2018 anno del Cane, da Veltrusconi a Renzusconi - di Frida Nacinovich

Sul vocabolario Treccani, fra i neologismi del 2008, compariva il termine ‘veltrusconismo’ (ironico): la tendenza determinata dal reciproco avvicinamento delle posizioni e delle scelte politiche di Walter Veltroni e di Silvio Berlusconi. Dieci anni dopo, sta per entrare nella Treccani il vocabolo ‘renzusconismo’. Forse questa volta sarà tolta la connotazione ‘ironico’, per mettere al suo posto l’aggettivo ‘farsesco’. Perché la prima volta è tragedia politica, almeno per la sinistra, la seconda è farsa. Negli anni la prima parte del neologismo è mutata, perché il primo segretario del Pd - anche se non è andato in Africa come aveva promesso - dichiara di non avere più un ruolo attivo in politica, pur avendo una stanza personale al Nazareno. Al posto di Veltroni c’è Renzi, che non è (più) premier ma guida il partitone tricolore. La seconda parte invece è rimasta uguale. Soprattutto, la spiegazione del neologismo è identica. A colpire non è solo il ‘reciproco avvicinamento delle posizioni’, ma anche la constatazione che l’ex Cavaliere, entrato nell’ottantaduesimo anno di età, non trova eredi all’altezza. Nei palazzi della politica si fanno i nomi di Franco Frattini e di Antonio Tajani, ma le voci di popolo - che specialmente negli anni elettorali diventano voci di dio - sostengono che l’unico vero erede dell’ex Cavaliere sia proprio il segretario del Pd. Un paradosso? Piuttosto la cifra della contemporaneità. Neoliberal-liberisti, allergici entrambi al rosso, spregiudicati quanto serve (cioè tanto) per solleticare la pancia di un elettorato sempre più conservatore perché timoroso del domani.  A riprova, l’ex Cavaliere ha avuto il coraggio di autodefinirsi l’equivalente italiano di Margaret Thatcher. Renzi, il ‘bomba’ -come da felice soprannome guadagnato ai tempi del liceo - sta oscillando fra il francese Macron e la tedesca Merkel, a seconda dell’ascesa o caduta dei due colleghi nei sondaggi d’opinione. Per contro sia Renzi che Berlusconi detestano Beppe Grillo e il movimento Cinque stelle, e non fanno mistero di ritenere impensabile un’alleanza post elettorale con i pentastellati. Vista la legge elettorale, che all’indomani del voto imporrà per forza di numeri trattative in Parlamento, è altamente probabile che si troveranno dalla stessa parte della barricata. Di qui al governo ‘renzusconi’ il passo potrebbe essere davvero molto breve. Anche se il futuro, si sa, è sulle ginocchia degli dei. Emma Bonino, molto stimata da entrambi, con i suoi Radicali europei guarda interessata all’evolversi della situazione. Perché la nuova legge elettorale, ahinoi approvata da Pd, Forza Italia, Lega e centristi di destra e di sinistra, è come una bomba politica a grappolo. Le sue schegge possono colpire lontano. Specialmente a sinistra. Ah, per il calendario cinese questo 2018 è l’anno del Cane, connotato dalla fedeltà.

Niger, l'Italia di nuovo in guerra! - di Leopoldo Tartaglia

“L’anno che sta arrivando …” porta grandi novità, ma non sono le speranze della bella canzone dell’indimenticabile Dalla. A Camere sciolte, il governo Gentiloni degli “affari correnti” ha subito deliberato una missione militare in Niger. Sì, nel silenzio generale e nella distrazione ovattata delle feste natalizie, l’Italia va a una nuova guerra. Una guerra neocoloniale e neoschiavistica a trazione Macron.
La Francia conferma di voler mantenere il suo controllo strategico su una parte importante del continente africano; l’Italia sposta sempre più a sud la “guerra ai trafficanti” cioè a profughi e migranti. Non bastavano gli scellerati accordi di Minniti e Alfano col governo Serraj e tutte le milizie locali per rinchiudere i migranti nei lager libici. Bisogna ora sigillare i confini meridionali della Libia. Far morire sempre più uomini, donne e bambini nel deserto è garanzia certa per ridurre partenze dalle coste libiche e sbarchi su quelle italiane.

Negli stessi giorni il New York Times rilancia un fatto già noto, a suo tempo “bucato” dai solerti media italiani: dal “Bel paese” si esportano grandi quantità di armi verso Arabia Saudita ed Emirati Arabi. Armi e munizioni prontamente usate nella guerra dimenticata dello Yemen. Per carità, tutto regolare. Nessun imbarazzo del governo, nessuna violazione delle norme internazionali: Arabia ed Emirati – grandi alleati di Usa e Europa – non sono certo soggetti a sanzioni od embargo da parte dell’Onu!

