Reds n 01_2016

"La carta dei diritti universali": una riforma generale del lavoro - di Giacinto Botti

Nei prossimi tre mesi la CGIL sarà impegnata in una consultazione straordinaria delle iscritte e degli iscritti per chiedere di condividere la proposta di legge di iniziativa popolare “Carta dei diritti universali del lavoro”, ovvero il nuovo Statuto delle lavoratrici e dei lavoratori.

Per sostenerla, e per la formulazione di specifici quesiti referendari, chiederemo un mandato, trattandosi di una proposta sui diritti fondamentali del lavoro che, ispirandosi ai principi della Costituzione, deve fare i conti con leggi contro il diritto del lavoro come il Job’s act.

E’ una sfida che si accompagna alla qualitativamente alta proposta unitaria sul modello contrattuale, che valorizza il CCNL e innova gli strumenti contrattuali e la democrazia partecipata. Si esce dunque dalla difensiva e si apre una nuova fase rispetto al contesto politico e sociale difficile e a noi sfavorevole. Dovremo coinvolgere tutto il mondo del lavoro e non solo, con una campagna diffusa di assemblee e un coerente impegno organizzativo da parte della confederazione e delle categorie, che sono essenziali. Occorre costruire consenso, consapevolezza e partecipazione attorno alle necessarie mobilitazioni.

L’obiettivo è ambizioso: far diventare la Carta una legge d’iniziativa popolare per ridare dignità a tutti i lavoratori e le lavoratrici, e centralità al lavoro, al diritto alla salute e alla sicurezza, al salario giusto e a un’occupazione di qualità. L’intento è riequilibrare il rapporto tra capitale e lavoro per tutelare la parte più debole, togliendo spazi discrezionali e centralità all’impresa, all’insegna della giustizia e del diritto nel e del lavoro.

Pensiamo a un “Nuovo statuto delle lavoratrici e dei lavoratori” che, assumendo come punto di forza la conquista storica della legge 300 del 1970, punti a ricomporre il mondo del lavoro di oggi diviso e frantumato, e ad estendere nuovi diritti alla tante forme di lavoro dipendente e non, oggi prive di tutele e diritti universali.

L’estensione a tutti i luoghi di lavoro dei diritti dello Statuto è da sempre un obiettivo nostro e della sinistra sindacale; ricordo l’impegno nella raccolta di firme per il referendum popolare per la cancellazione del limite dei 15 dipendenti. Già allora percepivamo, di fronte agli attacchi, la necessità di uscire dalla difensiva allargando le tutele a tutti.

I diritti fondamentali previsti dalla Costituzione e dallo Statuto non potevano essere negati, come se fossero privilegi, a milioni di persone che lavoravano in aziende sotto i 15 dipendenti. Questo era il senso dell’impegno dei promotori di quel referendum, perché i diritti sono tali se non sono prerogativa di pochi, mentre al contrario il padronato e i governi di centrodestra si sono impegnati per la loro cancellazione, anche se a riuscirci è stato il governo Renzi. Il tempo ci ha dato ragione.

In questi anni è venuta avanti un’ideologia mistificante e reazionaria secondo la quale i diritti e le conquiste del movimento operaio sarebbero i problemi dell’Italia e le ragioni del mancato sviluppo, dell’aumento della disoccupazione, in particolare giovanile, della mancanza di investimenti. Si è chiesta e ottenuta dal governo attuale la libertà di licenziare senza giusta causa togliendo anche la forma giuridica al lavoro, oltre a non garantire occupazione.

Quel referendum sull’estensione dell’articolo 18 fu sottoposto a un forte boicottaggio informativo e all’indicazione generalizzata di astensione dal voto di quasi tutti i partiti e degli altri sindacati confederali, con la sola eccezione della CGIL che diede indicazione di votare ‘Sì’. Il 15 giugno 2003 votarono comunque circa 11 milioni di cittadini, il 90% dei quali scelse per il ‘Sì’. Noi c’eravamo e ci siamo oggi, impegnati con la nostra CGIL a conquistare la Carta dei diritti.

Qual è lo scopo e l’obiettivo della Carta dei diritti? Restituire dignità e democrazia al lavoro mortificato, denigrato, disconosciuto negli ultimi anni da interventi legislativi sostenuti dal governo e dal fronte padronale.

