Reato di solidarietà - di Riccardo Chiari

“Europa, cosa ti è successo?”, ha chiesto Jorge Bergoglio ai leader dell’Unione europea. Papa Francesco non ha avuto risposta. Del resto nella Fortezza Europa si spendono più risorse per il respingimento dei migranti che per l’accoglienza, anche se questa notizia resta confinata fra mille altre statistiche e certo non apre alcun quotidiano o telegiornale.
Così accade che Destinity, una donna nigeriana incinta, sia respinta dalla gendarmeria francese e lasciata di notte alla stazione di Bardonecchia, nonostante il pancione e una malattia che poi l’ha portata alla morte, dopo aver dato alla luce un bimbo. Così accade che il francese Benoit Ducos, che vive a Briancon e pattuglia il confine tra Francia e Italia, alla ricerca di uomini e donne che si perdono nella neve, sia stato arrestato e rischi il carcere per aver salvato una famiglia nigeriana con due bimbi piccolissimi, e con la donna incinta all’ottavo mese, recuperati a quasi duemila metri di quota e con una temperatura di dieci gradi sotto lo zero.
Che dire poi della nave Pro Activa Open Arms, battente bandiera spagnola e attrezzata per il soccorso in mare, che su chiamata dalla Guardia costiera italiana mette in salvo 218 migranti alla deriva nel Canale di Sicilia, e che come ricompensa viene sequestrata dalle autorità italiane con l’accusa iniziale di associazione a delinquere finalizzata all’immigrazione clandestina?
In Libia sono detenuti in autentici lager 900mila fra rifugiati e “migranti economici”. Sottoposti, secondo il Rapporto del segretario generale dell’Onu, “a detenzione arbitraria e torture, tra cui stupri e altre forme di violenza sessuale, a lavori forzati e uccisioni illegali”. Ma tutto questo fa parte di un accordo, fatto dal governo italiano – con il plauso dei governi europei - con un ras locale, perché in Libia non c’è alcun governo, proprio per bloccare l’arrivo dei migranti in Europa.
Nel disordine internazionale, in una realtà nella quale i focolai di guerra fra Africa, Medio Oriente e la stessa Europa non si contano più, la strada scelta dal vecchio continente è stata quella di criminalizzare le migrazioni e coniare il “reato di solidarietà”. Affiancato da una disinformazione talmente pervasiva da far impallidire le esperienze nei paesi totalitari della prima metà del secolo scorso. “Quando chiedo ai miei studenti quanti sono gli immigrati in Italia – annota il prof universitario Tonino Perna - la maggior parte pensa che siano tra il 30 e il 40% della popolazione italiana. Quando spieghi che non arriva al 9%, una delle percentuali più basse della Ue, rimangono increduli. Se questo succede nelle aule universitarie, possiamo immaginare cosa accade fuori”.
Se poi il ministero dell’università e ricerca registra che gli studenti con cittadinanza non italiana che siedono ai banchi delle nostre scuole sono 826mila, solo il 9,4% della popolazione studentesca complessiva, e il 61% di loro è nato per giunta in Italia, a raccontarlo al bar ti prendono per pazzo.