Del resto Gentiloni l’ha vantato più volte con orgoglio: “L’Italia è l’unico Paese in Europa che ha una politica decente sui fenomeni migratori”. Nel rispetto dei diritti umani, ovviamente.

Buon anno a chi si batte perché restiamo ancora umani.

Accesso alla pensione dei part-time ciclici - di Giorgio Ortolani

Il Governo Gentiloni non si adegua alla normativa europea, la maggioranza parlamentare cassa gli emendamenti alla legge di Bilancio e resta per tantissimi lavoratori part-time la difficoltà di raggiungere il tetto per la maturazione delle 52 settimane


In questi mesi la FILCAMS si è attivata con diverse iniziative al fine di sollecitare il Governo e il Parlamento affinché la normativa italiana si adeguasse alle direttive europee che vietano discriminazioni nell’accesso alla pensione tra lavoratori part-time ciclici e lavoratori full-time. Forti delle numerose sentenze positive e del pronunciamento della Corte di Cassazione: “L’anzianità contributiva utile ai fini della determinazione della data di acquisizione del diritto alla pensione sia calcolata per il lavoratore a tempo parziale come se egli avesse occupato un posto a tempo pieno, prendendo in considerazione i periodi non lavorati”. Abbiamo sollecitato in questi mesi tutti i gruppi parlamentari affinché all’interno della legge di stabilità venissero presentati emendamenti che risolvessero il problema.

La presentazione alla Commissione Bilancio della Camera, da parte di parlamentari del PD e del Movimento 5 Stelle, di due emendamenti alla Legge di stabilità 2018 (cui abbiamo lavorato) ci faceva ben sperare.

Lo stesso numero di lavoratrici, 2250, che, nella sola Lombardia, ci hanno dato mandato di promuovere vertenze all’INPS per il riconoscimento ai fini dell’accesso alla pensione dei mesi di sospensione lavorativa e il costo che comporterebbe solo di spese giudiziarie per l’INPS (4 milioni e 500 mila euro solo per il 1°grado di giudizio), pensavamo avrebbe indotto chi ci governa ad intervenire.

Invece non è stato così, gli emendamenti presentati non sono neppure stati messi ai voti e lo stesso è valso per un ordine del giorno presentato da parlamentari PD una volta che l’emendamento è stato cassato.

Ancora una volta questo Governo non sembra interessato, di la dalle parole, a sostenere i diritti dei lavoratori, anche se questi sono, come in questo caso, supportati dalla Corte di Giustizia Europea.

Alle decine di migliaia di lavoratrici degli appalti scolastici che per maturare 40 anni di contributi pensionistici ne devono lavorare 50 come minimo (71 se lavorano 15 ore la settimana), il Governo ha detto: voi “lavoratrici povere”, non solo non avete possibilità di maturare una pensione dignitosa visti i vostri salari, ma per andare in pensione dovrete lavorare più anni.

Oggi l’unica possibilità di vedersi riconosciuti i periodi di sospensione ai fini dell’accesso alla pensione che hanno le lavoratrici degli appalti scolastici è quello di aderire alle vertenze che la Filcams-CGIL sta promuovendo su tutto il territorio nazionale. Ma se la via vertenziale, seppur lunga, ci consente di affrontare e risolvere il problema del diritto all’accesso alla pensione, così non è per una altra delle discriminazioni che vivono le lavoratrici degli appalti scolastici.

Una recente ricerca della Fondazione Di Vittorio ha evidenziato che in Italia ci sono 4 milioni 355mila lavoratori part-time (quasi il 20% dei lavoratori italiani), e circa il 60% di questi sono part-time perché non hanno trovato lavori full time.

Buona parte dei lavoratori part-time, non solo i lavoratori degli appalti scolastici, pur lavorando tutto l’anno, non raggiungono i 10.440 euro annui, ovvero il minimale Inps per l’accredito di 52 settimane ai fini dell’accesso alla pensione. Lavoratori che, dopo aver vissuto una vita lavorativa con bassi redditi e senza alcuna possibilità di risparmio, avranno una pensione vicino alla sociale e dovranno lavorare più anni per potervi accedere. La CGIL e la Filcams, che rappresenta buona parte di questi lavoratori, non possono ignorare gli effetti che il minimale INPS ha sull’accesso alla pensione di questi milioni di lavoratori.

Appalti scolastici: d'estate senza reddito - di Giorgio Ortolani

In Italia tutti i lavoratori che incorrono in periodi di disoccupazione involontaria possono usufruire di misure di sostegno economico (NASPI). I requisiti sono i seguenti: che lo stato di disoccupazione sia indipendente dalla volontà del lavoratore oppure che il lavoratore abbia almeno 13 settimane di contribuzione nei quattro anni precedenti l’inizio del periodo di disoccupazione e 30 giorni di effettivo lavoro nei tredici mesi precedenti l’inizio della disoccupazione.

