La sfida di Öcalan per la "vera" democrazia - di Roberto Mapelli

I precedenti “Scritti dal carcere” di Öcalan (“Gli Eredi di Gilgamesh” e “Il PKK e la questione kurda nel XXI secolo” entrambi editi da Punto Rosso), hanno aperto agli uomini in Medio Oriente un nuovo modo di vedere la storia della civiltà umana e della sua origine, e all’uomo occidentale hanno mostrato perché il capitalismo ha fallito in Medio Oriente e continuerà a fallire. Soltanto se l’Occidente rinuncerà alla sua visione classica dell’Oriente sarà possibile una convivenza pacifica tra i popoli – questo il messaggio profondo dei testi del leader curdo.

L’opera che stiamo presentando ora approfondisce questa analisi e la estende alla società classista preneolitica. Il suo riferimento ontologico alla “società naturale” illustra il passo indietro morale che la civiltà, con i suoi stati, gerarchie ed eserciti, rappresenta per l’umanità.

A partire da questo sfondo Öcalan delinea la visione di una società concepita in maniera veramente democratica e il progetto concreto del confederalismo democratico.

Queste idee hanno esercitato ed esercitano una grande influenza sul movimento di liberazione curdo. Senza di esse non ci sarebbe forse stato il cambiamento ideologico e organizzativo che è stato attuato.
Anche se il PKK era riuscito a mettere in moto nella società curda una rivoluzione democratica, sociale e culturale, tuttavia la sua idea di una società democratica e di un socialismo democratico erano di natura piuttosto rudimentali.
Le analisi di Öcalan gli hanno aperto nuovi orizzonti nella comprensione dell’interazione tra democrazia e società da un lato, e socialismo dall’altro. L’idea della priorità della costruzione di strutture democratiche nella società civile ha causato un cambio di mentalità basilare all’interno del movimento di liberazione curdo.

Le organizzazioni della società civile (partecipative e dotate di potere decisionale) non sono più considerate degli attori secondari, come era accaduto nel socialismo reale, bensì piuttosto le componenti centrali di una società di transizione. Senza di esse non c’è alcun socialismo democratico.
Nella prassi ciò si è tradotto in una maggiore attenzione del PKK all’organizzazione sociale. I suoi tentativi di guadagnarsi anche l’attenzione della società turca nei confronti delle sue richieste ne sono una logica conseguenza. Sebbene il PKK abbia sempre aspirato a stringere delle alleanze democratiche col popolo turco, questi sforzi sono rimasti limitati, a causa dell’inasprimento della guerra. La visione di una soluzione della questione curda nell’ambito di una democratizzazione generale ed estesa ha creato nuove possibilità di nuove alleanze con altre forze democratiche in Turchia. E grazie a questo nuovo orientamento, il PKK è riuscito a superare alcuni dei suoi pregiudizi più radicati.

Il confronto intenso con gli scritti di Abdullah Öcalan ha innestato nel PKK un lungo processo ideologico di cambio di orientamento. Le tesi di Marx, Engels, Lenin e Mao vengono ormai osservate da un’angolatura diversa. Credenze radicate e tradizionali sono messe fondamentalmente in discussione. La promozione di un nuovo spirito libero permette ai membri del movimento curdo di aprirsi a nuovi orizzonti teorici e pratici.

Il socialismo reale, anche il proprio, viene messo alla prova. La convinzione che il socialismo democratico è possibile solo con individui liberi consolida oggi una nuova base ideologica del PKK.
Questo processo di rinnovamento non significa comunque che il PKK abbia abbandonato l’obiettivo del socialismo. Al contrario, il rivoluzionamento di Ocalan, rafforza le convinzioni socialiste.

La messa in discussione radicale dello stato come strumento di dominio è andata di pari passo con la messa in discussione delle stesse posizioni che nel campo socialista facevano riferimento ad esso. E alla fine di questo processo troviamo un modello di socialismo non più fondato sulla supremazia politica dello stato, nonché la convinzione che il socialismo non è realizzabile con lo strumento dello stato.

E questo dà uno forza molto più ampia al PKK, nel momento in cui decide di cercare una soluzione alla questione curda all’interno dei confini esistenti, invece che rivendicare un proprio stato.

La politica in Kurdistan non è più orientata verso la presa del potere o l’acquisizione di uno stato, cosa che prima era considerata irrinunciabile ai fini della realizzazione di una rivoluzione.

