Torino: contro la politica di tagli ai servizi, Storie ordinarie di resistenza proletaria - di Alessandro Rossi

Il servizio pubblico sanitario piemontese sta vivendo un momento critico. A pochi mesi dal conferimento dell’incarico, la precedente assessora regionale era stata coinvolta in uno scandalo dai risvolti penali, non ancora chiuso... E’ stato allora imposto alla massima carica della sanità piemontese un manager industriale che arrivava dall’Iveco, con il compito di fare quadrare i conti, benché (per sua stessa ammissione) non capisse nulla di sanità. Ne sortì un pasticciato piano di accorpamenti di Asl e Aso che prevedeva la creazione di “federazioni”, il cui criterio-guida - la prossimità geografica - ha portato alla nomina di super-funzionari e, di fatto, aumentato la confusione.

Ne è conseguita la minaccia di chiusura di alcuni ospedali: Valdese, Maria Adelaide e Amedeo di Savoia. Sono diminuiti i posti letto per pazienti ‘acuti’ e lungodegenti, mentre si è assistito alla riduzione delle risorse destinate alle strutture assistenziali e ai tagli alla diagnostica. Con i conti in profondo rosso, la Regione Piemonte avrebbe voluto chiudere il cerchio svendendo gli immobili ospedalieri e amministrativi.
La sostituzione in piena corsa dell’assessore che aveva ideato queste prodezze ha, per il momento, rallentato il progetto distruttivo, ma ha lasciato una situazione di profonda incertezza.
Inoltre la costituzione delle “federazioni” prevedeva un accentramento delle funzioni amministrative, che sembrava porre le condizioni di una futura esternalizzazione di ancora maggiori servizi (fattore che potrebbe sembrare anche interessante in un’ottica di interesse di “bottega”, ma che in realtà nasconde il rischio di peggiorare sia le condizioni lavorative degli addetti sia la qualità del servizio).
E qui finalmente entriamo in campo anche noi che con la sanità, in qualità di fornitori di servizi, abbiamo un rapporto di lunga data con le pulizie, le mense, le attività di guardianìa, e, più di recente, di prenotazione.
Negli ultimi mesi, la situazione dei lavoratori degli appalti si è fatta ancor più difficile, al pari di quella di tantissimi altri lavoratori: l’ipotesi di formalizzare i criteri di massimo ribasso nei capitolati di appalto per i servizi esternalizzati (che destano forti timori per i futuri livelli salariali); affiancata alla “revisione di spesa” nelle pubbliche amministrazioni si stanno traducendo in tagli e limitazioni di ore lavorate o con la cassa integrazione... Come se non bastasse, gli enti centrali hanno ritardato i pagamenti, mettendo così in condizione le aziende di dover rimandare il pagamento degli stipendi.
Le aziende per fare fronte agli impegni immediati si indebitano verso le banche, attraverso prestiti onerosissimi da restituire, finendo col rimandare a loro volta i pagamenti. L’anello debole della catena sono e rimangono come sempre le lavoratrici e i lavoratori del settore, già spesso sottoposti a condizioni difficili, attraverso l’imposizione di part-time o orari ridotti.
Gli esempi di queste situazioni nell’area torinese sono tanti, ne cito solo due.
Il primo riguarda i servizi di portineria e di vigilanza dell’ospedale Giovanni Bosco. Nel cambio appalto del giugno scorso, i lavoratori e le lavoratrici si sono visti ridurre del 40% lo stipendio e hanno rischiato di non essere assunti dalla ditta vincitrice; infatti, con gesto di illuminata preveggenza, la Asl competente non aveva previsto l’obbligo dell’assunzione del personale presente in cantiere, esponendo così questi lavoratori al rischio della disoccupazione. Ma il lavoratori hanno reagito e hanno portato il loro caso davanti all’opinione pubblica attraverso scioperi, presidi e alla fine anche con un’assemblea spontanea che si è protratta per lungo tempo, esponendo i promotori al rischio della denuncia per interruzione di pubblico servizio. Eppure la loro disperazione è stata pari alla loro forza e sono riusciti almeno in parte nel loro intento. Attualmente, dopo essere stati ricevuti dal nuovo assessore alla Sanità ed avere ricevuto garanzie di interessamento, per quanto lacunose nella forma e nella sostanza, il loro appalto è sospeso sub judice in attesa che si faccia chiarezza sui troppi punti critici.
Il secondo caso emblematico è rappresentato dal servizio “Sovracup”, un call center in grado di prenotare un grande ventaglio di visite specialistiche e di esami. Nel 2010, i 60 e più addetti, che fino a quel momento lavoravano come interinali alla ASL, furono esternalizzati e si videro ridotti a 36 unità, con un taglio netto sullo stipendio di 250 euro al mese. Ma anche in questo caso le lavoratrici ed i lavoratori reagirono. Prima in forma spontanea, poi organizzandosi ed aggregandosi intorno alla Cgil, unica sigla sindacale che volle assumersi la responsabilità di rappresentarli. Grazie ad una lunga serie di lotte, di interminabili incontri e tavoli di trattativa anche notturni, e dopo avere proclamato anche uno sciopero, forse tra i primi lavoratori interinali in Italia, questi lavoratori sono riusciti a recuperare una fetta importante di esuberi e a stabilizzare un monte orario maggiore rispetto a quello proposto dalla ditta vincitrice del bando.
Questi esempi possono servire come contributo alla spinta per la lotta generale, la lotta di tutti noi: ad uguale lavoro uguale salario.


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