Reds n. 06 - 2017

2017 piazza che parla - di Frida Nacinovich

Una volta la politica parlava per voce degli eletti dal popolo. Negli ultimi quindici anni il popolo non ha potuto scegliere i suoi rappresentanti, e la politica ha parlato soprattutto attraverso le piazze. Quelle rosse del biennio 2002-2003, dei pacifisti, degli altermondialisti e dei girotondi del ceto medio riflessivo. Quelle televisive monopolizzate, va da sé, dal re dei network tv (non ancora social), dai suoi adepti (Liguori, Sgarbi, Del Debbio, ecc…), e dalle casalinghe di Voghera, quelle padane radunate nel pratone di Pontida per la liturgia pagana dell’ostensione delle sacre acque del dio Po. Anche le piazzette nere, con le braccia tese a inseguire un passato fatto di morte e distruzione, resuscitato da un’Europa così smemorata da dare spazio agli Orban, agli Heider, al vecchio Le Pen (la figlia è più furba). 2017 piazza che parla, perché la fantasia ha preso il sopravvento sulla realtà, ne è diventa metafora. Perché fra l’apparire e l’essere, ai tempi dei social c’è un abisso più profondo della fossa delle Marianne, la distanza che corre fra la terra e la luna, fra Orlando e il suo sen fuggito. Nella piazza virtuale del Lingotto Matteo Renzi ha ancora il 40% delle europee 2014, rivendicato attraverso il 40% che l’ha visto sconfitto al referendum costituzionale del dicembre scorso. Dal canto suo Silvio Berlusconi, passata la boa degli ottant’anni, folgorato sulla via dell’animalismo dopo aver mangiato carne per oltre tre quarti di secolo, vince le elezioni amministrative chiamando a sé le variegate destre italiane, virtualmente unite fino alla chiusura delle urne.

Poi ognuno per sé e dio per tutti, altrimenti il partito popolare europeo di Angela Merkel si arrabbia: non si può fare muro dal lunedì al venerdì con i partiti populisti e lepenisti, criptofascisti e poi andarci insieme alle elezioni nel dì di festa. Giorgia Meloni e Matteo Salvini non valgono i conclave del Ppe a Strasburgo e Bruxelles, dove c’è il potere vero. Quello che fa gola all’ex Cavaliere, che proprio grazie ai confratelli continentali spera di poter tornare eleggibile in tempo per la primavera prossima. Ah, le piazze. Beppe Grillo sogna ancora quella del 2013 in San Giovanni, ha provato a riproporla, è andata a finire che a Genova erano in 300 - giovani e forti - a sostenere il candidato sindaco della Superba, (tre zeri in meno di quanti fossero a Roma). Le piazze della sinistra - rosse, rosa, arancioni, fucsia - sembrano echeggiare la massima biblica ‘crescete e moltiplicatevi’. Per ora a moltiplicarsi sono state solo le sigle. Gli elettori si vedrà.

Rodotà, la sinistra critica - di Riccardo Chiari

Stefano Rodotà è stato un intellettuale sempre impegnato nella difesa della democrazia e dei diritti sociali. Un giurista punto di riferimento per generazioni di colleghi, perché il suo lavoro ha avuto come stella polare la rappresentanza, intesa come intreccio virtuoso fra la democrazia rappresentativa e la democrazia diretta. Quindi in difesa della centralità del Parlamento, contro la retorica della “governabilità” che tanti danni ha fatto nell’ultimo quarto di secolo.

Di lui è stato detto che era un liberal-democratico. Ma nell’accezione più alta del termine, quella che lo portò a battersi nei referendum del 2011 per l’acqua e i servizi pubblici. Spezzando l’angustia di un diritto civile costruito nella gabbia della contrattazione privatistica, e aprendo l’orizzonte dei beni comuni, fornendo una base costituzionale ai valori d’uso rispetto ai valori di scambio.

Nel suo impegno c’è sempre stata una spinta all’innovazione, per nuovi diritti e nuovi bisogni da garantire e difendere. Nel segno del diritto ad avere diritti, Rodotà spiegava che i costituenti strapparono la “dignità” da una condizione di astrattezza, fornendole una base materiale: per questo “il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla qualità e quantità del suo lavoro, e sufficiente a garantire a sé e alla sua famiglia una esistenza dignitosa”.