La vergogna di Afrin - dalla Redazione

Il 26 gennaio 2015, i partigiani e le partigiane kurde respinsero le milizie fasciste religiose dello stato islamico dalla città di Kobane, ponendo fine ad un assedio di quattro mesi.
Kobane ha resistito per mesi nell’indifferenza internazionale, finché le potenze impegnate nel conflitto siriano realizzarono che finalmente era stata individuata sul terreno una forza capace di contrastare e battere lo Stato islamico. Le ragioni di questa forza stavano e stanno nella determinazione di combattenti che si battono per la pace, la libertà e la convivenza multietnica. Solo allora americani e russi si decisero. Gli americani a fornire copertura aerea, i russi ad inviare truppe al confine tra Afrin e Turchia, per proteggerli dai turchi alle spalle.
Il 20 gennaio 2018, i russi hanno ritirato i propri reparti, gli Stati uniti hanno raccomandato ai turchi di “non esagerare” ed è iniziata da terra e dal cielo l’invasione di Afrin, Truppe turche e miliziani di Al Qaeda sono entrate nel cantone da Nord, da Est e da Ovest.
Il 16 marzo, i partigiani kurdi si sono ritirati da Afrin per non utilizzare i civili come scudi umani nella battaglia e dopo migliaia di vittime, soprattutto civili, 250.000 profughi hanno abbandonato le loro case, i loro villaggi e le loro proprietà per rifugiarsi nei territori sotto controllo dei governativi siriani o delle milizie kurde. I partigiani sono passati alla guerriglia e la lotta prosegue.
Il corpo martoriato di Amina Omar, “Barin Kobanì”, denudata, mutilata, straziata e offesa anche da morta, esibito in un video dai mercenari del sedicente Esercito libero siriano, ci ricorda che la battaglia che i kurdi combattono è anche la nostra battaglia contro la barbarie, l’oscurantismo, il terrorismo che insanguina le nostre metropoli. Non lasciamoli soli.

Arrivata la firma: rimasti intatti i diritti del Ccnl 2010/2013 - di Giorgio Ortolani

Il nuovo contratto del turismo: un contributo per un bilancio di linea e di pratica contrattuali