Si vuole, con la “Carta”, ricomporre il mondo del lavoro, ricostruire partecipazione e democrazia, restituire funzione alla contrattazione a tutti i livelli facendo i conti con il libro bianco del 2001, ripristinare quanto era previsto dall’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori sul licenziamento disciplinare e discriminatorio.

E’ una sfida di lungo periodo che interessa la condizione lavorativa e la democrazia del paese, e che deve accompagnare il nostro impegno sugli altri fronti come le pensioni, i contratti da conquistare. Con la Carta dei diritti si difende e si applica la nostra Costituzione, si dà attuazione al testo unico sulla rappresentanza, valorizzando la democrazia diretta, la rappresentanza sociale, il pluralismo insieme alla nostra identità programmatica di sindacato generale.

Vertenze e mobilitazioni di un sindacato che sa partire dal basso - a cura della redazione di Reds

Alla recente conferenza di organizzazione, la CGIL ha scelto di virare verso il basso impegnandosi a decentrare risorse e a potenziare ruolo e funzione delle delegate e dei delegati nei luoghi di lavoro ed anche dei semplici iscritti. Che ne pensi e come concretamente stai muovendoti a Lucca su questa strada?
Penso che la rilevanza data dalla Conferenza di Organizzazione alla base dei lavoratori e delle lavoratrici sia un passo importante, a cui bisogna però trovare modo di dare seguito con attività e impegni che vadano oltre la semplice elezione delle Assemblee generali. A Lucca abbiamo fortunatamente una tradizione forte in questo senso, ma fin dalla mia dichiarazione programmatica ho esposto alcune considerazioni su come dovremmo muoverci per far sì che le nostre sedi e le nostre attività siano patrimonio di tutti gli iscritti e le iscritte. Principalmente stiamo coinvolgendo i delegati e le delegate in lavori di gruppo su alcune tematiche molto importanti: salute e sicurezza, discriminazioni di genere, immigrazione, informazione e comunicazione. In queste attività a fare la differenza è il fatto che chi interviene non si limita a dare il proprio contributo a idee già impostate, ma propone in prima persona. Inoltre alcuni delegati e delegate presidiano le nostre sedi, potendo osservare da vicino quali sono le esigenze degli altri lavoratori, che tipo di sostegno ci chiedono e quali strumenti e servizi mettiamo loro a disposizione. Abbiamo inoltre attivato una convenzione con uno studio di psicologi, per fornire un supporto a coloro che per motivi legati al lavoro attraversano un momento particolarmente delicato e per rispondere al quale noi funzionari non abbiamo le competenze necessarie. Stiamo infine lavorando ad uno sportello per colf e badanti da attivare presso le nostre due sedi principali un paio di giovedì al mese, che sia finalizzato a fornire supporto sindacale così come a favorire la socializzazione fra quelle che sono prevalentemente donne migranti.

Raccontaci quali sono gli impegni più importanti, le vertenze che la Filcams sta costruendo e gestendo nel territorio.
Lucca è un territorio piuttosto trasversale a livello di vertenze. In provincia ci sono ben 7 negozi Esselunga, tre negozi Unicoop Firenze e 7 Unicoop Tirreno, ci sono punti vendita di Carrefour, Pam e Metro. Tutte aziende coinvolte nelle attuali vertenze nazionali sia per CCNL che per CIA. Inoltre sono molto radicati i Conad. Siamo il primo sindacato in tutte queste aziende. Negli appalti abbiamo una forte presenza negli appalti storici oltre che nelle varie mense aziendali e scolastiche.
E poi c’è il turismo in Versilia, soprattutto con una forte componente di stagionalità; si pensi che abbiamo i contratti integrativi nel turismo provinciali in tutti e tre i settori: alberghi, pubblici esercizi e stabilimenti balneari.
Vi è anche una grande tradizione sindacale nella vigilanza e nel pulimento. Le vertenze con le aziende locali più significative sono al momento quelle delle società partecipate del Comune di Viareggio, dove a seguito di una serie di procedure liquidatorie e fallimenti abbiamo già visto licenziare diversi lavoratori, ma la matassa è intricata e ancora tutta da risolvere.
E poi insieme alla Fiom siamo nella Snai, nota azienda del gioco dove a seguito di nuovi assetti societari si parla di una prossima pesante ristrutturazione.

