Elisa Camellini, segretaria nazionale FILCAMS-CGIL Sulla responsabilità dei committenti: dobbiamo andare a votare, raggiungere il quorum e far vincere i Sì - dalla redazione di reds

Elisa Camellini, segretaria nazionale FILCAMS-CGIL

Elisa Camellini è la segretaria nazionale della Filcams-CGIL che ha la responsabilità del settore del pulimento. Il 22 febbraio è saltato il tavolo del confronto contrattuale. I sindacati hanno proclamato lo stato di agitazione e un pacchetto di 8 ore di sciopero a livello nazionale.
“E’ inaccettabile per le organizzazioni sindacali - dice Elisa - che a 46 mesi dalla scadenza del contratto nazionale, le controparti si siano presentate al tavolo di trattativa con una pregiudiziale legata al peggioramento del trattamento normativo ed economico di malattia per proseguire nel confronto. Oltre tutto sono state presentate proposte peggiorative sul cambio di appalto (con la definizione del concetto di discontinuità per evitare l’applicazione dell’art. 2112 del Codice Civile e il trasferimento del personale nella successione e/o sostituzione tra imprese appartenenti alla stessa Ati, Rti, Consorzio, subappaltatori, ecc. senza prevedere la disapplicazione del contratto a tutele crescenti, come invece concordato in precedenza) e sulle condizioni di lavoro per i nuovi assunti (con il mantenimento al primo livello per un tempo superiore a quello attualmente previsto e la riduzione dei giorni di ferie); inoltre è stata data una risposta insoddisfacente sul salario. Anip Confindustria, Legacoop Servizi, Federlavoro e Servizi Confcooperative, Unionservizi Confapi e Agci si sono rimangiate impegni presi e i sindacati unitariamente non intendono accettare che un negoziato aperto da quasi 4 anni sia sottoposto ad una pregiudiziale che attacca i diritti delle lavoratrici e dei lavoratori di un settore che negli ultimi anni di crisi ha visto continui tagli sugli orari di lavoro e sulle retribuzioni. E’ in ballo il destino di oltre mezzo milione di persone, in larga parte donne e con contratti di lavoro con orari molto risicati, per il quale il lavoro e la sua condizione sono dignità e anche sopravvivenza”.

E nel settore artigiano, a che punto siamo dopo le grandi difficoltà degli anni passati?
“Siamo alla vigilia della presentazione della nuova piattaforma. Rispetto al passato, ma mai dire mai, possiamo soltanto prendere atto che nel settore l’operazione di dumping contrattuale, operato attraverso l’adesione delle aziende artigiane ad ATI per concorrere ai grandi appalti, non si sta realizzando. Ciò in quanto le dimensioni di impresa artigiana, come noi avevamo sottolineato, ha una sua specificità e partecipare a gare di appalto di portata nazionale spesso può significare rinunciare a tale condizione con conseguenze anche sull’applicazione contrattuale.”

La CGIL è impegnata in queste settimane nella campagna perché il governo fissi la data sui due referendum sul lavoro. Quello che propone l’abrogazione parziale dell’articolo 29 del dl 276 del 2013 (conosciuto come referendum sulla responsabilità in solido del committente) è per noi decisivo, come lo sarebbe stato quello sull’art.18 sui cambi appalto…
“La situazione è ormai insostenibile: il meccanismo del massimo ribasso fa sì che le imprese che fanno l’offerta più bassa, e vincono, sono quelle che non hanno poi la solidità finanziaria ed economica che le pone molto a rischio di tenuta di fronte ai ritardi nei pagamenti del committente. Questa situazione, a sua volta, fa sì che ai primi ritardi dei pagamenti da parte dei committenti le aziende iniziano a pagare in ritardo gli stipendi, e se la situazione persiste spesso lasciano l’appalto, quando letteralmente non spariscono, lasciando i lavoratori senza retribuzioni, competenze di fine rapporto e TFR. Se pensiamo che ad oggi la committenza pubblica non è tenuta a rispondere in solido sui mancati pagamenti delle spettanze dei lavoratori, diventa praticamente impossibile per le lavoratrici e i lavoratori recuperare quanto gli è dovuto, tenuto conto che tra i peggiori pagatori in Italia registriamo proprio la Pubblica Amministrazione. Potete tutti comprendere quale circolo vizioso si innesca e l’impotenza delle lavoratrici e dei lavoratori di fronte a tutto ciò. Ci vuole, quindi, una legge che responsabilizzi il committente non in modo superficiale, come è ora, ma in maniera stringente. E’ indispensabile. Dobbiamo andare a votare al più presto, raggiungere il quorum e far vincere i Sì”.