I lavoratori assunti a tempo indeterminato le cui aziende debbano affrontare periodi di riduzione della produzione possono usufruire nei periodi di sospensione da lavoro della cassa integrazione guadagni (oggi FIS). Anche i lavoratori stagionali usufruiscono di un contributo economico, seppur ridotto dalla jobs act.

Le lavoratrici degli appalti scolastici garantiscono tutti i giorni, nelle scuole italiane di ogni ordine e grado, i servizi di ristorazione, ausiliariato e pulizie. Sono lavoratrici assunte a tempo indeterminato e sono, non per loro volontà, prive di occupazione da Giugno/Luglio a Settembre. Non è giusto che, nei mesi estivi, queste lavoratrici non siano destinatarie di alcun sussidio (NASPI, assegni familiari) da parte dello Stato.

Siamo di fronte ad un’ingiustizia che riguarda decine di migliaia di lavoratrici, molte delle quali nostre iscritte.

Così come la CGIL deve tener viva la battaglia sulle pensioni, iniziata il 2 dicembre, insieme a quella per la Carta dei diritti del lavoro, la Filcams deve essere in grado di articolare iniziative di lotta affinché queste lavoratrici non passino altre estati senza reddito.
Sappiamo che non è cosa semplice, ma abbiamo il dovere di farlo, perché migliorare le condizioni dei lavoratori che rappresentiamo è il compito del sindacato e, come la storia ci ha insegnato, “Chi lotta può perdere, chi non lotta ha già perso”.

Nidi di rondine su Mirafiori - di Marco Prina

Storia di un atipico sciopero ad oltranza

Una rondine non fa primavera, ma può far pensare. Così uno sciopero di 54 giorni alla Mirafiori di Torino.
Parliamo della lotta non dei dipendenti FCA di Mirafiori, ma degli operai delle pulizie industriali delle Meccaniche che si sono rifiutati di accettare condizioni di lavoro peggiorative, in un cambio appalto. Cose da anni ‘70, non di questa epoca.

Eppure, con uno sciopero compatto, un gruppo di 26 operai, uomini e donne, italiani e immigrati, ha cercato di mettere in scacco due aziende importanti del settore, l’Unione Industriale di Torino, FCA. Davide contro Golia. Tutto per difendere dei principi: il posto di lavoro, il salario, la dignità, che solitamente vengono messi in discussione in quasi tutti i cambi appalto.

L’assegnazione del nuovo appalto è stato fatto in gran fretta, subito dopo le mobilitazioni e gli scioperi a Mirafiori contro la Manitalidea, da tempo in difficoltà nei pagamenti degli stipendi, che gestisce buona parte degli appalti del vecchio stabilimento Fiat.

Attorno al gruppo delle Meccaniche si sono sempre organizzate le iniziative di lotta degli operai Manital Mirafiori. Aver dato in appalto ad un’ATI le Meccaniche, spacchettando in due gruppi separati i lavoratori è stata una scelta politica della FCA che non ha mai gradito il conflitto nel cortile di casa.

Il cambio appalto ha comportato la perdita di vecchi diritti acquisiti: le ore, il livello, il demansionamento, lo spostamento di reparto, la riduzione del salario, la perdita del lavoro per quattro operai.

Di qui la lotta, senza aspettare i tempi delle azioni legali, che comunque sono partite, tentando di piegare le aziende e coinvolgere la committenza.

Nonostante le numerose trattative in Unione Industriale, non si è mai raggiunto un accordo. Le aziende si sono limitate a far rientrare una parte delle mancate assunzioni, ripristinare parte delle ore tolte, ma senza togliere i demansionamenti. FCA su questo non si è mai fatta sentire, malgrado un presidio rumoroso di quasi due mesi sotto le sue porte principali, l’intervento intimidatorio della polizia.
Lo sciopero alla fine è terminato alla vigilia di Natale senza vittoria, senza sconfitta, con un mezzo accordo che cerca di salvaguardare il possibile, senza riuscire a riavere le vecchie condizioni ereditate da Manital.

Rimane il fatto che per la prima volta un gruppo sparuto di lavoratori ha tentato di invertire la tendenza di fase al taglio sulla variabile del lavoro negli appalti, ricorrendo alla forma di lotta più estrema dimenticata, oltre al consueto uso dei presidi e il coinvolgimento dei media.

Non ci sono riusciti, ma hanno dimostrato che si può fare, che non è un tabù. E che se vi fosse un maggior supporto materiale, anche da parte del nostro sindacato, con delle forme di “cassa di resistenza”, certe pratiche potrebbero ritornare “di moda”, trasformandosi in un’arma molto più tagliente di quanto oggi sembrano.