L’idea di rivoluzione di Abdullah Öcalan nega questi obiettivi. La rivoluzione ha luogo all’interno della società stessa. La forza di imporsi della società dà forma alla politica, nel momento in cui le forze politiche in tutti i settori sociali si organizzano, sviluppandosi quindi in un contro-potere alternativo. Non si deve eliminare lo stato con la violenza, ma si deve intraprendere un lungo processo di cambiamento, con la società come campo di conflitto e conquista, presupposto di una politica democratica. E questo lo si vede concretamente oggi già nella lotta di liberazione curda.

In questa cifra centrale della democratizzazione quotidiana, la questione della donna occupa uno spazio fondamentale nelle analisi di Abdullah Öcalan, e non solo a partire dallo scritto presente. Oggi la lotta di liberazione curda è strettamente legata alla liberazione della donna. Le donne occupano un posto di guida in tutti i settori importanti della lotta democratica, cosa che ha mutato profondamente la società curda.

In conclusione anche in questo libro una cosa però è certa: una soluzione ai molteplici problemi del Medio Oriente è possibile soltanto attraverso la sua democratizzazione, sulla base dei suoi valori storici. Il problema principale, infatti, è che le società orientali sono state indebolite da regimi repressivi. La conservazione del potere crea problemi agli stati nazionali dispotici del Medio Oriente, i quali, di conseguenza, usano ancora più violenza contro le loro società. Quando quest’ultima non può più offrire alcun sostegno, cercano supporto dall’estero, per mantenere il loro potere.

Proprio per questo Abdullah Öcalan vede una soluzione nel rafforzare le società dal basso, stimolandone l’organizzazione in tutti i settori vitali.
Il pensiero di Abdullah Öcalan ha cambiato in maniera radicale la società curda, che si trova ormai in un processo estremamente dinamico della propria democratizzazione. Questa scintilla può andare ad incendiare altre società del Medio Oriente, cambiando a sua volta profondamente anche questi paesi. E’ un processo che si non svolgerà incontrastato, contro cui verrà scatenata la violenza. Tuttavia queste società, rafforzando la loro lotta per la democrazia, acquisteranno forza. E il movimento di liberazione curdo sarà protagonista e darà il suo contributo, guidato, speriamo, dal suo Presidente tornato a godere della sua piena libertà.

Abdullah Öcalan
OLTRE LO STATO, IL POTERE E LA VIOLENZA

Introduzione di Cemil Bayık
Traduzione dal tedesco di Simona Lavo
Edizioni Punto Rosso e Edizioni Iniziativa Internazionale “Libertà per Abdullah Ocalan - Pace In Kurdistan”, pagg. 550, 25 Euro

www.puntorosso.it
Si può richiedere il libro scrivendo a: This email address is being protected from spambots. You need JavaScript enabled to view it.

Costituzione e antipolitica, il binomio che porta al disastro - di Gian Marco Martignoni

Le ragioni del ‘No’ alla riforma Renzi-Boschi in un libro di Mario Dogliani

Per smascherare le ingannevoli e risibili argomentazioni dei sostenitori del Si al referendum del 4 dicembre, può essere utile affidarsi alle lettura del libro “Costituzione e antipolitica” (pagg. 224, euro 13.00, Ediesse) di Mario Dogliani, professore emerito di Diritto costituzionale all’università di Torino, in particolare per l’approccio storico che lo contraddistingue.

Ne vale davvero la pena, perché Dogliani preliminarmente suddivide la storia della Repubblica in due fasi fondamentali: la prima (1948-1998) decisamente caratterizzata dall’attuazione del dettato costituzionale, attraverso riforme legislative socialmente avanzate (dallo Statuto dei lavoratori all’istituzione del Servizio sanitario nazionale, ecc) grazie alla spinta e alle lotte del movimento operaio; la seconda (dal 1979 ad oggi ) segnata, invece, dall’affermazione di una perniciosa “retorica della riforma costituzionale” in concomitanza con il dilagare dell’egemonia neo-liberista e la progressiva messa in discussione delle conquiste realizzate in quegli anni.

Infatti, dall’eccesso di democrazia teorizzato dal Rapporto della Commissione Trilaterale, passando per il piano della P2 di Licio Gelli e il decisionismo craxiano, l’ideologia delle governabilità, propugnata senza alcuna remora dalla destra economica e politica, ha poi travolto ogni argine: cosicché, grazie all’incredibile abiura compiuta dal gruppo dirigente dell’ex partito comunista, è con il referendum del 1993 che si materializza, attraverso il superamento del sistema elettorale proporzionale, il primo attentato all’integrità dei principi racchiusi nel testo costituzionale.

