Dei delitti e delle pene - di Andrea Montagni

La Cgil ha fatto da lungo tempo una scelta di campo. Netta. Le forme di lotta violente in democrazia non ci appartengono e il ricorso alla violenza comporta una cesura con la pratica e l’organizzazione del sindacato, oltre che essere inaccettabile sul piano etico e controproducente sul piano politico.
Questo non annulla la consapevolezza che le tensioni sociali, i contrasti politici, il disagio sociale, la repressione delle aspirazioni al cambiamento e la protesta possano produrre situazioni violente che vanno governate e risolte in primo luogo con il confronto delle idee e con la mediazione degli interessi sociali in campo. Sono quelle che si chiamano politiche di coesione sociale ed hanno a fondamento la giustizia sociale e la partecipazione democratica, per l’appunto.
L’Italia affronta una situazione sociale difficilissima: crescono la disoccupazione e le difficoltà economiche per milioni di lavoratori e comuni cittadini. La crisi perdura da 13 anni, il Paese è in declino.
Dal 2001, da Genova per l’esattezza, il comportamento delle forze repressive, l’orientamento della Magistratura nel giudicare i fatti hanno annullato qualsiasi valutazione tra le violazioni di legge compiute, la gravità effettiva delle stesse, le motivazioni che hanno indotto quei comportamenti. Con un approccio simile decine, forse centinaia di migliaia di cittadini italiani delle generazioni precedenti che hanno partecipato alle lotte politiche e sociali dal dopoguerra agli anni 80 sarebbero oggi escluse e ai margini della vita sociale. Sto parlando non solo di uomini e donne che hanno trascorso la loro vita nella quotidiana lotta per vivere una vita dignitosa, ma anche – spesso – di quadri politici e sindacali che sono stati o sono editorialisti di fama, docenti universitari, ministri, sindaci, dirigenti, ecc. Questa è la storia della mia generazione.
Quando la pena è completamente sproporzionata al reato, quando si cessa di considerare i motivi di valore morale, sociale ed economico che spingono alla ribellione, quando si trasforma in criminalità il dissenso usando il maglio della repressione, si preparano tempi cupi.
Occorre vigilanza democratica più che contro le provocazioni, contro l’illusione di prevenire e  affrontare per via autoritaria il conflitto sociale.


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