Le verità scomode di Viareggio - di Riccardo Chiari

Siamo solo al primo grado di giudizio, ma la sentenza del Tribunale di Lucca per la strage di Viareggio, arrivata dopo quattro anni di indagini e tre di processo, potrebbe diventare una pietra angolare nella valutazione delle responsabilità nei disastri ferroviari.

Per la prima volta, grazie al lavoro dei magistrati della procura di Lucca, degli investigatori della Polfer, e di un consulente tecnico d’eccezione come il docente universitario Paolo Toni, si è risaliti a monte delle pur imperdonabili colpe dei singoli tecnici che avevano mal revisionato il carro merci deragliato nei pressi della stazione. La realtà di un treno carico di sostanze pericolose che circolava a gran velocità ha fatto scoprire che lungo le rotaie che attraversano le città italiane non sono ancora garantite adeguate misure di sicurezza.

E che i sistemi di controllo dei convogli merci – non per caso “implementati” negli anni successivi alla tragedia – non erano all’altezza di quelli adottati nel quotidiano trasporto dei passeggeri. “Il settore merci pericolose non faceva vetrina – è la scomoda verità del pm Giuseppe Amodeo - non era strategico per Trenitalia. Era l’alta velocità che consentiva apparizioni brillanti.

Era altro che interessava”. Anche il Segretario generale della Cgil di Lucca e la segretaria generale Filcams erano presenti in udienza solidali con le vittime e testimoni interessati a conoscere la verità su una tragedia immane, provocata da una “sistema” responsabile di inadempienze e omissioni, negligenze e imprudenze. Sulle quali i vertici di Rfi e Trenitalia, al pari della multinazionale Gatx e della sua officina Jungenthal, potevano intervenire e non sono intervenuti. Ci sono ancora due gradi di giudizio, ma non sarà facile smentire quanto emerso in una delle più complesse e accurate indagini mai svolte nel paese.

 


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