Si tratta di un passaggio fondamentale e fin troppo sottaciuto nelle sue conseguenze devastanti per il mondo del lavoro e la difesa complessiva nello stato sociale, giacché vi è una palese contraddizione tra la corretta rivendicazione di una rappresentanza sindacale proporzionale e la connessa titolarità contrattuale, quando parallelamente la rappresentanza politica è alterata e artefatta dalla nefasta cultura dello spirito maggioritario.
D’altronde, il ventennio berlusconiano ha abbondantemente dimostrato come la preminenza accordata all’esecutivo, per via di quel premio di maggioranza che i comunisti avevano duramente combattuto nel 1953 nelle sembianze della famosa legge “truffa”, può svilire la centralità del parlamento, nonché permettere una dichiarata guerra aperta al potere giudiziario. Con tutti i guasti che ne sono conseguiti per la nostra democrazia, anche se, fortunatamente, la reazione del popolo italiano ha sonoramente bocciato la contro-riforma costituzionale avanzata a colpi di maggioranza nel 2006 da Berlusconi e Lega Nord, all’insegna di un presidenzialismo autoritario di un federalismo secessionista.

Purtroppo, seppur quel pronunciamento ha di fatto rilegittimato la Carta costituzionale, il governo Renzi, eterodiretto dal filo-atlantico Giorgio Napolitano, si è da subito distinto per un procedimento di revisione fatto male, ma soprattutto di rottura e di maggioranza, fondandolo sull’umiliazione reiterata delle funzioni del Parlamento, grazie alla stupefacente arrendevolezza dei presidenti della Camera e del Senato.

Dogliani, che è stato membro della Commissione delle riforme costituzionali istituita dal governo Letta, è più che lapidario sulle ragioni dell’arroganza renziana: “Si è andato progressivamente cementando un blocco affaristico-finanziario con contorni inquietanti, che ha imposto la scrittura del testo che ora ci troviamo a giudicare”.

Infatti, come Tsipras ha potuto misurare sulla sua pelle dopo il formidabile pronunciamento del popolo greco nel referendum indetto sulle politiche dell’austerità imposte dalla Troika, il finanz-capitalismo chiede che la politica abbia esclusivamente una funzione servente rispetto alle sue dichiarate finalità.

Tra l’altro, i ripetuti abbracci e sostegni da parte dei poteri forti - da Marchionne a Obama e finanche l’ambasciatore americano, le ingerenze di ogni tipo si sprecano -, la dicono lunga sul timbro impresso al combinato disposto contro-riforma costituzionale e Italicum.

Pertanto, come ha ben rilevato il filosofo Maurizio Ferraris nel recente pampleth “Emergenza”, la governabilità algoritmica richiede la massima velocità dei processi decisionali, quindi l’assenza di qualsiasi ostacolo all’azione degli esecutivi e la conseguente investitura di un capo eletto plebiscitariamente da parte del popolo; nonché la messa fuori gioco, come abbiamo verificato sul Jobs act, la buona scuola e quant’altro, di qualsiasi politica che abbia al centro il primato del lavoro e dell’eguaglianza.

In ultima analisi, stante che il documento redatto nel maggio 2013 dalla banca J. P. Morgan, puntando l’indice contro le costituzioni della periferia meridionale dell’Europa - poiché “influenzate dalle idee socialiste e dalle tutele costituzionali dei diritti dei lavoratori” - ha ben chiarito qual è l’essenza della cosiddetta “post-democrazia”, è evidente che il No al referendum del 4 dicembre, proprio per queste ragioni, assume una valenza doppiamente simbolica.