Ha combattuto la deforma costituzionale, ed è stato anche candidato al Quirinale. In quella occasione commentò: “Rimango quello che sono stato, sono e cercherò di rimanere: un uomo della sinistra italiana, che ha sempre voluto lavorare per essa, convinto che la cultura politica della sinistra debba essere proiettata verso il futuro. E alla politica continuerò a guardare come allo strumento che deve tramutare le traversie in opportunità”.

Consulmarketing, ti caccio e ti riprendo. Precario - di Frida Nacinovich

[Questo articolo è già stato pubblicato su “sinistra sindacale”, 9/2017]

Ci sono vertenze che al giorno d’oggi sono maledettamente difficili da affrontare. Anche da raccontare. Perché la crisi che attraversa il paese e ferisce il lavoro non c’entra, si può finire in mezzo a una strada anche quando le commesse non mancano. La Consulmarketing, importante società di analisi e ricerche statistiche, ha avviato l’iter di licenziamento per 350 lavoratori. Eppure ne ha bisogno. Ma preferisce organizzarsi al suo interno - ufficialmente c’è scritto ‘esternalizzare’ - affidando agli ex dipendenti delle più economiche collaborazioni. La legge glielo permette.

Nei mesi scorsi Consulmarketing, una società per azioni, era arrivata a un accordo con i suoi dipendenti. Ma “verba volant”, dice il vecchio detto latino, le parole le porta via il vento. Così centinaia di famiglie si trovano in difficoltà: ci sono i figli che vanno a scuola, il mutuo per la casa, le rate per l’automobile.

Sabrina, rilevatrice Consulmarketing, ha quarantacinque anni, vive nel nord Italia, fa questo lavoro da sempre. Ora che la vertenza è arrivata a un punto critico, vuole precisare che la sua storia è uguale a quella di tutti gli altri dipendenti, che le sue parole sono le stesse dei suoi compagni e delle sue compagne di lavoro, crede sia più efficace non personalizzare lo scontro in atto.

Al fianco dei lavoratori si battono la Filcams Cgil e gli altri sindacati di categoria, chiedono a gran voce la scesa in campo del colosso Nielsen (committente quasi esclusivo di Consulmarketing). Sabrina va subito al cuore del problema: “L’azienda vuole riportare alla precarietà gente che lavora qui da vent’anni. Non è un caso che sia stato proposto, a chi accettava il licenziamento volontario, di continuare a lavorare con un semplice contratto di collaborazione”.

Consulmarketing ha più di mille dipendenti, la sede centrale è a Milano, ma gli uffici sono ovunque. Dal sud al nord Italia, vista la peculiare attività. Circa la metà degli addetti è impegnata nel ‘monitoring’, il rilevamento prezzi, scannerizzando i codici a barre nei punti della grande distribuzione. Un mondo quasi tutto al femminile, quasi totalmente precario, nonostante le mille battaglie.
Nel 2013, nelle pieghe della legge Fornero, gli addetti Consulmarketing vengono stabilizzati in deroga al contratto nazionale. Deroga che Cisl e Uil firmano ma non la Cgil. “Prima eravamo precari ma pagati abbastanza bene - precisa Sabrina - all’improvviso ci siamo trovati a lavorare per meno di 5 euro l’ora”.

Nuove vertenze, e quindi nuovo accordo. Migliorativo. “A luglio 2014 l’azienda si impegna a seguire il contratto nazionale e a pagare, progressivamente, un salario adeguato”. Si parla di 900 euro al mese, non di stipendi d’oro. “In cambio viene firmata una conciliazione ‘tombale’ per tutti i pregressi. Ossia rinunciamo a fare qualsiasi causa di lavoro per tutti gli anni in cui eravamo formalmente dei co.co.pro”. Un anno e mezzo dopo arriva la doccia fredda: l’azienda apre una procedura di licenziamento collettivo. I tagli economici alle commesse non permettono di pagare stipendi regolari. “Non c’è dubbio - prosegue Sabrina - la multinazionale Nielsen ha gran parte di responsabilità in questa vertenza”.

