Lo scontro apertosi sulla TAV all’interno del governo, l’offensiva Sì-Tav mediatica sponsorizzata da Confindustria e imprenditoria del Nord, rilanciata dal PD e FI, riaccende i fari su un problema troppo spesso affrontato con superficialità.
Giustamente la segretaria generale della CGIL non si è schierata con i pasdaran delle grandi opere a scarso impatto occupazionale e a grande resa per quelli che le fanno.
Sulla eccezionalità dei costi, sul dubbio rapporto costi/benefici, sull’enormità delle spese di manutenzione a carico dello Stato di simili opere non è mai stato detto abbastanza.
Sui benefici per le popolazioni locali e sull’occupazione reale dei territori interessati, ancor meno. Solitamente su tali argomenti parlano le grandi lobby, relegando le opposizioni popolari alle reti social e al passa parola.
Giustamente la Camera del Lavoro di Torino ha richiamato le proprie posizioni congressuali del 2014, ribadendo l’importanza di rivalutare il progetto, di vedere di investire le stesse somme con più alti risultati occupazionali per il recupero dei centri storici, il maggior risparmio energetico degli immobili pubblici, la messa in sicurezza del patrimonio idrogeologico del Piemonte. Andremo ben oltre i 5 mila posti di lavoro messi a rischio dalla perdita eventuale delle commesse legate a questa grande spesa di dubbia utilità pubblica.
Come Sinistra sindacale, unitariamente, abbiamo sostenuto queste posizioni, come da sempre siamo stati dentro e a fianco del Movimento No Tav della Val Susa, ancor di più in questo periodo di rivitalizzazione delle azioni della magistratura e della polizia nei confronti dei rappresentanti del movimento.