Compass Group conferma i licenziamenti: è "stato di agitazione"

Si abbatte sui lavoratori la crisi di uno dei colossi della ristorazione collettiva, la Compass Group (circa 360mila dipendenti nel mondo, di cui 7.941 in Italia): poco meno di due mesi fa il ramo proprietario italiano ha comunicato alle organizzazioni sindacali la volontà di disfarsi di 824 uomini e donne (665 operai, 147 impiegati, 65 quadri) attraverso la richiesta di avviare la procedura di messa in mobilità.
Dalla fine di settembre ha preso il via la complicata vertenza, per ora senza esito positivo. Nel corso del confronto i sindacati hanno tra l’altro messo in evidenza i vizi formali e sostanziali della procedura chiedendone l’immediato ritiro, mentre dall’altra parte l’azienda ne riconfermava la regolarità, segnalando in parallelo il calo del fatturato e dei volumi nell’ultimo quadriennio denunciando così l’“erosione dei risultati aziendali” nell’ambito di una struttura di costi non più sostenibile.
Eppure, a giudicare da quanto si legge su un articolo pubblicato dal quotidiano inglese The Telegraph il 27 settembre scorso (il cui stralcio è stato riportato recentemente dal manifesto), il gruppo non registrerebbe perdite complessive a livello internazionale, bensì risulterebbe in attivo sia sul versante dei ricavi sia su quello degli utili. Negli Stati Uniti e nei Paesi emergenti il segno ‘+’ sarebbe tangibile e, se ne deduce, attraverso una sforbiciata aziendale in alcune realtà dell’Europa meridionale Compass potrebbe aggiustare tutte le sue presunte criticità.
Ben si comprende, dunque, la decisione delle organizzazioni sindacali di categoria di proclamare lo stato di agitazione non escludendo affatto di mettere in campo le opportune iniziative di lotta. Filcams, Fisascat e Uiltucs rinnovano peraltro la disponibilità ad affrontare le tematiche dei processi riorganizzativi dell’azienda, ovviamente nel rispetto delle necessarie tutele dell’occupazione e del reddito dei lavoratori, purché “in un contesto privo dei vizi denunciati e nel corretto riguardo del dettato della normativa vigente”.
“Noi abbiamo richiesto il ritiro dei licenziamenti: a quello puntiamo”. Giorgio Ortolani, segretario Filcams-Cgil a Milano, va dritto al punto, evidenziando le surreali modalità scelte da Compass per affrontare la vertenza, entrando poi nel merito dei vizi insiti nella procedura: “Hanno dichiarato di voler esternalizzare l’Ufficio Paghe e Contributi attraverso una cessione di attività ma non del personale; una procedura incredibile, perché si licenzierebbero tutti gli impiegati appaltando il servizio fuori dal gruppo”.
“Molti di noi lavorano da anni per la Compass – aggiunge Francesco Gamba, delegato Rsa presso la sede del capoluogo lombardo - ed è la prima volta che un numero così alto di licenziamenti viene comunicato via fax: lo abbiamo perciò saputo dal sindacato. Peraltro – prosegue il delegato – l’azienda non vuole fare ricorso alla cassintegrazione, sostenendo che i problemi societari non saranno limitati nel tempo...”.
La vertenza non tocca però soltanto la sede di Milano, oggetto di forte ridimensionamento negli intendimenti della proprietà: i tagli si abbattono anche su Torino, Salerno e Roma (tutte realtà dove dovrebbero chiudere le sedi aziendali) segnalando così la vera e propria emergenza occupazionale che salta agli occhi dai numeri degli ‘esuberi’.
Ne è consapevole anche l’Unieuropa Property Services, il sindacato europeo del settore, riunito in Italia per la sua assemblea annuale il 5 e 6 novembre scorso, che ha espresso la propria solidarietà a tutte le lavoratrici e lavoratori di Compass Group Italia, aderendo a tutte le azioni sindacali che verranno intraprese.
Anche lo Iuf Hrct (Unione internazionale dei lavoratori del turismo, della ristorazione e del settore alberghiero), riunito a Cipro il 7 e 8 novembre scorsi, ha inviato il proprio messaggio a sostegno della lotta dei lavoratori italiani: “La situazione italiana non è isolata – si legge in una nota - ma è la diretta conseguenza delle scelte che Compass Group sta compiendo a livello globale; ciò richiede una risposta sindacale a livello sia europeo che globale”.

Paolo Repetto


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