Ancora scioperi e altre proteste, alla fine viene trovato un ulteriore accordo e i dipendenti firmano un contratto di solidarietà, scaduto il 5 dicembre scorso. Il 19 gennaio l’azienda apre una nuova procedura di licenziamento per tutti gli addetti ‘monitoring’.
“Con i capi area che invitano le rilevatrici ad accettare un co.co.co. O precari, o a casa: la scelta è quella. Non ci garantiscono più la continuità del lavoro né contributi ferie, malattia. Eppure non vogliono rinunciare alle nostre competenze acquisite, alla nostra professionalità. Hanno bisogno di noi perché il lavoro non manca, e ci offrono dei co.co.co. Che esistono, eccome se esistono, con buona pace degli ultimi governi che declamano la loro scomparsa”.

Dei 350 licenziati, i rilevatori sono 280. Tra questi solo una settantina ha accettato di dimettersi. Sono più di 200 i dipendenti che stanno aspettando la lettera di licenziamento. “E buona parte di loro non si dimetterà - dice con orgoglio Sabrina - andrà in tribunale, farà vertenza contro Nielsen.

Nonostante le difficoltà lavorative nel meridione, le coraggiose lavoratrici hanno detto no al co.co.co”. L’hashtag su Twitter è #rilevatore con dignità. E di dignità loro ne hanno da vendere. Ciliegina sulla torta, la grande multinazionale del marketing si fa assistere dallo studio legale Ichino Brugnatelli. Proprio quello del senatore eletto con il Pd. Quando si dice il caso. ‘Our business looks beyond’, i loro affari guardano oltre, lontano.

C’è chi vorrebbe esportare il modello Consulmarketing, con la precarietà come regola. Golia contro Davide, ma la storia insegna che ogni tanto vince anche Davide.

Contrattazione in deroga: un bilancio - di Andrea Montagni

Ho seguito due vertenze entrambe nate dalla necessità di gestire le conseguenze dell’intervento della legge Fornero sui rapporti di collaborazione. L’alternativa alla vertenza collettiva sarebbe stata la gestione per via giudiziale del contenzioso di ogni singolo lavoratore per il riconoscimento del rapporto di lavoro dipendente e per il risarcimento monetario del pregresso.

Il primo caso. Il 17 luglio la Filcams e il Nidil, insieme alla Fisascat e a Ferpa, a UILTrasporti e Uiltemp@ hanno siglato un accordo per la confluenza dei lavoratori del settore della distribuzione di depliant pubblicitari nel Contratto collettivo nazionale del settore Multiservizi. L’accordo prevedeva la regolarizzazione dei lavoratori del settore, sino a quel momento assunti con contratti di collaborazione e come partite IVA con il loro progressivo inserimento nel contratto Multiservizi. Il classico contratto di emersione.

Nel caso in questione, la trasparenza e la legalità sono state questioni decisive nell’indurre l’associazione padronale Anad a ricercare un’intesa con il sindacato. Le imprese avevano la necessità di non disperdere la professionalità delle persone che lavoravano per loro e volevano regole certe nei confronti della committenza, eliminando la concorrenza sleale delle squadrette che operano a nero e senza regola alcuna. 

La mancanza di regole di mercato e l’impossibilità di imporre alle aziende committenti (le grandi aziende della moderna distribuzione organizzata) il rispetto nell’affidare le commesse del contratto collettivo di lavoro per i dipendenti delle aziende di distribuzione pubblicitaria, hanno prodotto il paradosso di provocare la crisi nelle aziende che il contratto applicano e il rapido ritorno nel settore a forme di lavoro precarie e senza garanzie. E’ successo che lavoratori finiti licenziati abbiano ritenuto il sindacato (che li aveva fatti regolarizzare) responsabile della loro sorte!

Il secondo caso, una azienda leader nel settore del rilevamento prezzi al consumo (la Consulmarketing) nella quale la “regolarizzazione” era avvenuto con la stipula di un accordo “di prossimità” applicativo con deroghe del CCNL ANASFIM, firmato il 7 dicembre 2012 da Fisascat e UILtucs. L’accordo prevedeva il sottoinquadramento permanente e un orario di lavoro full-time superiore alle 40 ore settimanali. Per sovrammercato, la settimana successiva, un accordo applicativo aziendale era stato firmato da un sindacato autonomo. In questo caso, come FILCAMS siamo intervenuti conquistando nel luglio 2014, grazie al sostegno dei lavoratori e a rappresentanze sindacali aziendali molto combattive, un successivo accordo che comportava l’equiparazione degli orari di lavoro e delle retribuzioni a quelle del CCNL del commercio, entro il dicembre 2018. L’azienda, facendosi scudo della “impossibilità” di imporre al committente (la Nielsen) il rispetto delle tariffe contrattuali nel calcolo del costo della commessa, ha provveduto a licenziare quest’anno l’intero organico di settore e sta assumendo personale con contratti di collaborazione e/o partita IVA. [a pagina 3 riproduciamo l’articolo che “sinistra sindacale” nel numero 9 del 7 maggio di quest’anno ha dedicato alla vertenza: Consulmarketing, ti caccio e ti riprendo. Precario di Frida Nacinovich]