Oltre l'immagine, diritti dei lavoratori a rischio - di Alessandro Rossi

Museo dell’Automobile di Torino: storie quotidiane di appalto

Il Museo dell’Automobile nasce nel 1932 su iniziativa di Cesare Goria Gatti e Roberto Biscaretti di Ruffia (primo Presidente dell’Automobile Club di Torino e tra i fondatori della Fiat), e figura tra i più antichi musei dell’automobile del mondo. 

Alla vigilia di Expo ’61, l’Esposizione internazionale del Lavoro, che si tiene a Torino nel 100simo anniversario della proclamazione del Regno d’Italia, trova la sua definitiva sede sulla sponda sinistra del Po a poca distanza dal Lingotto.

Ma il Museo non decolla. Finalmente, nel 2001, il Comune di Torino, nel quadro delle celebrazioni per il 150simo dell’Italia unita, entra nel Consiglio di Amministrazione affiancandosi a Regione, Provincia, ACI e FIAT e delibera il rinnovamento della sede museale; nel 2005 si chiude il bando di gara e nel 2011 il Museo riapre i battenti. L’inaugurazione in pompa magna, vede la presenza del Presidente della Repubblica Napolitano e il padrinato “morale” (sic!) di Vittorio Emanuele di Savoia.

Questo è l’unico Museo Nazionale del genere in Italia. Il Museo vanta una delle collezioni più rare ed interessanti nel suo genere, quasi 200 automobili originali, dalla metà dell’800 ai giorni nostri, di oltre ottanta marche diverse, provenienti dall’Italia, Francia, Gran Bretagna, Germania, Olanda, Spagna, Polonia e Stati Uniti. All’esposizione museale si aggiungono il Centro di Documentazione un’area mostre temporanee, uno spazio eventi, un centro congressi, il centro didattico, il bookshop e la caffetteria-ristorante.

Cassa, accoglienza e presidio delle sale espositive sono affidati in appalto. La vetrina brillante nasconde, come sempre in Italia, una realtà meno lucente. Gli addetti alla sorveglianza delle sale devono camminare in continuazione senza potersi fermare in numero di due per piano, con una modalità che viene chiamata, non scherzo!, “essere di giostra”.

Per vincere gli appalti si gioca al ribasso, e dove servirebbero per esempio dieci operatori se ne mettono cinque e poi si spera nella buona stella, o nel bisogno dei lavoratori che piegano il collo alle ore supplementari.

Le condizioni di lavoro sono di conseguenza: arbitrio e pressioni di ogni genere in un lavoro che visto da fuori sembra di tutto riposo…

Il primo bando che metteva a concorso i servizi, in sostanza più che ore contrattuali qui si tratta di copertura di postazioni in rapporto agli orari di apertura del Museo, era il perfetto esempio di come non si fa un bando del genere.

Ovviamente non conteneva la “clausola sociale”, l’elemento di salvaguardia del personale e della professionalità maturata, che consente ai lavoratori presenti da un certo tempo in un determinato appalto, di essere assunti dalla ditta subentrante, a parità di condizioni; era lacunoso nelle modalità di organizzazione del lavoro. Una cura particolare era stata posta nell’inserire una serie di regole comportamentali, una sorta di regolamento aziendale, degno di un padrone delle ferriere.

I lavoratori si sono rivolti al sindacato, costretto ad agire di rimessa, perché solo la contrattazione preventiva è l’unico modo di prevenire il conflitto imponendo il rispetto delle regole.

