Associati in partecipazione e lavoro a chiamata

Associazione in partecipazione: secondo un copione monotono, la scomparsa di questa forma di lavoro ipotizzata dalla ministra Fornero non c’è stata e non c’è stata neanche la limitazione dell’associazione tra familiari entro il 1° grado o coniugi, come aveva prospettato ai sindacati.
L’art. 2549 del c.c. si arricchisce invece di un nuovo comma: “il numero di associati in una nuova attività non può essere superiore a tre” salvo che “gli associati siano legati all’associante da rapporto coniugale, di parentela entro il 3° grado o di affinità entro il 2° grado”. A vantaggio delle lavoratrici e dei lavoratori c’è che la violazione di tale comma comporta che il rapporto di lavoro si considera subordinato a tempo indeterminato, così come, salva prova contraria, i rapporti di associazione senza effettiva partecipazione agli utili ovvero senza consegna del rendiconto. Va da sé l’importanza della segnalazione delle finte o quanto meno dubbie associazioni.
Lavoro intermittente: con la l.92 del 18 luglio il governo è intervenuto sul lavoro a chiamata. Con tale contratto il lavoratore si mette a disposizione di un datore di lavoro che lo utilizza quando ne ha effettivamente bisogno, senza obbligo retributivo in assenza di prestazione effettiva, salva l’eventuale indennità di disponibilità da corrispondere a consuntivo a fine mese.
Le attività a carattere discontinuo che permettono il ricorso al job-on-call restano quelle elencate nel Regio Decreto n. 2657/1923, in mancanza di attività individuate dai CCNL. Sono 46 le occupazioni elencate; dai custodi/portinai/uscieri/fattorini ai camerieri, personale di treno e di manovra, commessi di negozio nelle città con meno di 50mila abitanti, personale degli essiccatoi, personale adibito alla distribuzione dell’acqua potabile, barbieri, parrucchieri nelle città con meno di 100mila abitanti, personale addetto alla custodia delle cavie per esperimenti.
Cambiano l’ambito di applicazione e i requisiti di carattere soggettivo. Dal 18 luglio non si può più ricorrere al lavoro a chiamata per periodi predeterminati nell’arco della settimana, del mese o dell’anno, ma con la circolare n.18 il Ministero chiarisce che se è previsto dal CCNL è possibile. E’ ammessa la stipula di un contratto di lavoro intermittente “con soggetti con più di 55 anni (prima erano 45 anni) o con meno di 24 (prima 25 anni), fermo restando in tal caso che le prestazioni contrattuali devono essere svolte entro il 25.mo anno”. Il giovane deve cessare il lavoro intermittente il giorno prima del suo 25.mo compleanno.
Resta l’obbligo della forma scritta con l’indicazione della durata e del tipo di stipulazione, dell’indicazione del vincolo o meno della risposta alla chiamata, della consegna della busta paga.
Viene introdotto l’obbligo di comunicazione alla Direzione territoriale del lavoro (DTL) competente della durata della prestazione lavorativa o di un ciclo integrato di prestazioni di durata non superiore a 30 giorni mediante sms, fax o e-mail.  Dal 1° ottobre attraverso il canale online disponibile anche da strumenti mobili. La violazione comporta sanzioni da 400 a 2400 euro per ogni lavoratore per cui è stata omessa la denuncia. Il ministero è dovuto intervenire più volte con note e circolari per sbrogliare la matassa dei canali di comunicazione. La cosa chiara è che i giorni lavorati devono coincidere con quelli preventivamente comunicati: la mancanza di eventuali modifiche, comporterà l’erogazione della retribuzione e dei relativi oneri contributivi, oltre alla sanzione per la mancata comunicazione preventiva.
I contratti già in essere prima del 18 luglio incompatibili con le nuove norme, cesseranno di produrre effetti dal 17 luglio 2013.
In caso di licenziamento? Dal 1° gennaio 2013  per l’Aspi sono richiesti almeno 2 anni di anzianità assicurativa e 52 settimane di contribuzione nel biennio precedente l’inizio del periodo di disoccupazione; per la mini-Aspi almeno 13 settimane di contribuzione di attività lavorativa negli ultimi 12 mesi. Ma approfondiremo in seguito come cambiano gli ammortizzatori sociali.


Print   Email