Dopo 4 anni e 10 mesi dalla sua scadenza, la firma del nuovo contratto del Turismo, che mantiene sostanzialmente intatti i diritti del CCNL del Turismo 2010/2013, non può che essere giudicata positivamente.
Di fronte alle pretese delle associazioni datoriali (FIPE e ANGEM/ACI prima divise e poi riunite), aver mantenuto intatte le norme che regolano il cambio appalto e la malattia, migliorato le garanzie per i lavoratori in caso di subentri nelle concessioni autostradali e anche per i rapporti di concessione/subconcessione e locazione nei centri commerciali, impedito la cancellazione degli scatti di anzianità e la drastica riduzione dei ROL… non è un risultato da poco.
Come ci siamo più volte detti, l’importante di questa tornata contrattuale era preservare i diritti. Questo non significa che l’ipotesi di accordo e le modalità con le quali ci siamo arrivati siano esenti da criticità.
L’aumento sembra più elevato di quello ottenuto da altre categorie, ma dobbiamo tener conto che i 100 euro di cui si parla arriveranno nelle tasche dei lavoratori a fine del 2021, 9 anni dopo la scadenza dell’ultimo aumento e che per il periodo dall’aprile del 2013 al dicembre 2017 ai lavoratori non viene riconosciuto alcunché. La stragrande maggioranza dei lavoratori del settore opera in aziende dove non esiste contrattazione integrativa e quindi in questi anni di vacanza contrattuale non ha visto alcun aumento fuori dalla maturazione degli scatti di anzianità. La criticità dell’ipotesi sottoscritta non è tanto nella quantità dell’aumento, ma nella sperequazione che il combinato disposto tra gli aumenti definiti e la sterilizzazione dell’incidenza degli scatti su alcune voci produce.
A seguito della sterilizzazione dell’incidenza degli scatti per tutta la durata del contratto sul TFR e per sempre sulla 14ima, gli aumenti saranno reali solo per i lavoratori che non hanno maturato scatti di anzianità. Per tutti gli altri, la stragrande maggioranza, una parte dell’incremento salariale previsto nei 4 anni viene in pratica pagato dagli stessi lavoratori in modo direttamente proporzionale al numero degli scatti maturati da ciascun lavoratore.
Le aziende, grazie alla sterilizzazione dell’incidenza degli scatti, recupereranno l’8/9% degli aumenti contrattuali erogati ai lavoratori che hanno maturato uno scatto di anzianità, al 49/55% degli aumenti erogati ai lavoratori che hanno maturato 6 scatti di anzianità.
Siamo quindi in presenza di una sperequazione nell’erogazione degli aumenti tra lavoratori inquadrati nella stessa categoria e che svolgono la stessa attività. Sperequazione che colpisce in modo maggiore i lavoratori più anziani e quelli inquadrati nelle categorie più basse. [La cosa costituisce una inversione di tendenza rispetto ad una prassi per la quale, fino ad oggi, sui tavoli contrattuali sono sempre stati i neoassunti a farsi carico dell’incremento del costo del lavoro medio procapite, ndr]
Obbiettivo del sindacato è quello di unire i lavoratori e quindi penso che sia stato un errore da parte delle OO.SS. aver sottovalutato gli effetti dell’introduzione di elementi (sterilizzazione degli scatti) che invece accentuano le divisioni.
Lavoratori che svolgono lo stesso lavoro e che magari hanno lottato insieme per il rinnovo del CCNL si trovano oggi a beneficiare in modo diverso degli aumenti ottenuti.
