Nel day after referendario, la Germania della grande coalizione popolari-socialdemocratici ha ribadito alla Grecia: “Non è in agenda la ristrutturazione del debito”. Dunque deve essere ripagato fino all'ultimo euro. E se Atene non ce la farà, il paese ellenico deve essere espulso in un modo o nell'altro dall'eurozona. Da segnalare, in proposito, le parole del numero due del governo Merkel, Sigmar Gabriel: “Tsipras ha distrutto l'ultimo ponte verso un compromesso tra Europa e la Grecia”. Gabriel, per inciso, è il numero uno di quella Spd che un tempo fu di Willy Brandt e di Helmut Schmidt.
Nel mentre, tutti ma proprio tutti gli economisti, compresi premi Nobel e dirigenti del Fondo monetario internazionale, fanno sapere con note ufficiali e interviste che la Grecia non ce la farà mai a ripagare tutto il debito, che per forza di cose andrà rinegoziato. Come uscire dal vicolo cieco? Per certo il più prestigioso quotidiano del pianeta, il New York Times, in un commento del suo board editoriale avverte che la Grecia va mantenuta nell'area euro, per il bene dell'Europa. Ed evidenzia: “Gli ultimi anni hanno mostrato come la sofferenza e l'austerity non hanno fatto niente per aiutare la Grecia e i suoi creditori. E nessuna ulteriore punizione a questo punto cambierà la realtà. Ora la cancelliera Angela Merkel, la leader politica più potente d'Europa, deve decidere se vuole rischiare la stabilità dell'Unione europea, consegnare la Grecia alla depressione economica, e minacciare i mercati globali, o fare la cosa razionale in questo momento cruciale”.
Gli Usa, va da sé, non dimenticano di considerare anche il fattore geopolitico, che vede il paese ellenico proprio sul delicatissimo confine sud-est dell'alleanza atlantica. Al tempo stesso sembrano sottovalutare che nei prossimi sei mesi ci saranno elezioni politiche sia in Spagna che in Portogallo. E soprattutto a Madrid l'esito del voto è già attesissimo, vista la presenza di Podemos, il movimento-partito guidato da Pablo Iglesias. Una forza politica alleata di Syriza all'interno della Sinistra europea, e che potrebbe raccogliere un'ulteriore spinta grazie al rifiuto della pesantissima austerity iberica.
“Tutti erano d’accordo sull’ultima proposta che aveva fatto il governo Tsipras. Solo la Germania si è opposta”. Nel giorno post referendum la puntualizzazione di Giuseppina Paterniti, preparata corrispondente da Bruxelles di quel che resta del servizio pubblico televisivo italiano, strappa un altro pezzo della camicia di forza fatta indossare – con le buone o le cattive – a gran parte dei popoli del vecchio continente. Ironia della sorte quella stessa camicia di forza, i trattati di Maastricht del 1993, impediscono alla Grecia di essere buttata fuori dall’area dell’euro. Il sogno di una Germania che, dietro la facciata dell’intransigenza, inizia a pensare che sia finita la festa. Quella che le ha permesso di guadagnare un milione di posti di lavoro - compresi i ben poco dignitosi ‘mini job’ – mentre gli altri paesi dell’eurozona ne perdevano sei.
Ora la linea di confine fra la civiltà di questo pezzo di mondo - nata in Grecia - e la barbarie si è spostata al 20 luglio. Quel giorno la Banca centrale europea dovrà riavere indietro, con mezzo miliardo di euro di interessi, i 3,4 miliardi di un vecchio prestito. Quasi subito girato, in massima parte, ad altri creditori (dalle banche francesi e tedesche alla stessa Bce). Se quei soldi non torneranno indietro, lo statuto di Francoforte imporrà di interrompere anche la cosiddetta “Ela”, linea di liquidità di emergenza, che pure Mario Draghi ha confermato. Anche perché gli Usa e la Russia hanno chiesto che il dialogo vada avanti, e che Atene resti nell’euro. Non dimentiche, entrambe le grandi potenze, della costante secondo cui niente come l’incertezza è in grado di provocare disastri finanziari planetari. Lehman Brothers qualcosa ha insegnato.
Era una scommessa azzardata quella lanciata da Alexis Tsipras, eletto appena sei mesi fa e quindi nel pieno possesso del diritto di governare il suo paese? Per certo la carica dirompente della consultazione, mossa dal principio che in casi di emergenza la decisione finale va al popolo, ha costretto l’intero sistema dei media ad occuparsi dell’argomento. Con risultati per lo più desolanti. Ma l’acqua scava anche il sasso, e qualche goccia di consapevolezza è filtrata anche da qualche tv, qualche radio e un paio di giornali (il manifesto, il Fatto). Così, mentre i greci votavano “no” ad essere presi per il collo pur chiedendo, in stragrande maggioranza, di restare nell’euro, grazie ai format della Sky di Murdoch anche gli italiani hanno potuto esprimersi. In perfetta sintonia con i cugini mediterranei. Guarda un po’.
Vista da sinistra, con un po’ di ottimismo, andrà a finire che la data del 5 luglio, una domenica, finirà sui libri di storia. Magari con il richiamo laterale alla letteratura. All’immortale scrivano Bartleby: “Preferirei di no”.