Il gioco delle tre carte sull'acqua - di Riccardo Chiari

Alla quarta Conferenza europea dell’acqua a Bruxelles di metà marzo, il Forum italiano dei movimenti e la Rete europea hanno protestato, anche con un sit in, per denunciare di essere stati esclusi da lavori che hanno invece visto protagoniste le multinazionali del settore. Non sono bastate quasi due milioni di firme, raccolte nel 2013, per poter essere considerati dall’Unione europea. Di più: di fronte alla proposta di legge collegata al milione e 800mila firme, tendente a far riconoscere l’accesso all’acqua da bere e per i servizi igienici come bene dell’umanità; escluderlo dalle norme del mercato interno e dalle liberalizzazioni, e sottrarre la materia dai trattati internazionali, i tecnocrati europei se ne sono di fatto lavati le mani. Eppure la proposta era già stata discussa nell’Europarlamento. Poi però è letteralmente sparita. “La commissione ci ha detto – riepiloga Corrado Oddi del Forum italiano - che il principio andava bene. Ma non toccava all’Ue legiferare in materia di concorrenza e privatizzazioni, a differenza di quanto ci ripetono da anni i governi italiani che si sono succeduti dal 2011 ad oggi. Intanto però nel Ttip si parla anche delle risorse idriche…”. Insomma il classico gioco delle tre carte.
La Rete europea non ha intenzione di demordere: “Faremo pressione sul parlamento che si è insediato l’anno scorso – annuncia il portavoce dei movimenti italiani per l’acqua pubblica - perché ci dia risposte”. Nel mentre però le ultime iniziative del governo Renzi vanno in direzione opposta al risultato referendario, che aveva sancito la volontà di portare l’acqua fuori dalle logiche del mercato e del profitto. Palazzo Chigi sta utilizzando tutta una serie di strumenti per favorire processi di fusione e aggregazione tra le aziende che gestiscono i servizi pubblici locali, tra cui anche l’acqua. L’obiettivo, va da sé, è quello di consegnarli ai privati. Ma senza mai dirlo apertamente.
Il primo passo è stata la spending review, che punta al taglio delle società partecipate dagli enti locali. In parallelo è arrivato lo “Sblocca Italia”, con gli articoli dedicati al servizio idrico che prevedono la creazione di un gestore unico regionale, con ambiti territoriali che devono corrispondere alle province o città metropolitane. Il meccanismo è tagliato su misura per le grandi multiutilities dei servizi come Acea, Hera, Iren e A2A, già pronte a fare un sol boccone delle società partecipate più piccole, e spesso ancora pubbliche.
“Il governo Renzi – tira le somme Corrado Oddi - punta a creare un oligopolio: Iren in Piemonte, in Liguria e nell’area nord dell’Emilia. Poi A2A in Lombardia. Ad Hera deve spettare il resto dell’Emilia Romagna, con in più Padova e Trieste. Infine c’è Acea, che già monopolizza il centro Italia con il Lazio, la Toscana e parte della Campania”. A riprova, nonostante il referendum che aveva cancellato il decreto Ronchi, le amministrazioni comunali stanno già progettando di far scendere le loro quote nelle attuali società miste di gestione: “A Bologna la giunta Merola intende scendere in Hera dal 51 al 35. Quanto alle fusioni, la Cassa depositi e prestiti ha già pronti 500 milioni per finanziarle.
Mentre il governo lavora alle leggi per strangolare progressivamente le aziende rimaste pubbliche o che vogliono tornare ad esserlo – ad esempio il consiglio comunale di Napoli ha approvato una delibera della giunta De Magistris che assegna la gestione dell’acqua all’azienda speciale pubblica Abc, per cercare di bloccare l’operazione di occupazione da parte di Acea - l’Autorità per l’energia elettrica, il gas e il sistema chiude la tenaglia.
Sotto forma di un nuovo metodo tariffario che, di fatto, consente ai gestori di aumentare i guadagni, facendo salire i costi per gli utenti. Solo nel 2013 le tariffe del servizio idrico integrato sono cresciute in media del 7,4%. Negli ultimi dieci anni addirittura dell’85%.


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