Appalti: due categorie una sola lotta! - di Giovanna Lozopone e Valentina Gullà

La crisi caratterizza questi anni in modo imprevisto, nella portata e nella durata, e sta modificando la struttura economica e sociale della nostra società nei suoi aspetti fondamentali. I cospicui tagli agli enti locali, Regioni, Comuni, ma anche in Sanità, da parte del governo, incidono prima di tutto sul cosiddetto lavoro “esterno”, il lavoro in appalto o comunque nell’ambito di processi articolati su filiere produttive complesse.
Nel pubblico si “esternalizzano” pezzi sempre più consistenti di servizi, perché il lavoro ha un costo più basso, ma anche perché con il continuo taglio dei costi del personale negli enti pubblici, l’unico modo per non chiudere i servizi è trasferirli a cooperative o aziende di servizi.

Nello stesso tempo il lavoro “esterno” è quello che sta pagando di più la crisi ed i primi in difficoltà sono i lavoratori più deboli, quelli che operano in servizi non “indispensabili”. Come gli appalti di mense e pulizie negli ospedali.

L’ospedale unico della Versilia e il San Luca di Lucca hanno subito tagli consistenti, con riduzioni di orario anche del 50% ed attuate in maniera disomogenea, indipendentemente da livelli e mansioni, con il criterio soggettivo ed unilaterale basato sull’unica volontà di salvaguardare il personale ritenuto “più attivo”.

La Filcams CGIL di Lucca si è scontrata con questo atteggiamento, legato alla scelta di procedere ai tagli, senza rispettare le richieste di incontro da parte delle organizzazioni sindacali. I tagli sono fittizi e forzati, si basano sulla differenza fra le ore non lavorate per assenze di vario genere e il lavoro supplementare richiesto, che secondo le aziende determinano esuberi di ore di lavoro. Ma dal nostro punto di vista, considerando che ogni addetto svolge fra le 3 e le 8 ore di lavoro supplementare a settimana e che di fatto non si riesce più a garantire un servizio adeguato, è chiaro che le considerazioni dell’azienda rispondono all’esigenza di ridimensionare i costi del personale come unica strada percorribile.

Gli appalti devono avere regole chiare a tutela dei trattamenti economici e contributivi dei lavoratori; bisogna intensificare azioni di contrasto delle pratiche di concorrenza sleale tra le imprese e per la tutela dell’occupazione. Affrontare questo tema, anche qui in Toscana per la Fp e per la Filcams di Lucca, vuol dire anche affrontare la legalità economica, il contrasto alle infiltrazioni malavitose, al lavoro nero e allo sfruttamento dei lavoratori, infiltrazioni che avvengono anche attraverso l’utilizzo di contratti firmati da organizzazioni sindacali di comodo.
E’ sempre più difficile per noi intervenire e riuscire a mantenere gli stessi contratti, lo stesso personale e la garanzia dei trattamenti dei lavoratori impiegati negli appalti privati e pubblici. Soprattutto nei cambi d’appalto dove deve essere garantita anche la continuità del rapporto di lavoro.
Filcams e Fp sono spesso contigue in questo lavoro. Unite nella difesa dei lavoratori e del lavoro in appalto, nel contrasto alle pratiche di concorrenza sleale tra le imprese, nella tutela dell’occupazione nei cambi di appalto. Storicamente le due categorie si sono ritrovate insieme perché spesso i lavoratori passano da una categoria all’altra per il cambiamento dei contratti di lavoro applicati. A Lucca le due categorie si coordinano con una gestione comune ed in molti casi con una vera e propria integrazione.

I nostri lavoratori, pubblici e privati, lavorano fianco a fianco, spesso svolgendo gli stessi compiti o comunque, compiti complementari. E’ importante non solo che i lavoratori interagiscano, ma che lo faccia anche chi li rappresenta.
La nostra esperienza è positiva e e deve proseguire più intensamente. Il rientro in massa del popolo degli appalti, alle dipendenze delle stazioni appaltanti, può essere oggetto di rivendicazione, ma coscienti che si tratterà di soluzioni che potranno interessare solo un’esigua parte del popolo degli appalti. Nella maggior parte dei casi, dovremo continuare a farci i conti. Sempre più gli appalti rappresenteranno un banco di prova della nostra capacità di immaginare e combattere per un mondo del lavoro dove i diritti e le tutele non si differenziano sulla base delle tipologie contrattuali.
La tutela dei lavoratori degli appalti deve tener conto di diversi fattori che riguardano la salvaguardia del posto di lavoro: le direttive europee e il loro recepimento nella legislazione italiana; l’intervento del Job’s Act; la contrattazione collettiva.

