Una questione politica - di Maurizio Brotini

Il congresso confederale e la proposta del segretario generale

E' ormai evidente e manifesto come le contrarietà avanzate da una parte dell’Organizzazione alla proposta fatta da Susanna Camusso - e dalla maggioranza della Segreteria - della figura di Maurizio Landini come candidato a svolgere la funzione di prossimo Segretario Generale della CGIL siano di ordine squisitamente politico, di analisi di fase e di linea come si sarebbe detto un tempo.

In realtà, a ben vedere, si sta coagulando e rendendo esplicito un fronte che si era già manifestato rispetto alle scelte della CGIL di questi ultimi anni, come il NO al referendum costituzionale, l’indicazione di partecipazione al voto al referendum sulle trivelle, la raccolta di firme e la promozione dello strumento referendario a supporto della Carta dei diritti universali del lavoro tradotta anche in legge di iniziativa popolare.

Oltre i presupposti di merito, che fanno premio su tutto, probabilmente agiva anche una diversa valutazione sia delle politiche dei Governi a guida PD - o che vedessero nel PD un soggetto decisivo a livello di maggioranza parlamentare – sia dei rapporti tra rappresentanza sociale e sindacale e rappresentanza politica. Promuovere direttamente come CGIL dei referendum in materia di lavoro era in effetti anche la conseguenza della mancata - significativa - rappresentanza del lavoro sul piano delle forze politiche, soprattutto dopo che il PD si era prodotto nel taglio dei permessi sindacali, dei trasferimenti ai patronati e soprattutto nell’approvazione del Jobs Act.

La CGIL non aveva più un problema di autonomia o di indipendenza, ma di solitudine.

Una solitudine che andava affrontata ricostruendo una connessione sentimentale e morale primariamente con un mondo del lavoro segmentato e stratificato. L’iniziativa confederale svolta in questi ultimi anni costituisce la precondizione per una credibile ricomposizione del lavoro, anche di quello autonomo economicamente dipendente, nel rinnovato perimetro di rappresentanza della CGIL.

Se una candidatura alternativa a quella di Maurizio Landini verrà ufficialmente proposta permetterà di discutere pubblicamente e politicamente su quale proposta politico-sindacale diversa siamo chiamati a confrontarci ed a scegliere. Perché, come ho cercato di chiarire, la discussione e il confronto non sarebbero comunque tra due dirigenti o due modelli di direzione, ma tra due orientamenti di fase, rispetto ai quali si giocano il ruolo, il peso ed il consenso di massa della CGIL, rispetto non soltanto al suo quadro attivo di decine di migliaia di dirigenti e delegati, ma di milioni di lavoratrici e lavoratori, uomini e donne, giovani e anziani, di inoccupati, disoccupati e attivi, per i quali la nostra credibilità è il solo strumento di riscatto e di tenuta sui valori della democrazia, della solidarietà, dell’antifascismo, dell’umanità solidale e della lotta di classe.

Due diverse prospettive strategiche - di Giacinto Botti

Siamo ormai in dirittura d’arrivo verso il Congresso nazionale. Ci siamo arrivati con un percorso innovativo. Il documento congressuale “Il Lavoro è” assume e valorizza le scelte compiute in questi anni dalla Cgil e dal suo gruppo dirigente. Noi abbiamo portato al confronto i nostri contributi. Svolgiamo il congresso in una fase politica ed economica internazionale difficile. La CGIL con le mobilitazioni e la conquista dei CCNL, con i referendum in difesa della Costituzione e dell’art. 18, e le tante assemblee nei luoghi di lavoro, a differenza della sinistra politica, ha tenuto sul piano del consenso, riconquistando credibilità tra le lavoratrici e i lavoratori. Non è stata subalterna al quadro politico precedente mantenendo l’autonomia con proposte strategiche come la Carta dei diritti e il Piano del lavoro. Questo ci rende oggi credibili nel sostenere la mobilitazione e il contrasto alle politiche dell’attuale Governo.

Il confronto congressuale è stato formalmente unitario, in realtà esistono differenze politiche e di analisi sul passato e sul progetto futuro che non vanno rimosse ma fatte vivere, come elemento qualitativo della nostra democrazia plurale, che è fatta di dialettica e di confronto.