Oggi si parla tanto di welfare aziendale, ma aver subito l’aumento di 0,80 euro del costo pasto non va assolutamente in tal senso.
A fine 2021 una lavoratrice 6S part time 15 ore (senza scatti) avrà un aumento di 31,92 euro lordi (85,14 x 0,375) a fronte di una maggior trattenuta mensa netta mensile di 17,60 euro (0,80 x 22). Questo determina un aumento contrattuale netto di poco più di 10 euro mensili.
Sappiamo bene che negli appalti di ristorazione la categoria di massa è la 6s e difficilmente le ore di part time superano le 15/20 ore.
Anche per un 4 livello full time (senza scatti) l’aumento del costo pasto rappresenterà nel 2021 quasi il 20% dell’aumento stipendiale definito dal contratto.
All’ultimo minuto siamo riusciti ad introdurre la possibilità dei lavoratori di rinunciare al pasto e quindi alla relativa trattenuta, ma si tratta di una semplice limitazione del danno.
Potevamo in questa situazione ottenere di più per i lavoratori del settore? Alla luce di quelli che sono i rapporti di forza e soprattutto delle divisioni con FISASCAT e UILTUCS al tavolo della trattativa. la risposta è negativa.
Quando due organizzazioni, pur avendo presentato una piattaforma unitaria e concordato unitariamente tutte le iniziative di mobilitazione, si rendono disponibili a firmare un contratto separato la strada è segnata. Qualche settimana prima Fisascat e Uiltucs hanno firmato separatamente il contratto delle Terme, un mese dopo l’accordo del turismo le stesse organizzazioni sindacali hanno firmato separatamente il CIA di Lidl.
E’ sempre più necessario, nella definizione delle regole sulla rappresentanza, stabilire regole condivise che vincolino tutte le organizzazioni sindacali al rispetto del mandato e alla verifica dei risultati. Senza questo sappiamo già che la pellicola potrà essere riavvolta e svolta nella stessa direzione ogni volta che alle controparti tornerà utile per piegare la FILCAMS o annullarne il ruolo.
In definitiva sono i rapporti di forza, ovvero la presenza strutturata del sindacato nei luoghi di lavoro e l’adesione dei lavoratori alle iniziative di mobilitazione che il sindacato propone, l’elemento imprescindibile affinché si facciano contratti che migliorino le condizioni dei lavoratori, e non solo difensivi come quello del turismo. Ricostruire rapporti di fiducia prima e di forza poi non è semplice. Condizione indispensabile per farlo è essere onesti e chiari con i lavoratori.
Non ci aiuta a farlo il fatto che mentre noi andiamo a presentare l’ipotesi del contratto nelle assemblee chiedendo ai lavoratori di esprimersi con il voto, diverse aziende abbiano già inviato ai propri dipendenti comunicazioni nelle quali danno per definitivo e già applicativo il contratto siglato l’8 febbraio a partire dal 1 gennaio 2018.
Siamo tenuti a fare un’approfondita discussione sul percorso che ci ha portato alla firma di questo contratto e valutare se non ci siano stati anche incertezze/attendismi/errori e, in tal caso, dobbiamo attrezzarci per evitare in futuro di ripeterli. Sarebbe un grave errore, come spesso ci capita perché pressati dalle emergenze, archiviare il tutto e non farlo.
La discussione congressuale è una ottima occasione per farlo, per indagare e trovare le soluzione alla difficoltà crescente che incontriamo a tradurre le nostre indicazioni strategiche in una politica rivendicativa e in una prassi contrattuali corrispondenti.

