La deriva del PD, che pure farebbe parte del partito socialista europeo, verso posizioni autoritario/plebiscitarie sul piano della riforma costituzionale e di ultraliberismo sul piano delle politiche economiche e sociali e di livore antioperaio e antisindacale sul piano delle politiche del lavoro, pone alla CGIL enormi problemi. Nella storia del movimento operaio organizzato il sindacato ha sempre mantenuto un legame, mai lasco, con le forze politiche di sinistra. Segnatamente in Italia con PCI, PSI prima e con DS/PDS/PD dopo. Basta vedere la composizione dei gruppi parlamentari, di quelli consiliari regionali e comunali per registrare la presenza di ex dirigenti sindacali. Con Renzi si realizza una cesura con la parte maggioritaria del sindacato, con il suo insediamento sociale, con la sua cultura, con i suoi uomini e le sue donne. Bisogna prenderne atto.
Alla domanda di rappresentanza politica del mondo del lavoro occorre dare una risposta. Quanti si cimentano in queste ore, settimane e mesi sull’idea di colmare lo spazio lasciato vuoto a sinistra dalla deriva renziana devono saper cogliere questa realtà. Molti prendono la Grecia come punto di riferimento e modello da imitare. Ricordo loro, sommessamente, un punto debole di Syriza, che pure ha un programma radicale e di difesa del lavoro: il partito è debolissimo tra i lavoratori organizzati dove invece prevalgono ancora oggi le correnti di opposizione, socialisti del PASOK da un lato e comunisti del KKE dall’altro. Questa debolezza peserà nella fase complessa di compromessi che si dovranno realizzare per resistere all’Ue, alla Bce e al Fmi e alle loro politiche antipopolari di austerità, di privatizzazioni e di tagli ai diritti e allo stato sociale.
Negli ultimi vent’anni solo il 10% degli elettori - al massimo - ha votato forze politiche a sinistra del Pds-Ds-Pd. Al massimo: parliamo della metà degli anni novanta, periodo di vacche grasse per l’intera coalizione di centrosinistra (la prima guidata da Romano Prodi). Poi il diluvio, anche nella vittoria di misura dell’Unione nel 2006, Rifondazione comunista sfiorò il 7%, non di più. Questi i fatti, a cui vanno aggiunti i misfatti. Di divisione in divisione, di scissione in scissione, le variegate e conflittuali realtà della sinistra italiana sono state capaci di non eleggere eurodeputati nella legislatura 2009-2014, non avendo conquistato prima ancora né deputati né senatori alle politiche del 2008. Il trend discendente si è interrotto solo in occasione delle ultime elezioni europee. Ma quanta fatica per superare lo sbarramento, non particolarmente elevato, del 4%. Per giunta il dato dell’astensione - circa il 40% degli italiani aventi diritto non è andato alle urne - riduce la portata del risultato dell’Altra Europa con Tsipras. Che pure è riuscita, finalmente, a rieleggere tre europarlamentari.
Rispetto ad analoghe esperienze continentali, in particolare la coalizione greca di Syriza, la sinistra italiana ha ancora tanta strada da fare. Soprattutto pensando che negli ultimi anni lungo la penisola si è prepotentemente affermato il Movimento cinque stelle. La creatura grillina, con un consenso sempre superiore al 20% sia che si parlasse d’Italia che d’Europa, ha avuto risultati molto più vicini a quelli di Syriza (e agli spagnoli di Podemos) di quanto non sia riuscita a fare la sinistra. Certo, i pentastellati hanno raccolto il voto di un elettorato quanto mai variegato: delusi della sinistra come della destra, delusi soprattutto da un sistema in cui la politica ha ceduto - armi e bagagli - il passo alla tecnocrazia economico finanziaria. Il movimento grillino non somiglia a Syriza, casomai può avere punti di contatto con la battaglia anti-casta che ha fatto conoscere all’opinione pubblica spagnola Podemos. Il quale, peraltro, ha eletto i suoi rappresentanti a Strasburgo sotto le insegne della sinistra europea. Un fattore decisivo per considerare anche Pablo Iglesias & c. espressione della sinistra continentale. Mentre Grillo e i suoi siedono accanto all’Ukip di Nigel Farage, cioè ai paraleghisti britannici. Una differenza non da poco.
Lo zoccoletto duro della sinistra italiana riparte dal 4,03% delle elezioni del maggio scorso. La ricaduta elettorale di un lavoro di base tutto sommato visibile nelle piazze, nelle vertenze e nelle battaglie politiche e sociali che stanno attraversando l’Italia. L’ultima foto di famiglia è quella di metà febbraio. Quando, nel giorno dedicato agli innamorati, ventimila italiane e italiani di sinistra hanno camminato insieme per le strade di Roma a sostegno delle legittime rivendicazioni di Syriza contro le fallimentari politiche continentali di austerity. Per San Valentino sotto il Colosseo c’erano tutti (Vendola e Ferrero, Revelli e Turigliatto, anche Camusso e Landini, che pure lavorano nell’autonoma dimensione del sindacato), sorridenti e pronti ad un comune abbraccio pacificatorio. Lo zoccoletto duro di una sinistra italiana che però deve fare in fretta a crescere. Di fronte agli scogli del Pd di Renzi e del M5s di Grillo l’onda della sinistra è ancora troppo piccola.