L’accordo ANAD è stato firmato con l’obiettivo di impedire licenziamenti e di estendere diritti e tutele a lavoratori che fino a quel momento ne erano privi. Anche l’accordo separato ANASFIM per i lavoratori di Consulmarketing e il successivo accordo, migliorativo del primo, firmato dalla FILCAMS, avevano lo stesso obiettivo.

Il bilancio di queste due esperienze è che la contrattazione – che per noi era e resta la strada maestra per affermare il rispetto e conquistare nuovi diritti e tutele – non è sufficiente a dare garanzie ai lavoratori. La contrattazione in deroga, spesso, non costituisce un punto di partenza verso nuovi passi in avanti, ma solo la registrazione di una non applicazione erga omnes dei contratti collettivi.

Le previsioni dell’articolo 8 della Legge 148 del 2011 si confermano una iattura e uno strumento contro il lavoro, ma la mancanza di una legislazione che riconosca la validità erga omnes dei contratti collettivi resta una lesione della potestà contrattuale e della legittimità dell’azione sindacale.

O riconquistiamo un quadro legislativo favorevole alla causa del lavoro oppure la nostra prospettiva potrebbe diventare quella di un sindacato di agitazione sui temi generali e di battaglie aziendali e corporative nella vita quotidiana. La Carta dei diritti – e la scelta di promuovere i quesiti referendari – non vanno considerati come accadimenti straordinari e irripetibili, ma come elementi di una nuova collocazione sociale del sindacato italiano. Lo stesso vale per la politica: la Cgil non può sottrarsi: deve aprire, nel prossimo percorso congressuale che si concluderà entro la fine del 2018, un confronto plurale e unitario anche sull’autonomia e sul rapporto con la politica e con i partiti, consapevoli del bisogno di una sinistra politica di massa che abbia al centro il lavoro. Sono questioni dirimenti e strategiche per l’organizzazione. 

"PrestO": l'imbroglio dei "nuovi" voucher - di Dafne Conforti

Ci siamo. Dal 10 luglio tornano i Voucher. C’è anche la circolare INPS. E’ la n. 107 del 5 luglio. Il referendum su Abolizione dei voucher, per il quale aveva firmato più di un milione di persone, non si è svolto. A marzo il governo Gentiloni ha abolito i voucher, “per non dividere il paese”, ha detto. Cioè, per evitare un altro 4 dicembre. A quel punto il Governo avrebbe potuto e dovuto confrontarsi con chi quei Referendum li aveva promossi. Ha scelto invece un’altra strada.
Pochissimi giorni dopo il 28 maggio, la Commissione bilancio della Camera