I vertici aziendali, nonostante la presenza della controparte pubblica, sono rimasti sordi alle nostre proposte e alla fine in corso d’opera sono state costrette a ritirare il bando, perché nel frattempo Regione Piemonte e Comune di Torino hanno firmato un accordo con CGIL-CISL-UIL territoriali che regolamenta il settore degli appalti di beni e servizi inerenti le due istituzione a livello territoriale in contrasto con il bando museale. Naturalmente il nuovo bando è ancora orfano della clausola sociale: evidentemente in collina a nessuno importa che si rischi di lasciare in mezzo alla strada degli incolpevoli lavoratori o che li si impoverisca ancora di più.

Al momento i prodi amministratori sono nella fase di analisi delle offerte: speriamo che gli echi delle passate e delle presenti lotte arrivino alle loro auliche orecchie e li inducano a più miti consigli, anche perché non finisce qui di certo.

 

Fatturato contro diritti - di Carlo Morciano

Federdistribuzione e Carrefour legate a doppia mandata

Come fosse una scure, è stata letteralmente scagliata la comunicazione - alle organizzazioni sindacali - di un importante esubero nel settore Iper: circa 600 dipendenti e la contestuale chiusura di almeno 2 Iper nel Nord Italia (sono tre i formati Carrefour oltre agli Iper: Gourmet, Urbano, Attrazione).
Le cifre diffuse riferiscono di forti perdite e di un eccessivo costo del lavoro (va sottolineato che nel primo trimestre del 2016 il fatturato globale di Carrefour è aumentato del 5% superando i 20 miliardi di dollari).

In Italia, la dirigenza mostra un problema: i lavoratori. Negli ultimi anni il confronto/sfida con l’azienda si è basato sull’organizzazione del lavoro e sul mantenimento del contratto integrativo aziendale (sempre più povero nei contenuti). Il nodo non è riconducibile a strategie errate di confronto da parte delle OO.SS. bensì alla poca chiarezza e trasparenza di un’azienda che ha sempre dichiarato (verbalmente e per iscritto) di voler mantenere inviolato il livello occupazionale, ma che di fatto ha sempre remato in senso contrario, dimostrando inoltre di avere poche idee e per lo più confuse su quelle che dovranno essere le strategie di mercato future.

Ne sono testimonianza l’ennesima procedura di licenziamento dichiarata, la cessione di alcuni punti vendita a piccoli privati e la chiusura di alcune unità produttive. L’inserimento dei lavoratori somministrati non è solo servito all’abbattimento del costo del lavoro (che di fatto non si è verificato), ma anche alla frammentazione dei lavoratori dipendenti.

Precisando meglio, là dove un turno di lavoro prevedeva 15/20 dipendenti ora ne prevede la metà, distribuiti nelle 14 ore: piccoli gruppi spaesati ed affogati nelle mille e mille operazione giornaliere da espletare.

Verrebbe spontaneo chiedersi come mai una multinazionale così “attenta” alle esigenze della propria clientela non lo sia altrettanto nei confronti dei propri dipendenti, se non fosse già chiara la risposta. Oggi in un market di tipologia Gourmet puoi farti preparare un frullato fresco, puoi mangiare sushi comodamente seduto nell’area relax o comprare prodotti d’eccellenza.
Federdistribuzione e Carrefour sono due entità legate a doppia mandata, praticamente un’unica figura nell’estenuante trattativa del rinnovo del contratto ormai scaduto da anni. E’ chiaro che tanto più riescono ad ottenere i “francesi” tanto più otterranno i vari Auchan, Sma, Pam, Panorama e via discorrendo. Chi ha come punto di riferimento il Jobs Act non si spellerà certo le mani per favorire i diritti delle lavoratrici e dei lavoratori di questo settore.

Chi pretende sempre maggiore flessibilità, chi pretende che i part time modifichino il proprio orario in funzione della giornata lavorativa non si batterà certo il petto per le problematiche della vita privata di noi comuni mortali.

