La "spending review" e le conseguenze negli appalti

di Sergio Tarchi
lavoratore in appalto, Università di Firenze

Le conseguenze della revisione della spesa pubblica (la cosiddetta spending review) nel settore degli appalti si annuncia come un disastro occupazionale senza precedenti che andrà ad abbattersi su un comparto nato nella logica del risparmio e che vede una vasta platea di lavoratrici e lavoratori con minor salario, minori diritti e minori tutele. Lavoratrici e lavoratori per i quali il contratto a tempo determinato non è una garanzia, bensì il coperchio che non consente si accendano sulle loro esistenze i riflettori della precarietà, nella quale vivono permanentemente.

Anche questa legge, come tutte quelle del governo Monti, passate con l’approvazione dell’armata brancaleone parlamentare, ha caratteri di iniquità sociale e depressione economica Le addette e gli addetti degli appalti pagheranno la revisione della spesa (leggi: ancora tagli) due volte: una come cittadini ed una come lavoratori.
La norma si divide in due parti: la prima è normativa, la seconda riguarda proprio i tagli.

Quella normativa identifica nel Consip (la società per azioni del Ministero delle Finanze cui viene affidato il compito di razionalizzare le spese delle Pubbliche amministrazioni) o nelle centrali di committenza regionali gli unici soggetti presso i quali è possibile rivolgersi per l’acquisto di beni e servizi; con effetto immediato, devono aver luogo le disdette di contratti stipulati mediante gara, a meno che questi non siano più economicamente vantaggiosi del Consip. Va aggiunto che nel periodo di tempo che intercorre tra la disdetta e l’affidamento Consip è concessa alle pubbliche amministrazioni la possibilità di compiere aggiudicazioni temporanee. In Toscana, ad esempio, la convenzione Consip se l’è aggiudicata Manutencoop con un prezzo orario - relativamente ai servizi di portineria - inferiore di oltre 3 euro/ora rispetto alle tabelle ministeriali del costo del lavoro.

Ed ora i tagli: per il 2012 i vari ministeri dovranno tagliare 121 milioni e 100 mila euro per l’acquisto di beni e servizi; per il 2013 e gli anni seguenti, altri 615 milioni di euro.

Ora è bene spiegare che quando si discute di acquisto di servizi si sta parlando di persone in carne ed ossa addette a pulimento, sanificazione, facchinaggio, vigilanza, portierato, mense, manutenzione del verde, impiantistica.

Nel giro di pochi anni, a seguito di questi tagli, centinaia di migliaia di lavoratori si troveranno per strada con ammortizzatori sociali che hanno più il carattere dell’elemosina che di un vero sostegno al reddito, senza la prospettiva di trovare una nuova occupazione.

Tagli agli appalti significa erogazione di un po’ di ammortizzatori sociali (utilizzo di risorse pubbliche), minor fatturato delle aziende del settore e quindi minor incassi di Iva, Irpef, Irap e versamenti agli enti previdenziali. Insomma, minor incassi per lo Stato e ulteriore depressione dell’economia reale a causa della perdita di posti di lavoro.
La Filcams nazionale ha chiesto, per i primi di settembre, l’apertura di un tavolo con l’Anci e con la Conferenza delle Regioni ed ha anche presentato richiesta di confronto nel caso di tagli e/o ricontrattazioni dei contratti in essere.

Inoltre è anche stato chiesto che la Cgil assuma la ‘cabina di regia’ di iniziative che congiuntamente devono essere portate avanti dalla categorie interessate al provvedimento: quindi la stessa Filcams, la Flc, la Funzione pubblica, la Filt. Questa iniziativa consentirà al nostro comparto, che è quello più debole, di rafforzarsi, anche per evitare anche tentazioni corporative delle categorie del Pubblico.
Va precisato che si è cercato contestualmente di coinvolgere Cisl e Uil, ma per il momento le altre confederazioni non sembrano interessate a condividere con la Cgil tale vertenza.

A mio modo di vedere, è un errore che le varie categorie si mobilitino in maniera disomogenea su questo tema e l’auspicio è che il Direttivo nazionale Cgil del 10 settembre indichi la data dello sciopero generale che, alla luce del perdurare dell’attacco al mondo del lavoro, non è più rinviabile.


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