Noi siamo per una Cgil unita e plurale ma gli appelli all’unità non bastano se si rimuovono le ragioni dello scontro sul nome del futuro segretario generale. In campo ci sono due diverse prospettive strategiche, due idee di Cgil e di autonomia. Due valutazioni rispetto alle scelte radicali fatte. La stagione alle spalle non è una parentesi, ma la premessa per rilanciare un ruolo della Confederazione e indica la collocazione politica e sociale della CGIL.

La proposta di indicare il nome del compagno Maurizio Landini come Segretario Generale va nella giusta direzione, perché punta a dare continuità alle scelte fatte e attualizzare il nostro autonomo posizionamento. Noi siamo per una CGIL rinnovata, plurale e collegiale, per ricostruire un orizzonte del cambiamento reale, dell’utopia del possibile.

"Contrastare il dumping contrattuale è una priorità. E non vanno cancellate le regole del Codice degli appalti" - di Riccardo Chiari

Intervista a Maria Grazia Gabrielli, riconfermata Segretaria generale della categoria

Ad Assisi l’assemblea generale della Filcams Cgil, con oltre il 92% di voti favorevoli, ha confermato Maria Grazia Gabrielli segretaria generale della categoria. Nella sua relazione, Gabrielli è stata molto applaudita dalla platea dei 763 delegati in un passaggio politico di aperta critica alle pulsioni xenofobe del governo. Di fronte al quale la Filcams ha riaffermato i valori “di un sindacato antifascista, che fa della cultura della solidarietà, dell’integrazione e dell’accoglienza la propria pratica”.

Immagino che questi applausi le abbiano fatto piacere.
“E’ stato un bel segnale, perché questi valori fanno parte della storia di tutta la Cgil, e sono nel nostro Statuto. Girando per i congressi li ho sentiti ricordare in tanti territori, dal nord al sud della penisola. Vuol dire che la percezione di quello che sta accadendo nel paese è presente fra i delegati, non soltanto quelli che sono qui ad Assisi. Sugli aspetti che riguardano il sociale, dall’attacco alla legge 194 al blocco dei porti, fino al cosiddetto ‘decreto sicurezza’, io penso vada sempre sottolineato che non basta definirsi antifascisti e antirazzisti, ma ci si debba anche comportare di conseguenza, come peraltro il sindacato fa abitualmente. Non è vero che gli italiani siano d’accordo al 100% con quanto sta facendo il governo. E su questi temi bisogna farsi sentire, con forza. Certo, nelle assemblee, e sui social, il tema dell’immigrazione è stato un argomento ‘complicato’ da affrontare. Ma la questione non si risolverà certo come pensano di fare Lega e 5 Stelle. Anzi si aggraverà”.

Sul fronte della categoria, visti i ben 266 contratti nel commercio segnalati dal Censis, lei ha parlato apertamente di ‘dumping contrattuale’, di fronte al quale ha osservato che, per contrastare il fenomeno, è necessario un accordo con le organizzazioni datoriali più grandi. Ce la farete?
“In questi anni un lavoro l’abbiamo cominciato. Certo ci sono problemi, le differenze non mancano, sia con le imprese che con le loro organizzazioni. Ma anche loro hanno iniziato a capire che il problema c’è. Ed è grosso. Da questa consapevolezza comune sono nati gli accordi interconfederali con Confcommercio, Confesercenti, e con il mondo delle cooperative. Gli accordi dicono che ci si deve misurare, per capire se si supera o meno una certa soglia di rappresentatività. Mancano ancora gli strumenti per tradurre in pratica questo passaggio, ma lo schema generale è pronto. Si deve trovare il modo per renderlo operativo, in modo che un’impresa che non segua queste coordinate sia considerata fuori dalle regole. E non possa determinare un contratto inferiore a quello delle organizzazioni più rappresentative”.

Un altro allarme, questa volta in relazione al governo, è quello legato al codice degli appalti. Ha chiesto apertamente di non rimetterci mano.
“Cgil Cisl e Uil hanno elaborato con i precedenti governi un lavoro che, in qualche modo, ha cercato di dare una risposta al problema, annoso, degli appalti. Penso alla clausola sociale, e anche alla normativa per evitare il massimo ribasso. Questo lavoro non deve essere smontato. Caso mai va implementato. La nostra preoccupazione nasce dal fatto che esponenti del governo, davanti alle ultime calamità, naturali e non, hanno detto a più riprese che ci sono norme che ‘ingessano’, che impediscono di fare presto e bene. Noi siamo d’accordo sul fatto che le decisioni non devono ‘rimpallare’ fra questo o quell’ufficio. Ma questo non vuol dire cancellare le regole! E siccome il governo ha intenzione di rimettere mano a queste norme, ecco spiegato il perché del mio allarme e della mia richiesta. Ricorrere, attraverso una legge delega, alla revisione del Codice degli appalti porterebbe automaticamente all’immobilismo nella pubblica amministrazione e nelle stazioni appaltanti, bloccando le procedure di appalto e ingessando un settore strategico”.