Il filo conduttore è quello sulla clausola sociale, rispetto alla quale nei giorni scorsi si è fatto un importante passo avanti con l’approvazione del ddl Appalti; oltre agli interventi sulla trasparenza delle procedure di gara e lo snellimento delle stesse, nei decreti legislativi che il Governo adotterà entro il 18 aprile dovrà essere introdotta la clausola sociale di riassorbimento occupazionale, grazie alla quale si garantirà la continuità del rapporto di lavoro nel caso in cui subentri una nuova impresa. Il mancato rinnovo dei contratti nel pulimento, della ristorazione, nei servizi aggiuntivi alla persona e la normativa post Job’s Act, che nel cambio di appalto prevede l’assunzione a tutele crescenti, rappresentano ostacoli sul cammino della clausola sociale.

La grande sollecitazione che offre oggi la CGIL con la Carta dei diritti universali del lavoro potrebbe rispondere in maniera complessiva a molte delle criticità legate al cambio di appalto, perché dispone una serie di interventi sulla tutela del lavoratore negli appalti, legati anche alla centralità restituita alla contrattazione collettiva.

L’obiettivo di ricomporre il quadro normativo e di ricomprendere tutte le tipologie di lavoratrici e lavoratori è senz’altro di grande ambizione. Sarà fondamentale farla comprendere agli iscritti così come a tutti i cittadini perché da idea diventi realtà. Se non non si prova seriamente a cambiare il corso delle cose nel mercato del lavoro, la perdita di diritti e tutele sarebbe inarrestabile.

Una difficile prova di rinnovamento e nuova unità - a cura della redazione di reds

Valentina Gullà, sei diventata segretaria generale in un contesto complicato. Il segretario generale che ti ha preceduta si era dimesso e sei stata eletta sulla base di un’autocandidatura, in contrapposizione al candidato dei centri regolatori. In più la Camera del Lavoro di Lucca è alla vigilia dell’unificazione con la Camera del Lavoro di Massa e Carrara e con una situazione interna complicata. Questa è una difficoltà che va spiegata e che ti carica di un surplus di responsabilità. Ti stai impegnando per ricostruire un rapporto unitario con la Filcams nazionale e regionale e con la CGIL provinciale?
Sono stata eletta in una situazione particolare, come hai sottolineato. Una elezione secondo modalità che sono previste – in modo lungimirante – dal nostro Statuto confederale che valorizza e riconosce le differenze e offre strumenti democratici per governare ogni tipo di difficoltà. La nostra categoria veniva da un lungo periodo denso di difficoltà e tensioni dovute a ragioni interne e il Direttivo ha ritenuto nella sua stragrande maggioranza che l’unica via d’uscita fosse esprimere una risorsa interna che godesse di larga fiducia e che rappresentasse un processo di rinnovamento, che è una caratteristica direi generale della Filcams. Una scelta del genere, associata poi alle criticità legate alla probabile unificazione con la Cdl di Massa Carrara – che molte perplessità sta suscitando in diverse categorie – espone me e tutta la Filcams di Lucca a grandi responsabilità. Il primo compito che ci siamo posti è quello di rilanciare l’iniziativa della Filcams tra i lavoratori e le lavoratrici; il secondo, altrettanto importante, ricostruire un rapporto positivo con la Filcams nazionale e regionale e con la Confederazione, a partire dalla categorie. Abbiamo una grande responsabilità. Vogliamo lavorare insieme e dialogare per chiarire i punti di attrito. Ovviamente un dialogo per essere tale presuppone che ci siano due parti che manifestano la volontà di scambiarsi opinioni e punti di vista, per costruire una convergenza e una più forte e rinnovata unità.

Hai scelto, cosa abbastanza rara in CGIL, di fare la segretaria con un contratto part-time, corrispondente al tuo contratto in azienda. E’ una scelta politica o dettata da necessità economiche della categoria? Non pensi che per fare il segretario di una struttura così impegnativa sia necessario il tempo pieno?
La scelta è stata di natura economica. Se vuoi è anche una scelta politica, perché attraverso questo contenimento del mio costo e altri provvedimenti, ad esempio la riorganizzazione del lavoro dell’apparato su base prevalentemente zonale con una conseguente importante riduzione dei rimborsi, pensiamo di riuscire a spostare più risorse dall’apparato all’attività politico-sindacale. Per quanto riguarda il tempo, non posso che dedicare comunque tra le dieci e le dodici ore al giorno alla categoria. Sarebbe impossibile fare il contrario.