Prime note per il congresso di categoria e confederale - di Andrea Montagni

Alcune prime considerazioni mentre si avvia il percorso che ci porterà al XVIII Congresso della CGIL e al  XV Congresso  della  FILCAMS.

Viviamo un momento difficile. Le profonde trasformazioni che hanno investito il nostro paese, la riorganizzazione delle produzioni su scala internazionale, il peso crescente della produzione immateriale, il nuovo peso della distribuzione e dei servizi e infine la “rivoluzione” digitale, accompagnate da una legislazione di “sostegno” ultraliberista che ha trasformato la deregolazione del lavoro in deregolazione dei diritti ci consegna una classe lavoratrice incapace di riconoscersi in quanto tale, frammentata e divaricata per reddito, condizioni di lavoro, conoscenza dei processi produttivi. Una classe duale nella quale l’unica cosa in comune tra garantiti (lavoro a tempo indeterminato, salario e orario contrattuali, welfare contrattuale e aziendale) e non garantiti sta nella fragilità della condizione dei primi (il licenziamento come fine di tutto) e nella certezza di miseria dei secondi.
In questa realtà, è ancor più necessario, ed invece è andato smarrito, un sistema di valori comuni, un ideale di uguaglianza, solidarietà, socializzazione che motivi i militanti e che permei tutta l’organizzazione, anche in controtendenza rispetto alla società e agli stessi lavoratori.
Ci dobbiamo preparare ad una lunga fase di resistenza nella quale sarà difficile mantenere le coerenze di impostazione ideali e sempre necessario esercitarsi nella arte del compromesso, inteso non come mediazione, ma come capacità di individuare in una situazione di debolezza e di arretramento, i terreni migliori sui quali affrontare lo scontro.
Nel documento “Per una CGIL unita e plurale”, sottoscritto da oltre 600 dirigenti e quadri della CGIL e che è stato presentato nella Assemblea nazionale confederale del 28 febbraio 2018, abbiamo provato a delineare un quadro analitico centrando la riflessione sulla composizione di classe, la lotta tra le classi per contribuire a definire una linea generale che abbia un respiro e che non si limiti alla gestione dell’esistente. E’ il nostro contributo collettivo al dibattito di avvio del XVIII Congresso della CGIL per arrivare a definire un documento congressuale condiviso.
Quello che balza agli occhi è che sempre più cresce – nonostante le nostre resistenze – il peso della contrattazione di secondo livello, peraltro sempre largamente inesigibile per la maggioranza dei lavoratori, e diminuisce il peso del contratto collettivo nazionale di lavoro, la cui potestà salariale è messa in discussione e che tende a diventare una cornice più che nocciolo e polpa del sistema di tutele e di diritti contrattuali. Cresce il peso del welfare contrattuale e si allarga la sfera di quello aziendale. Il rischio che corriamo è che per la stragrande maggioranza dei lavoratori il CCNL cessi di essere un punto di riferimento, una certezza, un punto di partenza nel riconoscimento del valore del lavoro e della professionalità.
La contrattazione avviene ormai nella sostanza in modo difforme da come la immaginiamo e la descriviamo nei documenti: alla piattaforma rivendicativa sindacale, si contrappone una piattaforma rivendicativa padronale non scritta che rimette in discussione, articolo 8 della Legge Sacconi alla mano, la legislazione di tutela, chiedendo deroghe alle rigidità di legge su apprendistato, part time, contratti a termine, esternalizzazioni. che cerca di legare il salario aziendale a condizioni di variabilità legate alla produttività o al risultato di ogni singolo anno ed erogabile sotto forma di cosiddetto “welfare” aziendale.
Nella riunione nazionale di Lavoro Società FILCAMS CGIL del novembre 2017 abbiamo affrontato in modo disincantato la questione, partendo dalla consapevolezza che è vitale per il sindacato, per la sua sopravvivenza come organizzazione di massa, radicata nei luoghi di lavoro, accettare compromessi rispetto alle politiche rivendicative aziendali e contrattuali perché non possiamo chiedere al settore garantito di rinunciare a tutele in nome di una astratta eguaglianza delle condizioni, per poter usare risorse e mezzi, resi disponibili dalla affiliazione sindacale dei primi, per organizzare il settore sempre più vasto dei lavoratori senza diritti e tutele. Per questo condividiamo il valore strategico della “carta dei diritti” che parla a tutte e tutti in una logica estensiva e non perequativa…
Stiamo affrontando, anche con qualche divisione spesso sottotraccia tra noi, vertenze complicatissime a livello contrattuale di categoria e aziendali. E’ necessaria una bussola di orientamento. Ci sono momenti in cui, alla fine di una vertenza, si può scegliere solo tra la testimonianza e la resa: in quei casi è preferibile - per l’organizzazione - la soluzione che consente il permanere della struttura organizzata - che è un valore in sé. Questa soluzione non è facile da individuare e dipende da ogni singolo caso.
Quando in una vertenza sindacale si vince, tutto va bene. I risultati vanno “messi in cascina” utilizzando la forza acquisita per far crescere il consenso organizzato, le adesioni e la rappresentanza sindacale aziendale. Quando si perde comunque ci sarà un indebolimento e un discredito del sindacato a tutto vantaggio del padrone. Quando si “pareggia” paradossalmente le cose sono ancora più complicate perché saranno sempre possibili due letture che mettono l’accento su aspetti diversi per trarne conclusioni opposte. Nei pareggi e nelle sconfitte si misura la capacità nostra di tenuta. Dobbiamo considerare l’organizzazione in sé un bene da preservare e far vivere alle nostre delegate e delegati questo elemento come un valore fondativo del lavoro sindacale. A partire da questo, cercare soluzioni che tengano il più possibile insieme i lavoratori continuando a far vivere, o cercando di far vivere, una spinta alla unità come consapevolezza di una appartenenza
comune, altra da quella del padrone.