Non per caso, il suo grido d’allarme è stato raccolto dalle segreterie nazionali confederali, che hanno chiesto al governo e alle commissioni parlamentari competenti di convocare, e ascoltare, le parti sociali. Proprio per la rilevanza della ‘controriforma’ in discussione, e per i suoi effetti in materia di legalità, occupazione, diritti e qualità degli appalti.
“Infatti Cgil Cisl e Uil denunciano che si dilata la possibilità del subappalto, si aumenta l’utilizzo del criterio del massimo ribasso, e si rende quasi universale il ricorso alla trattativa privata senza bando di gara. Di più: con la non obbligatorietà dell’indicazione delle imprese in fase di gara, si eliminano i controlli preventivi nei subappalti, e viene ripristinata la possibilità di utilizzare una progettazione generale generica, che è stata la causa principale, con la dequalificazione dei servizi e delle opere, della lievitazione all’inverosimile dei costi e del prolungamento dei tempi di realizzazione dell’appalto. Infine si mette nei fatti da parte l’Anac, favorendo il ritorno alla degenerazione del sistema”.

XV congresso, la Filcams è Collettiva - di Frida Nacinovich

Dove erano i sindacati in questi anni? La migliore risposta a Matteo Renzi, Matteo Salvini e Luigi Di Maio sono le migliaia di manifestanti che riempiono le piazze italiane in un trionfo di bandiere rosse della Cgil. Cartoline dal congresso nazionale della Filcams, aperto da un video che racconta quattro anni di lotte, vertenze, resistenza a un governo di centrosinistra che ha fatto di tutto per ferire il lavoro. Va da sé che bocciato un Matteo (Renzi) ne è arrivato un altro, Salvini, altrettanto aggressivo nei confronti dei sindacati. Aiutato, per giunta, da quelli che non sono né di destra né di sinistra, i Cinque stelle di Luigi Di Maio, pronti anch’essi a predicare la disintermediazione come panacea dei mali italiani. Insomma, siamo finiti dalla padella di Pd e Forza Italia alla brace di Lega e Cinque stelle.

Dove erano i sindacati quando il Parlamento approvava il jobs act? Sul maxi schermo del teatro Lyrick di Santa Maria degli Angeli, proprio sotto la Rocca di Assisi, appare Susanna Camusso che chiama al lavoro e alla lotta, dopo aver puntualmente denunciato le tante, troppe storture di governi che, dietro la patina del teorico “cambiamento”, continuano a penalizzare le decine di milioni di lavoratrici e lavoratori, pensionate e pensionati, che pure continuano a mandare avanti il paese.

La segretaria generale della categoria del commercio, del turismo e dei servizi, Maria Grazia Gabrielli, che alla fine del congresso sarà rieletta praticamente all’unanimità, non usa giri di parole per denunciare che “non abbiamo bisogno di voucher, ma di lavoro e contratti che diano dignità e tutele”. Scorrono le immagini di addette e addetti di Ikea, Amazon, dei bar, dei ristoranti, degli alberghi, delle holding del commercio al dettaglio in sciopero, a loro la Filcams assicura: “Eravamo, siamo e saremo al vostro fianco, a lottare per i vostri diritti, ovunque voi siate”. Cantano ‘fischia il vento’ i quasi ottocento delegati arrivati ad Assisi da ogni parte d’Italia, e quasi per uno scherzo del destino fischia il vento anche fuori dal teatro. Lì dove la storica marcia della pace sosta per una manciata di minuti, prima di riprendere il suo cammino verso la Rocca cara a San Francesco.

