di mantenimento della leadership agli scopi ufficiali del partito o del sindacato (ribaltamento dei mezzi e dei fini).

[11] John Dewey (1859-1952) filosofo (strumentalista) e pedagogista di massima influenza mondiale. Sostenne l'esigenza di una economica democratica "continuamente pianificantesi”. I processi educativi, secondo Dewey, devono tendere non tanto a fare acquisire abilità mentali o espressive, quanto a trasmettere capacità operative idonee a favorire la soddisfazione dei bisogni biologici e psicologici degli individui e a facilitarne un'integrazione nella società democratica.

[12] Democrazia procedurale: per Joseph Schumpeter (1883-1950) la democrazia è un “metodo politico” che attribuisce a determinati individui il potere di decidere ottenuto tramite il voto del popolo.

[13] Antonio Gramsci (1891-1937), Quaderni del carcere. La filosofia di B. Croce. «Questo rapporto esiste in tutta la società nel suo complesso e per ogni individuo rispetto ad altri individui, tra ceti intellettuali e non intellettuali, tra governanti e governati, tra élite e seguaci, tra dirigenti e diretti, tra avanguardie e corpi di esercito. Ogni rapporto di “egemonia” è necessariamente un rapporto pedagogico e si verifica non solo nell’interno di una nazione, tra le diverse forze che la compongono, ma nell’intero campo internazionale e mondiale, tra complessi di civiltà nazionali e continentali».

[14] Responsabilità intesa come impegno a rendere conto delle conseguenze delle proprie azioni. Vedi anche la distinzione di Max Weber tra etica dei principi ed etica della responsabilità.

[15] Rappresentare: 1a. riprodurre un aspetto della realtà; 1b. raffigurare un'idea astratta; 1c. impersonare un'idea, un simbolo, incarnare una persona; 1d. rispecchiare un'idea o un periodo; 1e. equivalere a, avere un determinato valore, significato; 2a. interpretare, portare sulla scena; 2b. eseguire una parte, un ruolo; 3. sostituire, fare le veci; 4. significare, comunicare una posizione, un atteggiamento, una valutazione (da vocabolario Treccani sinonimi e contrari).

[16] Per ragioni di spazio ci occupiamo solo dell’Europa. L’antica democrazia diretta ateniese si fondava sull’alleanza tra non possidenti e possidenti legati alle attività minerarie e marinare, contro i tradizionali proprietari di terre (filospartani), ed escludeva le donne, gli schiavi e i meteci. Forme occasionali ma instabili e limitate di democrazia diretta sono comparse spontaneamente più volte e in luoghi diversi.

[17] Il termine cittadinanza indica il rapporto del cittadino titolare della pienezza dei diritti soprattutto con lo Stato nazionale. Sentirsi cittadini del mondo può essere una nobile aspirazione ma l’ONU non è un’entità statale capace di garantire l’esigibilità dei diritti e l’UE lo è solo in parte.

[18] Nel mondo antico si ritiene che è la natura che crea uomini atti a comandare o a ubbidire (giusnaturalismo); nel medioevo l’ordine proviene da dio (teologia); nel mondo moderno dal consenso del corpo sociale (contrattualismo).

[19] Nei Paesi del blocco sovietico le Democrazie popolari sostenevano di poter perseguire la democrazia sostanziale senza dover adottare le procedure e le libertà “borghesi”.

[20] Riduzione delle disuguaglianze nei Paesi industrializzati, e una diffusione dei movimenti di liberazione nei Paesi del terzo mondo.

[21] Costituzione, art. 3: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.”

[22] Ci sono tante forme di partecipazione, anche interessanti (bilanci partecipativi, consultazioni telematiche, ecc.) ma se sono disoccupato, o ricattabile perché precario, o licenziabile, la partecipazione effettiva si riduce drasticamente, e resta solo lo sfogo sui social con qualche like o vaffa. È poco significativa la stessa democrazia economica, se è ridotta a una partecipazione azionaria da “parco buoi”.

[23] La tesi di McLuhan (1911-1980) è diventata molto popolare anche riguardo alla diffusione dei social network. Molti sostengono che questi mezzi ci abbiano portato le fake news e l’impoverimento del linguaggio ridotto a un like. Sicuramente la tecnologia (modificando lo spazio-tempo) ci condiziona, ma è pur sempre uno strumento: prima di sostenere che i fake sono prodotti solo dai social si dovrebbero esaminare altri periodi storici con casi simili (anche se a circolazione più lenta e limitata). Più in generale, dovremmo chiederci: sono i social che ci hanno “indebolito il pensiero” o si sono affermati così perché avevamo già accettato il “pensiero debole” postmodernista?

[24] Paul Watzlawick (1921-2007), Scuola di Palo Alto, Pragmatica della comunicazione umana.

[25] Per George H. Mead il significato sorge solo dalla comunicazione, tramite il linguaggio, forma comunicativa generalizzata, base dei significati condivisi che attraversano la società e gli individui che ne fanno parte.

[26] Il feedback c’è sempre, ma nel caso del faccia-a-faccia la compresenza spazio-temporale consente un’interazione anche non verbale; l’interazione è più mediata nel caso si usi la posta o il telefono, e ancora più nell’uso di social e tv (con like e auditel come feedback).

[27] John Dewey: “Gli uomini vivono in una comunità in virtù delle cose che hanno in comune, e la comunicazione è il modo nel quale vengono in possesso di cose in comune. Quello che devono avere in comune sono obiettivi, credenze, aspirazioni, conoscenza – una comprensione comune”.

Print