Federdistribuzione e le sue associate hanno un chiaro disegno da realizzare: ovvero che siano i lavoratori e le lavoratrici ad adattarsi, trasformando la propria vita privata in funzione del flusso di clientela che le unità produttive registrano.

 


 

La condizione precaria e quotidiana del lavoro

Nello stesso posto di lavoro commessi, interinali, gpg e facchini: tutti o quasi con contratti diversi 

Cominciamo dal principio, dall’inizio di un turno di lavoro in un qualsiasi supermercato, di un qualsiasi lavoratore…
Ore 6 del mattino: si arriva per dare il cambio al collega assunto dall’azienda per ricoprire la fascia oraria che va dalle 22.30 sino alle 6.00 del mattino. Sì, perché siamo partiti dalla normale chiusura alle ore 20.00, per poi passare alle 22.30, sino all’apertura h24 (anno 2012, liberalizzazione degli orari con il decreto “Salva Italia” del governo Monti: dalla primavera 2015 i supermercati con l’apertura h24 sono circa 100).

Prima fase: dare il cambio al cassiere (lavoratore interinale). Mi soffermerei un istante su questa nuova figura. Perché in questa intricata vicenda di esuberi e costo del lavoro, diminuzione dei fatturati e quant’altro, appaiono sulla scena lavoratori interinali e cooperative utilizzate per il rifornimento. Ed il personale diretto? Raro… come il quadrifoglio.

Torniamo al nostro supermercato. Prima di vedere un dipendente Carrefour diretto trascorrono alcune ore; nel frattempo le operazioni di lavoro proseguono con numerose difficoltà, in considerazione del fatto che il numero del personale è ridotto all’osso... o all’essenziale, direbbe qualcuno. Nella logica di riduzione del costo del lavoro, anche la guardia giurata adesso termina alle 5.00 del mattino anziché le 6.00, quindi in quella fascia oraria sono presenti solo due addetti (ottimo come incentivo a furti e rapine). Ai rari nantes (in gurgite vasto) si unisce l’addetta alle pulizie, anche lei vittima del taglio delle ore (ma non della superficie da pulire).

Riassumiamo: in circa due ore siamo entrati in contatto con tre figure diverse: A) lavoratori dipendenti; B) lavoratori interinali; C) cooperative. Mancano i voucheristi, ma per quelli l’azienda si sta attrezzando ricorrendo all’occorrenza a tali figure nelle domeniche o durante gli scioperi.

La giornata scivola via tra le lamentele dei clienti per le eccessive file in cassa e nei reparti a servizio sino ad inciampare sul turno delle 22.30, che conduce all’alba. Scrivo così perché in assenza del cosiddetto “responsabile notturno” spetta ad un capo reparto coprire la nottata… che “ha da passa’…”. Di notte non c’è movimento, pochi i clienti con acquisti esigui. “Un h24 è sostenibile se nelle ore notturne il punto vendita fa almeno il 3% del fatturato totale considerato nell’arco dei 7 giorni”.

A fronte delle lamentele del personale dipendente, rispetto alla trasformazione dei turni di lavoro, l’azienda risponde sventolando un entusiastico successo che ha incrementato il fatturato (salvo provvedere in corsa all’azzeramento di qualsiasi straordinario), il che fa sorgere seri dubbi sulla veridicità di tale affermazioni.

 


 

Carrefour in Italia

Alla richiesta di scrivere un pezzo su Carrefour si accende la irrefrenabile voglia di gettarsi sulla tastiera ed inondare con una valanga di dati ed informazione il lettore che vorrà immergersi nel paludoso ed intrigato mondo di questa azienda.

Da subito controllo gli appunti presi durante gli attivi ed i vari incontri sostenuti con Carrefour, passando poi per le infinite informazioni disponibili sul web. La storia della Gs prima e della Carrefour poi, è facilmente reperibile sull’essenziale Wikipedia, con tanto di informazioni dettagliate e cenni storici.

Si parte dal lontano 1961 con l’apertura a Roma del supermercato Villaggio Olimpico per passare al 1966 ed alla cessione del 60% del gruppo alla SME (allora facente parte del gruppo IRI), la conseguente trasformazione in SGS (Società Generale Supermercati). Corre l’anno domini 1995 quando la società Schemaventuno acquista SME e quindi SGS. Il prodotto finito della fusione è per l’appunto il “gruppo GS”.