Per tre giorni interi delegate e delegati discutono, raccontano piccole e grandi storie di vita, introdotti con cronometrica precisione dal presidente dell’assemblea, Andrea Montagni.
È Collettiva davvero questa assise, che ascolta con lo stesso interesse gli interventi degli iscritti e le due tavole rotonde tematiche, una con ospiti appartenenti a sindacati internazionali e una sulle difficoltà legate al settore del turismo e della ricostruzione dopo il terremoto nel centro Italia. Collettiva con la ‘c’ maiuscola, nome scelto con felice intuizione per questo quindicesimo congresso.

La Filcams con i suoi quasi 600mila iscritti è la prima categoria dei lavoratori attivi della Cgil, ed è composta per la maggior parte da donne, più del 60%, mentre per il 23% è popolata da giovani under 35%.

Note a margine, ma nemmeno troppo, il lungo applauso che ha salutato la visita di Maurizio Landini fotografa bene il placet delle delegate e dei delegati che affollano il Lyrick alla scelta della segreteria nazionale di proporlo alla guida della Cgil di domani con il documento programmatico ‘il lavoro è’.

Per fare andare avanti quello che la segretaria generale di Corso Italia Susanna Camusso ha definito “il lavoro straordinario fatto dalla Filcams in questi anni, che ora deve esse concluso. Con l’obiettivo di invertire la tendenza di non considerare il lavoro un fattore decisivo del modello di società”. “Ci aspettano anni che non saranno più facili di quelli che abbiamo alle spalle - tira le somme la segretaria uscente - ma con un vantaggio: abbiamo dietro di noi un’esperienza che prima non avevamo”. Il riferimento, nemmeno troppo velato, è ai nuovi strumenti e modalità di azione - dal referendum alla carta dei diritti del lavoro - che la Cgil ha sperimentato con successo, proprio mentre la politica cianciava che il sindacato non esiste più.

Prima di cantare in coro “Bella ciao”, l’assemblea del Lyrick regala a Camusso il cappellino rosso indossato in tante manifestazioni della Filcams, e dei meravigliosi pantaloncini da bagnino, non solo un simbolo sindacale del lavoro nel settore dei servizi, anche la metafora di chi per mestiere vuole salvare e tutelare gli italiani più in difficoltà.

La CGIL è la casa comune del lavoro e si regge su salde fondamenta valoriali - di Andrea Montagni

 

