Finché c'è guerra c'è speranza - di Riccardo Chiari

Il monito di Jorge Bergoglio sulla “terza guerra mondiale a pezzetti” trova una sinistra conferma dall’ultimo report dell’International Peace Research Institute di Stoccolma, nel quale si rileva che i governi in tutto il mondo hanno speso l’anno scorso qualcosa come 1.686 miliardi di dollari in spese militari. Una somma inimmaginabile, tale da far capire come i movimenti contro la guerra abbiano profonde ragioni nel denunciare lo stato delle cose, in un pianeta nel quale un quarto della specie umana sopravvive a stento.

Quanto all’Italia, il primo rapporto annuale sulle spese militari italiane, presentato a Montecitorio dall’Osservatorio MIL€X nello scorso febbraio, certificano che il nostro paese spende ogni anno per le sue forze armate oltre 23 miliardi di euro (64 milioni di euro al giorno). Più di due terzi della spesa sono riservati agli stipendi dei militari, restano comunque oltre 5 miliardi e mezzo di euro (15 milioni al giorno) che sono spesi in nuovi armamenti. Invece che in istruzione, sanità, welfare per i più anziani e per i più socialmente deboli.

La spesa militare italiana è in costante aumento (+21% nelle ultime tre legislature), o oggi rappresenta l’1,4% del prodotto interno lordo nazionale. Siamo nella media delle nazioni europee che aderiscono all’alleanza atlantica, la Nato, che però chiede sempre più finanziamenti. Con il terribile paradosso delle pubbliche congratulazioni alla Grecia per la sua spesa militare, arrivata al 2,6% del pil, mentre la quasi totalità della popolazione è stata privata dei diritti sociali essenziali.

Dai palazzi del governo viene ripetuto ossessivamente che non ci sono i soldi per il reddito di inclusione, non ci sono i soldi per l’assistenza ai rifugiati, non ci sono i soldi per riorganizzare e innovare un settore produttivo in crisi, non ci sono i soldi per l’istruzione e la sanità pubbliche. Nel mentre le spese militari aumentano, e il commercio di armi italiane nel 2016 ha raddoppiato il suo volume di affari.

La spesa pubblica per l’acquisto di armamenti tradizionali (missili, bombe, cacciabombardieri, navi da guerra e mezzi corazzati) è aumentata dell’85% dal 2006 ad oggi. A finanziarla in gran parte è il ministero dello sviluppo economico, che destina al comparto difesa (Leonardo/Finmeccanica, Fincantieri, Fiat-Iveco, ecc.) la quasi totalità del budget a sostegno dell’imprenditoria (l’86% quest’anno, pari a 3,4 miliardi), penalizzando le piccole e medie imprese e lo sviluppo industriale civile dell’intero paese.

“E’ un meccanismo di aiuti di Stato, portato avanti da una potente lobby che condiziona il Parlamento – avverte il deputato Giulio Marcon di Si - forzandolo ad autorizzare l’acquisto di armamenti costosissimi, anche se poi mancano i soldi per la manutenzione e perfino per il carburante, e non da concrete necessità di sicurezza nazionale”. Tant’è.


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