ripesca i voucher con un provvedimento presentato dal PD e approvato grazie al voto anche di Forza Italia e Lega Nord. Renzi, Berlusconi e Salvini insieme contro i diritti dei lavoratori. Impossibile modificarlo perché passato all’interno della “manovrina” approvata dal Senato (quello che volevano abolire) con voto di fiducia. I fuoriusciti dal PD hanno scelto di abbandonare l’aula, facendo abbassare il quorum per l’approvazione. Forse c’è anche un problema di incostituzionalità, ma sta di fatto che i voucher sono tornati. Ora si chiamano “Contratto di prestazione occasionale” (“Cpo” o “PrestO, per Boeri) e “Libretto Famiglia” o anche “LF” a seconda se il lavoro occasionale è a vantaggio delle imprese con meno di 5 dipendenti (una miriade) o di persona fisica. Per il computo della forza aziendale con rapporto di lavoro a tempo indeterminato, si prende il semestre che va dall’ottavo al terzo mese prima della data dello svolgimento della prestazione lavorativa occasionale (es: PrestO: 20 agosto 2017. Periodo di riferimento dicembre 2016-maggio 2017). E’ la consistenza dell’impresa la novità più sostanziale. Sulla carta, perché nella realtà è proprio quel mondo di piccole imprese che ha fatto esplodere i “vecchi” voucher. Nel “vuoto” creato dall’abolizione dei voucher aveva “(ri)scoperto” i contratti di lavoro, anche se precari, che però hanno un “difetto”: costano ai padroni, al contrario dei voucher. Perché con i contratti, anche se precari, i lavoratori diventano soggetti titolari di diritti: ai contributi, alla malattia, alla liquidazione. I “nuovi” voucher sono contratti non contratti. Potranno farne uso professionisti, lavoratori autonomi, imprenditori, imprese del settore agricolo nonché, ebbene sì, quella PA dove i lavoratori che vanno in pensione non vengono sostituiti. E’ un imbroglio dire “per esigenze temporanee e eccezionali” tra cui lo “svolgimento di lavori di emergenza correlati a calamità o eventi naturali improvvisi”! Non ne possono farne uso Imprese nell’edilizia e affini e nell’esecuzione di appalti. Il compenso minimo non può essere inferiore a € 9,00 per ogni ora di prestazione lavorativa e l’importo giornaliero non può essere inferiore a € 36,00, pari a 4 ore lavorative anche qualora la prestazione giornaliera dovesse essere inferiore a quattro ore (!). Da aggiungere €2,90 per contributi INPS e € 0,32 per INAIL. Non è cambiato nulla: i contributi sono sempre nella Gestione Separata dove, si sa, le settimane accreditate dipendono dai contributi versati e non dai mesi lavorati. Il tetto massimo scende a € 5000 all’anno con un ulteriore limite di € 2500 all’anno per le prestazioni rese al singolo datore di lavoro. I “prestatori” possono essere pensionati, giovani sotto i 25 anni se studenti, disoccupati, titolari di prestazioni integrative del salario. Anche la durata è limitata: 280 ore all’anno. Superati tali limiti, il rapporto di lavoro viene trasformato in subordinato a tempo pieno e indeterminato. E’ la “sanzione” più pesante e diciamo “dovrebbe” conoscendo l’evoluzione dei “vecchi” voucher.

Nel settore agricolo (quello per cui erano nati i voucher, per la vendemmia), possono essere diversi sia la durata che il compenso, dipendendo dal contratto collettivo stipulato con le associazioni sindacali di categoria. Non è possibile fare ricorso al Cpo se il lavoratore è già dipendente o se lo è stato nei sei mesi precedenti la prevista prestazione. Addio tabaccaio e riscossione quasi immediata: pagherà l’INPS entro il 15 del mese successivo a quello di svolgimento della prestazione o con accredito su conto corrente bancario/postale o su libretto postale o su carta di credito. Occhio a fornire i dati corretti: l’INPS non ne risponde. In assenza di IBAN il pagamento avviene tramite bonifico che ovviamente ha un costo (€ 2,60).

Per accedere a Cpo o LF si utilizza l’apposita piattaforma telematica dell’INPS (www.inps.it/Prestazioni Occasionali). Per il Cpo I dati vanno comunicati almeno 60’ prima dell’inizio della prestazione Se questa non dovesse essere resa, la dichiarazione può essere revocata purché entro le ore 24.00 del terzo giorno successivo a quello originariamente previsto per lo svolgimento della prestazione, salvo intervento del lavoratore ( e qui libero sfogo alla fantasia sui possibili scenari). Invece il LF può essere utilizzato solo da persone fisiche per lavori domestici, assistenza domiciliare a bambini e persone anziane con disabilità, per le lezioni private. In questo caso il valore nominale è fissato a 10€ per prestazioni di durata non superiore a un’ora, di cui €1,65 per INPS (sempre gestione separata), € 0,25 per INAIL e 0,10 per oneri di gestione. In questo caso i dati relativi alla prestazione vanno comunicati al termine della prestazione lavorativa e comunque non oltre il terzo giorno del mese successivo a quello di svolgimento della prestazione stessa!!

E’ un imbroglio. Non si chiamano voucher ma sempre schifezza sono e il Governo di certo non sconfigge così né precariato né lavoro nero. Anzi.