Mario Dogliani
COSTITUZIONE E ANTIPOLITICA
Ediesse editore, pagg. 224, euro 13.00

Le sfide della Filcams - di Andrea Montagni

Due giorni di discussione seminariale. Oltre 300 delegati e operatori impegnati in una discussione informale, aperta e innovativa sui principali temi contrattuali

L’11 e il 12 ottobre, a Torino, l’Assemblea generale nazionale della FILCAMS CGIL si è riunita in forma seminariale per discutere dell’universo mondo della contrattazione e della condizione del lavoro nei servizi.
“Nuove frontiere per l’inclusione”: il titolo del seminario di massa che ha interessato gli oltre 300 componenti l’assemblea, tutti coinvolti con una modalità di discussione che ha previsto la plenaria solo in apertura dei lavori, il primo e il secondo giorno, e per i report dei tavoli tematici a conclusione di ogni giornata. Per consentire a tutti la partecipazione alla discussione, sono stati organizzati 15 tavoli il primo giorno e 13 il secondo. Ad ogni tavolo hanno partecipato tra i 18 e i 25 partecipanti.
La prima giornata è stata dedicata alla contrattazione, con tavoli dedicati specifici dalla grande distribuzione organizzata ai multiservizi, con un tavolo – novità assoluta, penso, per una categoria – dedicato alle professioni: collaboratori, partite IVA, professionisti. Il secondo giorno sono stati organizzati tavoli tematici multicategoriali. Vale pena ricordarli, perché danno l’idea della complessità dei temi affrontati: organizzazione e condizioni di lavoro, contrattazione e Jobs Act, Appalti, esternalizzazioni, terziarizzazioni, salario produttività e welfare aziendale, attività internazionali, ruolo delle multinazionali, informazione e partecipazione, Welfare, bilateralità, legalità e comunicazione. Ai tavoli hanno partecipato “esperti” esterni e compagni dei dipartimenti della CGIL nazionale. Più o meno in ogni tavolo (ciascuno a composizione “mista” tra delegati e operatori sindacali), tutte e tutti hanno preso la parola e i report finali sono stati il frutto di lavoro collettivo condiviso tra i partecipanti.
La discussione sui report e sui materiali prodotti avverrà in seconda battuta con una nuova convocazione dell’Assemblea generale.
La modalità di convocazione e la discussione, per prima cosa, mostrano come per la FILCAMS CGIL, l’Assemblea generale non sia solo l’organismo preposto ad eleggere il proprio esecutivo, come stabilito dal nuovo statuto della CGIL, ma stia diventando qualcosa di più: un organismo largo che coinvolge i delegati e le delegate nella elaborazione della linea politica, responsabilizzandoli a livello decisionale.
In molti dei settori che seguiamo gli stessi diritti contrattuali sono in molti casi ignorati. Diventa difficile convincere i lavoratori a muoversi su temi generali che non siano la semplice difesa dell’esistente inteso come il posto di lavoro.
Da qui la scarso successo non soltanto delle manifestazioni, ma anche riguardo all’adesione massiccia agli scioperi per il contratto o a proposito dell’estensione dello sciopero a tutte le realtà lavorative che afferiscono alla nostra categoria.
Tutto ciò porta le controparti, insieme alla certezza di poter contare su un governo che non è certo favorevole alle organizzazioni sindacali, a mantenere il loro atteggiamento di chiusura, nella consapevolezza che il tempo giocherà a loro favore.

Respiro strategico e gestione del quotidiano - di Andrea Montagni

Nell’aprire i lavori della seconda giornata della due giorni torinesi della FILCAMS CGIL, Franco Martini, segretario confederale, ha articolato il suo intervento, breve per altro, intorno a questo ragionamento: qual è il futuro della contrattazione collettiva? Martini ha affermato che il nostro modo di pensare, il dare per scontato che sedersi a un tavolo e contrattare esisterà ancora in futuro, “forse tutto questo non è destinato a durare nel terzo millennio”.

Ovviamente, il dibattito non ha fornito una risposta alla domanda di Martini, ma credo abbia squadernato nelle discussione fatta ai tavoli e nei temi scelti, quali risultano dai report finali, il modo con il quale il quadro attivo della FILCAMS CGIL intende fare i conti con una realtà nuova anche se non inedita nella storia del movimento sindacale italiano. Una realtà nella quale non si può più dare per scontato che sia possibile “aprire un tavolo” di confronto con le controparti, perché le controparti spesso non hanno alcuna intenzione di aprire discussioni, vedi quanto sta avvenendo a livello contrattuale con la grande distribuzione organizzata, nella distribuzione cooperativa, nei multiservizi, nel pulimento artigiano. Una realtà nella quale i padroni utilizzano a man bassa le forme di lavoro deregolato, i voucher, i contratti a termine, le collaborazione per disarticolare il fronte del lavoro e la sua capacità di resistere.

