L'Italia del conducator di Rignano sull'Arno - di Frida Nacinovich

Il nuovo si fa spazio a gomitate, senza riguardi per chicchessia, fosse anche il collega di partito. Bell’amico Matteo Renzi. Il conducator di Rignano sull’Arno è diventato presidente del Consiglio, lo sognava da tempo, ha fatto di tutto e di più per arrivare a palazzo Chigi. Chi si ferma è perduto, certo. Ma resuscitare politicamente Silvio Berlusconi e spodestare Enrico Letta è un uno-due proprio niente male. Del resto gli iscritti del Pd lo avevano eletto segretario, preferendolo, sia pur di misura, a Gianni Cuperlo. Poi gli elettori e i simpatizzanti lo hanno portato in trionfo con le primarie. Il partito è con lui, chi vota Pd ancor di più. E pazienza se la coalizione renziana è una fotocopia di quella che sosteneva Enrico Letta. Evidentemente l’importante era cambiare il leader, non mutare le geometrie politiche del governo.
Alla prova dei fatti, il Pd si è mostrato compatto. Dubbi, critiche, perplessità si sono sciolti come neve al sole di fronte alla disciplina di partito. A ben vedere non era successo lo stesso con Pierluigi Bersani, messo sulla graticola l’intera durata della sua segreteria e infine pugnalato nelle pieghe dell’elezione del nuovo/vecchio capo dello Stato. Tant’è. Renzi non è amato a sinistra, ma piace tantissimo a destra. Per lui non è un problema. Anzi, ha sempre detto che il Pd deve aumentare i suoi consensi raccogliendo i voti dei delusi del centrodestra. Con politiche, va da sé, che liscino il pelo agli antichi fan del Cavaliere. Industriali in primis.
L’Italia che Renzi ha in mente è un paese che corre. Per andare dove ancora non si capisce. Per certo le borse hanno festeggiato, lo spread resta basso (ma questo stava già succedendo con Letta), i disoccupati continuano ad essere tantissimi. Ci dovrà pensare lui, super Renzi, ma questa volta non sarà sufficiente una sapiente strategia comunicativa che individua nel nuovo leader quel personaggio cool, smart, giovane e dinamico di cui il paese avrebbe bisogno per superare una crisi che viene da tanto, tanto lontano. E che non riguarda tanto i conti, quanto la capacità di ristrutturare e innovare le politiche industriali e ancor più in generale l’intero apparato produttivo. Da questo punto di vista, il discorso con cui il neo presidente del Consiglio si è presentato chiedendo la fiducia a Montecitorio e palazzo Madama non è stato, oggettivamente, un granché. E’ stato definito un intervento da sindaco di città medio-piccola, un intervento confuso, anche populista e demagogico. In una parola para-berlusconiano. Ma Renzi non se ne vergogna certo. Anzi, lui vorrebbe essere considerato proprio così: né di destra né di sinistra (del resto anche il Cavaliere votava il Psi di Craxi), erede di nessuno, interprete di una storia completamente nuova. Quella dell’originario Pd del Lingotto, disegnato da Walter Veltroni come partito popolare e di massa, nato per governare, equidistante fra capitale e lavoro. E con quella vocazione maggioritaria cui Renzi tende apertamente, senza gli “inutili partitini” a sinistra e a destra che ne condizionino le politiche, e con un solo avversario-interlocutore. Non certo il Nuovo centro destra di Angelino Alfano, né tanto meno la Scelta civica di Mario Monti, piuttosto la Forza Italia di Silvio Berlusconi.
Ma ha un bel dire Renzi, che l’unica forza politica consistente a destra è quella rappresentata dal Cavaliere: i fatti raccontano che – dopo la decadenza da senatore, la condanna definitiva per evasione fiscale, le tante vicissitudini giudiziarie ancora aperte e soprattutto un età non più verde – Silvio Berlusconi stava uscendo dalla scena della politica. Bastava aspettare, prendere tempo, e lasciare che la storia facesse il suo corso. Invece no. Renzi è calato come un falco su palazzo Chigi dopo essersi accordato con il Cavaliere per una legge elettorale tagliata su misura per un bipartitismo Pd – Forza Italia, ad aperto rischio di incostituzionalità, talmente poco rappresentativa della volontà degli elettori da fare impallidire perfino il cervellotico “porcellum” di Roberto Calderoli.
Se il naso degli uomini crescesse come quello di Pinocchio in caso di bugie, quello di Renzi farebbe impallidire anche Cyranò de Bergerac. L’inquilino del Quirinale non può non essersene accorto. Tanto da avere avviato un rapporto dialettico con il nuovo premier caratterizzato da un’inconsueta lunghezza dei colloqui ufficiali. Ne abbiamo avuto la prova per il varo del governo, c’è da scommettere che non resteranno casi isolati. Anche perché il conducator di Rignano sull’Arno, nonostante le assicurazioni di un governo di legislatura, non è certo nuovo a improvvisi colpi di scena. Del resto appena un mese fa si era ricandidato a sindaco di Firenze. E del governo aveva testualmente detto: “Se voglio vincere la classifica dei cannonieri faccio un’azione personale, ma se voglio vincere il campionato do volentieri il pallone a Letta”. Infatti.


Print   Email