Il comitato promotore dei quattro referendum, tesi a cambiare la legge che attua l’introduzione del principio del pareggio di bilancio e del Fiscal Compact in Costituzione, è particolarmente variegato.
Colpisce la presenza di Mario Baldassarri, ma solo per chi non ricorda che l’ex viceministro dell’economia dell’ultimo governo Berlusconi, ex aennino, fu tra i pochissimi a votare contro la modifica dell’articolo 81 della Carta fondamentale della Repubblica.
In questa battaglia civile Baldassarri si trova fianco a fianco con Danilo Barbi, appena riconfermato segretario nazionale della Cgil, e punto di riferimento del sindacato di Corso Italia sulle politiche macroeconomiche.
Nella pattuglia referendaria troviamo poi gli economisti keynesiani Riccardo Realfonzo e Gustavo Piga, pronti a segnalare le puntuali critiche di Paul Krugman e Joseph Stiglitz alle fallimentari ricette di politica monetaria ed economica adottate dall’Unione europea per far fronte alla crisi epocale iniziata nel 2008.
Non manca un esperto di microcredito come Leonardo Becchetti, mentre il fronte giuridico è coperto dal consigliere di Stato Paolo De Ioanna e da Giulio Salerno.
Figura ben conosciuta del mondo politico è Cesare Salvi, per molti anni parlamentare nelle file prima del Pds e poi dei Ds, e storico rappresentante di una sinistra attenta anche alle responsabilità di governo.
E non per caso, alla conferenza stampa di presentazione delle proposte abrogative, organizzata a Montecitorio, erano presenti fra gli altri alcuni esponenti “critici” dell’attuale corso del Pd come Alfiero Grandi, Stefano Fassina, Miguel Gotor, Gianni Cuperlo e Alfredo D’Attorre. Insieme a loro i parlamentari Peppe De Cristofaro, Giulio Marcon e Giorgio Airaudo di Sel, e infine Lanfranco Turci che all’epoca propose, purtroppo senza successo, di evitare un’approvazione del nuovo articolo 81 della Costituzione con una maggioranza dei due terzi dei voti. Con l’obiettivo di rendere possibile l’attivazione del referendum confermativo, e quindi coinvolgere gli italiani perché fosse o meno confermata una scelta così discussa.
Uno dei promotori del progetto di consultazione popolare, l’economista Gustavo Piga, cita i due i premi Nobel Paul Krugman e Joseph Stiglitz per condensare in una frase lo stato delle cose: “Un’austerità ottusa ha reso impensabile ogni politica industriale necessaria in una fase di crisi”. Per questo un gruppo di economisti e accademici, di diversa formazione politica, ha deciso di presentare un referendum contro il Fiscal Compact e le politiche di austerità.
La campagna, riassunta nello slogan “Stop all’austerità. Sì alla crescita, sì all’Europa del lavoro e di un nuovo sviluppo”, appare tanto necessaria quanto difficile. Prima di tutto per motivi logistici, visto che prevede in soli tre mesi, fra il 3 luglio e il 30 settembre, la raccolta delle 500mila firme necessarie per cercare di arrivare al voto popolare nella primavera 2015. In seconda battuta valgono le parole di Emiliano Brancaccio: “Sul piano tecnico-giuridico, l’iniziativa si muove lungo un sentiero impervio”.
Non sfugge a nessuno che in Italia i referendum abrogativi non possono essere indetti su materie come le leggi costituzionali o i trattati internazionali. E il nuovo articolo 81 della Costituzione che impone il pareggio di bilancio strutturale, così come il Fiscal Compact, rientrano in questa categoria. Per questo motivo i referendari hanno deciso lavorare sull’abrogazione di alcuni punti della legge attuativa 243/12, che ha recepito nell’ordinamento italiano la modifica costituzionale dell’articolo 81 e la nuova disciplina dei bilanci europei.
“Le disposizioni della legge 243 – osserva in proposito il comitato promotore della consultazione - consentono un’applicazione del principio costituzionale di equilibrio di bilancio attraverso modalità e condizioni eccessivamente rigorose, che renderanno necessarie politiche di austerità eccessive, solo dannose per il paese, e in particolare per lo sviluppo, il lavoro e la stessa stabilità dei conti pubblici. E’ invece quanto mai urgente in Europa ripristinare la possibilità di politiche economiche favorevoli alla ripresa degli investimenti, pubblici e privati, e della domanda interna all’area dell’euro”.
In definitiva l’obiettivo del referendum è quello di archiviare una strategia fallimentare, e portatrice di enormi sofferenze, strappando la camicia di forza del pareggio strutturale di bilancio e del rientro del debito pubblico al 60% del Pil entro pochi anni. “Non è sufficiente puntare su un Fiscal Compact più flessibile – avvertono sul punto i promotori - giocando con le virgole tramite estenuanti negoziati e continue manovre restrittive, destinate ad accrescere rabbia e disincanto verso l’Europa”. A riprova le istituzioni Ue hanno ribadito che intendono ancora seguire una lettura integralista dell’austerità. Tale da produrre ulteriori devastazioni per l’economia e il lavoro, non solo in Italia ma in buona parte della Unione europea.