Qualche anno prima (1972) faceva capolino a Carugate il primo punto vendita Carrefour.

Nel 2000 il colosso transalpino rileva l’intera catena a marchio GS. Riassumiamo tutto ciò e proviamo a tradurlo in numeri: 54 ipermercati, 450 super, 570 negozi di prossimità, in tutto 20mila dipendenti circa.
Questa non è la lista definitiva ed aggiornata ovviamente. Infatti a tale descrizione numerica di dipendenti e strutture vanno scalati i 600 e passa esuberi dichiarati meno di un mese fa e le chiusure di almeno due Ipermercati.

Ma chi è Carrefour? E’ una multinazionale francese che vede i suoi punti di forza in Brasile, Unione Europea ed Asia (in Cina è arrivata da poco sostenendo un importante investimento). Primo gruppo della Nuova Grande Distribuzione Organizzata in Europa, seconda al mondo solo dopo il colosso americano Wall Mart… numero uno in Federdistribuzione. Dove ha potuto ha investito, dove non è riuscita ha impiegato pochissimo tempo a disinvestire ed abbandonare il territorio.

Nel mondo si segnalano numerose denunce per atteggiamento antisindacale che la dicono lunga sul profilo adottato da questa azienda.

Appalti, committenza, dumping contrattuale e contratti pirata - di Antonio Baldo

Il settore della vigilanza privata e dei servizi fiduciari conta oltre 50mila gpg (guardie giurate) e 80mila operatori dei servizi fiduciari, receptionist e altre figure professionali. Attualmente si trova al centro di una complessa trattativa per rinnovo del CCNL - il precedente fu siglato dopo ben 49 mesi di difficile trattativa in presenza di una controparte padronale fortemente divisa al suo interno a causa degli interessi contrapposti tra le aziende e in presenza di divisioni di carattere tattico e strategico tra le tre federazioni sindacali di categoria.

Nella convinzione e nella consapevolezza della centralità del CCNL quale strumento universale di regolazione e di solidarietà, l’obbiettivo della Filcams-CGIL resta quello di fare un rinnovo che vada verso l’unificazione della categoria sia sotto l’aspetto normativo che economico, per favorire la realizzazione di un un’unica filiera della sicurezza per i 50mila lavoratori gpg e gli 80mila addetti dei servizi fiduciari.

Il settore attraversa una profonda crisi strutturale nella quale emergono le responsabilità della committenza pubblica e privata sulla questione degli appalti. I committenti hanno determinato negli ultimi anni una forte riduzione delle tariffe per ottenere una sensibile riduzione dei costi, richiedendo al contempo una maggiore professionalità degli operatori della vigilanza classica e anche dei servizi di receptionist, vista la necessità di sopperire ai tagli strutturali agli apparati di sicurezza pubblica. La richiesta di riduzione dei costi da parte dei committenti è stata supinamente accettata dalle aziende e dalle associazioni di settore, che non hanno né saputo né voluto contrastarle, pensando bene di scaricare il peso economico di tale scelta sulle spalle dei lavoratori, riducendo sostanzialmente il costo del lavoro, attraverso la mancata contribuzione e il non rispetto di elementi economici e contrattuali.

E’ un settore nel quale si verificano sempre più comportamenti e pratiche illegali, vengono violate le regole, a fronte di mancate contribuzioni previdenziali e contributive da parte di alcune aziende. Sono comportamenti favoriti in primo luogo dell’assenza quasi assoluta delle istituzioni e degli organi istituzionali preposti al controllo a livello territoriale (questure, prefetture) e a livello nazionale (il Ministero dell’Interno).

Le conseguenze di tale mancanza di controlli e di legalità si fanno sentire sulla carne viva di decine di migliaia di lavoratori e sono la causa del costante arretramento delle loro condizioni materiali di vita e di lavoro.