Intervento al XV Congresso della FILCAMS-CGIL

La FILCAMS raggruppa sempre più lavoratori che l’economia 4.0 sposta dai settori industriali e manifatturieri nell’area dei servizi alle imprese e si colloca all’avanguardia sul terreno della difesa dei diritti del lavoro nei settori della nuova economia digitale ed informale, affiancando questa attività a quella nei multiservizi, nella rete distributiva, nella ristorazione, nel turismo. Organizza, accanto ai lavoratori strutturati, sempre più la vasta massa dei lavoratori precari e informali, senza diritti e senza tutele, sia essi dipendenti o parasubordinati, avanzando sul terreno posto a base della Carta dei diritti della CGIL. Siamo stati in prima fila nella raccolta di firme sulla Carta dei diritti e per i referendum su articolo 18, voucher e ripristino della responsabilità solidale delle imprese negli appalti. Voglio ricordare che la nostra Segretari generale partecipò a Milano alla prima iniziativa pubblica della CGIL, organizzata da Lavoro Società, in difesa della Costituzione per il NO al referendum!
Abbiamo sintetizzato il senso di tutta la nostra discussione sul modello di sindacato che è stata, è e sarà la CGIL in una parola, “collettiva”!: un modello organizzativo, una metodologia, ma anche una idea di società per lottare. Difendiamo questo percorso collettivo, sostenendo la proposta di leadership maturata collettivamente con l’ascolto e nel vivo della pratica sindacale. Quando quel passaggio sarà stato superato, il compagno Landini tenga a mente questa parola, “collettiva”, poiché da soli siamo niente, insieme conquisteremo tutto!
Politica sindacale inclusiva vuol dire che la contrattazione collettiva nazionale deve riguardare tutti i lavoratori: diretti e indiretti, dipendenti e parasubordinati.
La politica contrattuale nazionale dovrebbe essere coerente con gli obiettivi unitari della carta dei diritti e con la linea generale di difesa e allargamento delle prestazioni dello Stato sociale rivolte ai lavoratori (assegno di disoccupazione, sospensioni di lavoro, previdenza) e a tutti i cittadini (assistenza sanitaria, diritto allo studio e alla formazione, sostegno al reddito) e valorizzare la prestazione lavorativa.
La contrattazione integrativa di secondo livello dovrebbe riconoscere le particolarità della prestazione e ripartire tra i lavoratori quote di produttività proprie del gruppo di riferimento. Questo livello dovrebbe coinvolgere tutti i lavoratori presenti in azienda compresi i contratti a termine, gli interinali, i neoassunti, secondo un “modello inclusivo”.
Cresce il peso della contrattazione di secondo livello, peraltro sempre largamente inesigibile per la maggioranza dei lavoratori, e diminuisce il peso del contratto collettivo nazionale di lavoro. Cresce il peso del welfare contrattuale e si allarga la sfera di quello aziendale. La contrattazione – che per noi resta la strada maestra per affermare il rispetto e conquistare nuovi diritti e tutele – non è sufficiente a dare garanzie ai lavoratori. Due sono le condizioni necessarie: la ripresa di un ciclo economico positivo, che la politica dovrebbe sollecitare e promuovere, l’altro è la riconquista di un quadro legislativo favorevole alla causa del lavoro.
Con centinaia di quadri e delegati ho sottoscritto alla vigilia del Congresso un documento: “Per una CGIL unita e plurale”, un contributo a definire la natura della CGIL del XXI secolo, una CGIL costretta a navigare in mare aperto, mentre è crollato intorno a noi il quadro politico e istituzionale che ci dava certezze, a partire dalla sinistra. Questo non significa il venir meno di alcuni punti di riferimento fondamentali: la lotta di classe, i valori di una società di liberi ed uguali, la volontà di proseguire in continuità con una storia e una cultura conflittuali. Il pluralismo è un valore. Appare chiaro proprio in questo momento, mentre una parte del gruppo dirigente utilizza la questione della scelta del nuovo segretario generale per porre in discussione, indirettamente, la linea politica perseguita negli ultimi 5 anni. In un certo senso son contento che siano venuti “allo scoperto”. . Dovremmo discutere apertamente della linea non dei nomi
Mai avrei pensato di vivere in un paese nel quale si alimentano odio, rancore, invidia sociale, dove si aggrediscono persone per il colore della loro pelle, e – a così tanti anni di distanza dall’abolizione del reato d’onore, della istituzione del divorzio e dalla legalizzazione dell’aborto, donne vengono quotidianamente uccise nelle loro case da uomini padroni. La crisi economica e sociale ha portato ad un regresso culturale che la CGIL deve contrastare.
La CGIL è la casa dei lavoratori. Ogni lavoratore può trovare da noi un ascolto, una tutela, per difendere i suoi diritti. Qualunque sia la sua idea, qualunque partito o lista abbia votato. Su questo deve essere tranquillo. Ma ogni uomo o donna che sceglie di aderire alla CGIL deve sapere che con la tessera “acquista tutto il pacchetto”. La CGIL è antifascista, la CGIL è antirazzista, la CGIL si oppone alla xenofobia e ad ogni discriminazione sociale, etnica e di genere. La CGIL è la casa dei lavoratori italiani e stranieri, emigrati, migranti e immigrati, atei, cristiani, ebrei, musulmani, animisti, buddisti, maschi, femmine e LGBT!
Chi vuole dirigere la CGIL deve sapere che questi valori li deve condividere! Non c’è posto tra di noi per chi fomenti con le parole e con le azioni l’odio, il razzismo, il sessismo. Non c’è posto per chi crede di usare la CGIL per i proprio fini, per chi crede di giocare sulla pelle dei lavoratori, usando gli incarichi per tornaconto personale.
Bisogna essere rossi ed esperti. Essere esperti è una qualità che si costruisce con lo studio e l’esperienza, ma l’essere rossi è una qualità che bisogna avere prima e che non bisogna smarrire mai.
Essere rossi vuol dire avere essere ribelli verso lo stato di cose esistente, ribelli verso la sfruttamento e la prevaricazione, solidali verso i propri fratelli e sorelle di classe, animati dalla fiducia che le cose possano cambiare, irriducibilmente ottimisti sul successo della nostra buona causa.
Essere rossi vuol dire anche essere umili, essere disposti a rimettersi in discussione, ma anche esser orgogliosi perché il nostro, parlo per i sindacalisti di professione, non è un “lavoro”, ma una missione laica e per le delegate i delegati un fardello che si ripaga solo con l’orgoglio di camminare a testa altra di fronte al padrone!