Unicoop Fucecchio, lavorare la domenica stanca - di Frida Nacinovich

Te lo do io il mercato. A colpi di sconti, tre per due, fidelizzazioni dei clienti, che significano ribassi solo per chi ha la tessera di quel marchio della grande distribuzione. È una lotta senza esclusione di colpi quella fra le grandi catene agroalimentari (e non solo), che si disputano un bacino di cittadini-acquirenti sempre più vasto ma anche sempre più povero.
Diretta conseguenza di questa situazione è anche il tentativo, specialmente ad opera delle grandi multinazionali estere del settore, di essere più attraenti per i clienti riducendo i diritti di chi nei super, negli iper, nei megastore, ci lavora. E visto che le leggi oramai lo permettono, perché la grande sbornia delle deregulation è ben lungi dall’essere finita, i lavoratori e le lavoratrici del settore sono sempre più costretti a un’esistenza ‘stop-and-go’ tra aperture domenicali, notturne, festive, che si riflette invariabilmente sulla qualità della loro vita, di quella delle loro famiglie.
Nel regno di Unicoop Firenze - che comprende gran parte della Toscana, con la sola esclusione di alcune province della costa - c’è anche il grande punto vendita di Fucecchio, che conta ben 113 addetti. Una coop che ha fatto parlare di sé con articoli sui giornali e servizi sulle tv locali, sulla scia di una grande manifestazione al Centro commerciale di Empoli contro le aperture domenicali.
“Abbiamo organizzato una protesta proprio all’interno della galleria commerciale, con la Camera del lavoro di Empoli, la Filcams di Firenze, le Rsu Unicoop Firenze e dell’empolese Valdelsa, le aziende all’interno del centro”, racconta Federico Ciampalini. Il problema dei grandi centri commerciali è anche quello di vedere sotto lo stesso tetto addetti di aziende diverse, dal negozio x, al punto vendita y, al bar zeta. Con contratti diversi e diversi orari, diverse anche le scelte sul lavoro festivo. Bravi i direttori di orchestra ad accordare tanti suoni.
Delegato Filcams Cgil, eletto nella Rsu, Ciampalini si è sempre battuto conto le aperture indiscriminate nelle feste comandate, Natale, Pasqua, 25 Aprile, Primo Maggio. “Non hanno portato alcun posto di lavoro in più. Sono solo servite a introdurre deregolamentazioni e contratti individuali. Il tutto senza considerare il valore etico della nostra mobilitazione, a favore di un pezzo di vita serena in famiglia, che non va sacrificata sull’altare del consumismo spinto e dell’ipercapitalismo”.
In quindici anni, da quando Federico Ciampalini è stato assunto, ne è passata di acqua sotto i ponti. “I clienti sono sempre più esigenti, la concorrenza è aumentata, è venuta meno la fidelizzazione. Si cerca l’offerta più conveniente”. La crisi ha picchiato durissimo, gli italiani sono sempre più poveri. “All’inizio del secolo Unicoop Firenze era in piena espansione. Questi invece sono stati gli anni del ridimensionamento, della riconversione degli iper in negozi più piccoli. Fortunatamente siamo riusciti a non perdere posti di lavoro”.
Nonostante la crisi Unicoop Firenze ha mantenuto la posizione di mercato, non è stata travolta. “Non possiamo nasconderci che altre catene della grande distribuzione hanno deciso di dare in appalto interi reparti, con meccanismi di vendita che di conseguenza sono stati più convenienti e ci hanno messo in difficoltà. Non è un caso che l’azienda non voglia rinnovare il nostro contratto nazionale, quello della cooperazione. Aspettiamo da cinque anni e ancora non c’è luce in fondo al tunnel”.
In questo lasso di tempo ci sono stati scioperi, mobilitazioni, proteste. “Nel 2015 abbiamo manifestato il 7 novembre a Firenze, il 19 dicembre a Milano. Nel 2017, alla vigilia di Natale, il 22 dicembre, abbiamo scioperato ancora una volta per dare un segnale. L’associazione nazionale delle cooperative ha presentato una lista di richieste che per noi sono inaccettabili”. Inutile dire che aprire vertenze negli anni della crisi non è per niente facile, perché i pochi che il lavoro ce l’hanno hanno anche paura di perderlo. “Sono state fatte pressioni sui lavoratori, organizzate contro-assemblee, colloqui individuali, minacciate alcune Rsu, utilizzati lavoratori part-time per il giorno dello sciopero”.
Nell’universo della grande distribuzione ci sono lavori che mettono a dura prova gli addetti: ortofrutta, carni e pesce, gastronomia, si tratta di spostare carichi pesanti, entrare nelle celle frigorifere, stare vicino ai forni. Ci sono diverse tipologie di contratti: dal full time di 36 ore settimanali, al part-time di 30-24-20 ore (a 20 senza festivi e straordinari non arrivi a fine mese), anche contratti part-time weekend, 8 ore, soprattutto per gli studenti universitari. Una frammentazione sempre più accentuata, specchio di un mondo del lavoro alle prese con i problemi e i dilemmi della contemporaneità.

[Una versione più breve, ma con lo stesso titolo, di questo articolo è stata pubblicata su “Sinistra sindacale” n. 4 del 18 marzo 2018]