La questione dei “contratti pirata”, sottoscritti da sigle sindacali autonome - “sindacati” gialli per altro privi di rappresentatività reale - con alcune aziende del settore, ha coinvolto anche la nostra categoria, attraverso un attacco senza precedenti ai livelli economici e normativi: la quota media di salario che viene perso nelle buste paga dei lavoratori e che finiscono nelle casse delle aziende che sottoscrivono tali contratti si aggira intorno al 40%; per tacere delle mani libere che si riconoscono ai padroni sull’organizzazione del lavoro. Tale attacco è partito da alcune aziende del Mezzogiorno e si va estendendo a macchia di leopardo da Sud a Nord. La preoccupazione riguarda tutti i settori in appalto, perché i contratti pirata non vengono contrastati da parte delle istituzioni competenti che dovrebbero vigilare.

Una delle principali concause della situazione di deregulation del settore si realizza nei cambi di appalto nelle quali centinaia di lavoratori subiscono il più delle volte un vero e proprio salasso dei diritti a causa della normativa sui cambi d’appalto inserita nel jobs act, (art 7 della Legge183/2014), che equipara l’assunzione del lavoratore subentrante in un appalto ad un nuovo rapporto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti. Nei cambi appalto inoltre si determina spesso il mancato riconoscimento dei livelli contrattuali e orari precedenti, facendo in questo modo carta straccia di quanto previsto dalla contrattazione collettiva nazionale.

Il 19 marzo 2015 Filcams-CGIL, Fisascat-CISL e Uiltucs-UIL Roma-Lazio hanno firmato un documento unitario raccomandando alle strutture territoriali di battersi per inserire clausole in accordi ad hoc, per riuscire ad evitare questa “strage di diritti”. Solo in pochissime procedure di cambio appalto espletate si sono ottenuti risultati positivi con il mantenimento dei diritti maturati. Ci tocca dunque constatare la quasi totale indisponibilità delle aziende a fianco all’indifferenza da parte delle Istituzioni.

Perciò resta centrale la richiesta del riconoscimento della “clausola sociale” quale punto irrinunciabile del prossimo rinnovo contrattuale.

Rispettare i referendum - di Riccardo Chiari

I camper sono partiti. Da Roma, Bari, Firenze, Milano, Napoli e Torino, tappe di apertura di un lungo viaggio attraverso l’Italia. Lo slogan è presto detto: “Con due Sì ai referendum popolari sul lavoro promossi dalla Cgil, tutta un’altra Italia”. Due sì contro l’infezione dei voucher nel corpo vivo del lavoro, della sua rappresentanza, e dell’essenza stessa della contrattazione. Contro la deregolarizzazione dei pur tenui fattori di solidarietà che hanno resistito nell’ingranaggio schiacciasassi di appalti e subappalti.

Nei giorni scorsi la Cgil ha chiesto a gran voce all’esecutivo Gentiloni, a 26 giorni dalla pubblicazione della sentenza della Consulta sull’ammissibilità dei quesiti referendari, di fissare la data della consultazione popolare. “Il governo fissi la data – ha puntualizzato Susanna Camusso - e la faccia coincidere con quella delle amministrative: abbiamo raccolto milioni di firme a sostegno dei quesiti per l’abrogazione dei voucher e per la piena responsabilità solidale negli appalti, i cittadini hanno diritto ad esprimersi, e un election day permetterebbe di non sperperare denaro pubblico”.

Il pressing del sindacato comprende anche gli incontri con i gruppi parlamentari, per sollecitare il Parlamento ad avviare la discussione sulla proposta di legge di iniziativa popolare sulla “Carta dei diritti universali del lavoro”. Eppure da Palazzo Chigi ancora si nicchia. Le voci del Transatlantico raccontano che si vorrebbe approvare una “leggina” sui voucher per depotenziare il quesito referendario ritenuto più pericoloso, dato che l’argomento è sempre più mediaticamente popolare. Sarebbe una scelta esiziale per chi, dai banchi del governo e della sua maggioranza parlamentare, ha il dovere di rispettare la legge istitutiva dei referendum popolari.