La democrazia sindacale della rappresentanza - di Andrea Montagni

Il 10 gennaio 2014 CGIL CISL e Uil siglarono con Confindustria il “testo unico sulla rappresentanza”. Fu un fatto importante e provocò anche una pesante divisione nel sindacato. Il giudizio, in casa CGIL accentuò il divario di posizioni tra la maggioranza del gruppo dirigente della FIOM e la CGIL nel suo complesso e - cosa dolorosa per noi di Lavoro Società - produsse in sede congressuale una differenziazione nel gruppo storico di compagne e compagni che dal 1984 hanno portato avanti una linea di sinistra sindacale nella Confederazione. Il 17 gennaio 2014 nel Direttivo nazionale della CGIL, Lavoro Società sostenne nella dichiarazione di voto: “Con il Testo unico del 10 gennaio per la prima volta sono affermate in modo certo regole per l’elezione di rappresentanze sindacali unitarie, definiti i criteri di rappresentatività nazionale e aziendale, stabilite le regole per la validazione degli accordi”.

A quell’accordo, che per quanto riguarda i servizi è valido soltanto per le aziende affiliate a Confindustria, in particolare nel multiservizi e nel Turismo hanno fatto seguito altri due accordi rilevanti per i lavoratori della distribuzione e del commercio e sempre nei multiservizi: quello con le organizzazioni datoriali cooperative del 28 luglio 2015 e quello con Confcommercio del 26 novembre sempre del 2015.

L’importanza di questi tre accordi, una volta sopite le polemiche sul primo, non viene sottolineata abbastanza. Mi permetto di fare alcune considerazioni che considero utili per i quadri sindacali e per i delegati.

Queste intese confederali sono importanti per due aspetti: la definizione della rappresentanza al fine di rendere validi gli accordi erga omnes da un lato, dall’altro la regolazione dei rapporti tra sindacati e lavoratori su base democratica attraverso la definizione di modalità di elezione e titolarità delle RSU.

Sul terreno della democrazia emergono i limiti dell’accordo che contempera posizioni affatto diverse tra CGIL CISL e UIL e infatti limita pesantemente (a differenza della legislazione del pubblico impiego) l’autonomia dei delegati dalle loro organizzazioni, pur riconoscendo loro la piena titolarità della contrattazione di secondo livello aziendale.
Ma sul terreno dei criteri di rappresentatività esso costituisce un elemento totalmente innovativo e di grande impatto che da ragione alla battaglia
trentennale della CGIL che pur essendo, ad oggi, il sindacato più rappresentativo, con il maggior numero di iscritti e il più alto livello di presenza con RSA e RSU nel paese e nei luoghi di lavoro, si è visto escludere dai tavoli di trattativa in virtù della possibilità dei padroni di determinare al tavolo negoziale gli interlocutori più “adatti”. Vedi gli accordi separati di Federmeccanica, di Confcommercio e, per guardare al generale, quelli dei governi Berlusconi sulla legislazione del lavoro.

Per questo l’accordo con Confcommercio introducendo, accanto ai criteri del numero di iscritti certificato e del numero dei voti riportati nelle elezioni delle RSU, il criterio della verifica del numero delle vertenze individuali, plurime e collettive (accordi di cassa e di mobilità, contratti di solidarietà, transazioni e conciliazioni effettuate in “sede protetta”) e le pratiche di disoccupazione non compie una operazione di “legittimazione” impropria. Al contrario, riconosce la peculiarità di un settore nel quale prevale la dimensione della piccola impresa anche a gestione familiare e l’attività sindacale si esplica largamente e direi prevalentemente dal punto di vista temporale nella tutela e nella vertenzialità individuale per cui il livello di sindacalizzazione si impenna per l’appunto al momento della interruzione del rapporto di lavoro, mentre la contrattazione collettiva è sottratta per fatto oggettivo agli strumenti di indirizzo, di controllo e di verifica propri del lavoro d’impresa: assemblee e referendum in sede aziendale, presenza di RSA, RSU sulla base della Legge 300 e delle norme contenute nei CCNL e nello stesso accordo interconfederale.

Una sfida per la FILCAMS CGIL e per tutti i sindacati che hanno sottoscritto o sottoscriveranno l’intesa. Una intesa che attende ora i regolamenti attuativi per rendere esigibili le RSU nei luoghi di lavoro, ma che costituisce premessa indispensabile per un pluralismo sindacale basato sulla legittimazione dei lavoratori e non delle controparti.