La prima possibile risposta, vedremo se sarà contrattualmente mantenuta e se questa mia lettura si rivelerà corretta, è che per contrattare bisogna prima di tutto avere qualcosa da rivendicare. Perché se sai cosa vuoi e perché lo vuoi e se quel che vuoi è condiviso e corrisponde alle aspirazioni e al sentire dei lavoratori, allora hai uno strumento per l’azione e l’organizzazione. Anche se rivendicare non è ancora sufficiente. La prima risposta definisce la realtà di un sindacato che non accetta di farsi confinare nel ruolo di strumento che “concilia” le aspettative dei lavoratori con il predominio del mercato e del capitale, ritagliandosi uno spazio di cogestione dei servizi individuali e limitandosi a certificare l’arretramento costante delle condizioni di lavoro. Se hai una piattaforma “alta” che indica la prospettiva, niente e nessuno potrà distruggere la tua identità di classe.
La seconda reazione possibile è quella di rispondere comunque alle indicazioni e alle necessità dei lavoratori, organizzandoli dentro e fuori i luoghi della prestazione lavorativa, facendo valere la dimensione collettiva e contrattuale di ogni piccola conquista o passo in avanti, “sporcandosi le mani” nell’azione quotidiana. Cercando in tutto questo di mantenere il filo rosso della coerenza e mettendo al primo posto sempre e comunque l’interesse dei lavoratori.

Non a caso, ritengo, i tavoli della prima giornata sono stati i tavoli della riaffermazione dei diritti e della discussione di merito sulla debolezza della pratica contrattuale, parlando non solo del lavoro strutturato ma anche del lavoro nuovo e autonomo di seconda generazione. Mentre i tavoli del secondo giorno sono stati i tavoli della ricerca delle soluzioni per l’insieme dei problemi coniugando sul piano delle intenzioni e della metodologia, condizioni dell’azione, strumenti legislativi, pratica contrattuale, risposte ai problemi minuti e modalità di comunicazione tra il sindacato, gli iscritti e i lavoratori nel loro insieme.

La vecchia talpa, anche se in questo caso mediamente molto giovane, vista la composizione dell’Assemblea generale FILCAMS, ha ripreso a scavare.

NO di quorum - di Frida Nacinovich

Chi l’avrebbe mai detto che nell’anno di grazia 2016 una televisione nazionale avrebbe avuto il coraggio di trasmettere in prima serata un faccia a faccia tra Matteo Renzi e Ciriaco De Mita? Per i più giovani, il democristiano De Mita, classe 1928, è stato fra i protagonisti della scena politica italiana nel corso degli anni ottanta.

Per i più anziani, il (post) democristiano Renzi, classe 1975, è il terzo presidente del consiglio che vuole cambiare la Costituzione, dopo Bettino Craxi e Silvio Berlusconi. Nel tentativo di volgere a suo favore il voto referendario, il ‘nuovista’ Renzi ha deciso di sfidare davanti alle telecamere non solo De Mita ma anche Beppe Grillo e Massimo D’Alema, entrambi vicini ai settant’anni. Il nuovo contro il vecchio, il giovane contro gli anziani. Il problema - oltre al fatto che la riforma è talmente pasticciata da far inorridire sia i costituzionalisti in erba che quelli attempati - è che il vintage si è prepotentemente affermato in molti aspetti della nostra vita quotidiana.

Dalla moda alla musica, i pantaloni strappati al ginocchio dei Ramones sono più che mai ‘in’, quelli a fiammifero dei renziani stanno diventando rapidamente ‘out’. I calciatori hanno ricominciato a calzare le scarpette nere per giocare, Maurizio Costanzo ha ripreso a fare il suo show. Nostalgia canaglia. Anche di quando i contratti di lavoro erano a tempo indeterminato, la scuola e l’università erano pubbliche per davvero, la sanità era garantita, con un solo stipendio la famiglia riusciva ad andare avanti. Certo, non c’erano né le slide né gli smartphone, le partite in diretta in televisione erano solo il mercoledì sera per le coppe europee. Si stava meglio quando si stava peggio? Ai posteri l’ardua sentenza.

Comunque sia il nuovo non avanza, almeno sul referendum costituzionale. Non lo dicono solo i sondaggi, lo fa capire anche l’ex berlusconiano Angelino Alfano, deciso a rinviare l’appuntamento con le urne causa terremoto. L’hanno lasciato solo come i giapponesi nelle isole del Pacifico.