Silvio Berlusconi esce dal Parlamento dopo vent’anni con un ultimo colpo di teatro. Il comizio del Cavaliere sotto la sua casa romana fotografa al meglio il personaggio. Una Evita Peron del nuovo secolo, è mancato solo che cantasse “non piangere per me, Italia”. Alle donne in nero contro la guerra, la nuova Forza Italia ha risposto con le parlamentari vestite a lutto per l’espulsione del caro leader dall’assemblea di palazzo Madama. Tant’è. Lo scontro interno al Pdl fra falchi e colombe si è chiuso con la nascita di due distinte forze politiche. Da un lato i fedelissimi di Berlusconi, sotto le bandiere della resuscitata Forza Italia, dall’altro i cosiddetti “governativi” guidati da Angelino Alfano, che hanno votato contro la decadenza di Berlusconi ma non hanno obbedito al diktat del Cavaliere di far cadere il governo Letta. Lo avevano già manifestato a inizio ottobre, e la forza dei loro numeri aveva consigliato a Berlusconi maggior prudenza. Allora l’ex premier tornò sui suoi passi con un’imbarazzante giravolta. A questo punto invece la rottura è consumata.
Un’altra creatura politica si aggira per le aule parlamentari. Si chiama Nuovo centro destra, somiglia molto alla montiana Scelta civica, dovrà dimostrare con la sua azione politica di saper conquistare i voti di una destra italiana, che per vent’anni si è facilmente identificata nel padrone di Arcore. Riusciranno nell’impresa Alfano, Lupi e Quagliariello? La storia politica di queste ultime stagioni racconta che chiunque abbia cercato di uscire dall’orbita del sole berlusconiano è andato incontro ad amare delusioni. Pierferdinando Casini riuscì a cavarsela portando una pattuglia di parlamentari nella legislatura iniziata nel 2008, ma nel febbraio scorso la sua alleanza con Mario Monti non ha certo dato i frutti sperati. Tanto da portare al recentissimo divorzio. Se possibile, a Gianfranco Fini è andata pure peggio. L’ex leader di An, che doveva rappresentare la destra italiana senza più Berlusconi, in Parlamento non c’è nemmeno entrato. Ad aiutare Alfano & co. potrebbero esserci un paio di variabili diverse dal passato. La prima, la più importante, è che Berlusconi è ineleggibile, e quindi non potrà mettere il suo nome nel simbolo come traino per le urne. A guardar bene, il recupero del logo di Forza Italia è dovuto proprio a questa esigenza. Il secondo dato è quello anagrafico, l’orologio del tempo batte inesorabile le ore, anche per chi continua ad avere nel Paese un enorme potere economico-mediatico che ne supporta l’azione. Solo il banco di prova delle elezioni europee e della tornata amministrativa di maggio potranno fornire un quadro più chiaro.
Per certo il governo Letta, depurato dei berlusconiani duri e puri appare più coeso e in grado di esercitare un’azione politica meno schizofrenica. Casomai le insidie possono arrivare dalle fibrillazioni del partito che ora è azionista di stragrande maggioranza del governo. Quel Pd nel quale, alla vigilia delle primarie che eleggeranno il nuovo segretario, va avanti un aspro confronto fra le piattaforme programmatiche del favorito Matteo Renzi e del principale sfidante Gianni Cuperlo. Non per caso Enrico Letta ha già anticipato che all’indomani dell’8 dicembre incontrerà i leader dei partiti che sostengono l’esecutivo, per fare il punto e avviare un percorso che tenga conto della nuova distribuzione delle forze in campo. Ufficialmente Letta e Renzi hanno sottoscritto un patto di non-aggressione che dovrebbe traghettare il paese nel semestre di presidenza Ue, cioè fino al 31 dicembre 2014. Il crono-programma sarebbe anche in sintonia con i desiderata di Giorgio Napolitano, che al momento del suo secondo insediamento al Quirinale anticipò il suo mandato in un arco temporale di diciotto mesi. Al tempo stesso ai notisti politici non sfugge la mal celata voglia di Renzi di precorrere i tempi. Ma in questo modo il sindaco di Firenze riporterebbe in gioco Berlusconi, che nel fattore tempo ha il suo più grande avversario. Il Pd di Renzi che dà una mano alla Forza Italia di Berlusconi? Se così fosse l’Italia tutta intera finirebbe direttamente su Scherzi a parte. E Beppe Grillo si fregherebbe le mani.
A proposito di Grillo, delle ondivaghe pulsioni del movimento Cinque stelle si è parlato e scritto fino allo sfinimento. Di sicuro la sua irruzione sul palcoscenico politico e soprattutto parlamentare è stato un fattore decisivo per infliggere un colpo durissimo a Berlusconi. Solo questo Parlamento – dopo legislature intere contrassegnate da leggi ad personam e nipoti di Mubarak – poteva avere la forza di far decadere dal seggio senatoriale la riconosciuta icona della impresentabile destra italiana. I tempi stanno cambiando, cantava Bob Dylan all’inizio degli anni sessanta. Mezzo secolo dopo Berlusconi dovrà andare ai servizi sociali. L’avreste mai detto?
Ha fatto il giro d’Italia l’immagine del sindaco messinese Renato Accorinti che alza la bandiera della pace, sul palco della manifestazione delle forze armate nel giorno loro dedicato (il 4 novembre) dalla fine della prima guerra mondiale. Non molti sanno però che Accorinti è stato eletto con una lista di movimento. Si chiama “Cambiamo Messina dal basso”, ed è stata l’espressione elettorale di quello che potremmo definire un laboratorio politico, uno dei tanti sviluppati negli ultimi tempi da una parte all’altra della penisola: da Roma a Brindisi, da Ancona a Pisa, da Brescia a Siena, da L’Aquila a Firenze, da Feltre a Imperia. Esattamente 21 in tutto, riuniti nella Rete dei Comuni Solidali, e accomunati dall’idea di operare sul territorio per favorire una nuova partecipazione dei cittadini alla vita politica.
Fra gli obiettivi dichiarati di queste esperienze, ci sono quelli di mettere in comune buone pratiche amministrative, creare forme di cooperazione, e costruire risposte collettive a una crisi che colpisce sempre più i comuni e i suoi abitanti, stretti fra i tagli agli enti locali e i vincoli di patti di stabilità ormai rinominati “patti di stupidità”. Il senso politico di queste iniziative è quello di ribaltare la prospettiva con cui si è abituati a veder governati i comuni: in parole povere si tratta di passare dalla “città delle clientele” e dei poteri economicamente più forti, a una città che indirizza la sua azione verso coloro che più sono a rischio di esclusione sociale: bambini e anziani, precari e cassintegrati/disoccupati, migranti e studenti.
Ben diversamente dal “partito dei sindaci”, di chiara natura personalistica, che appare in controluce fra le opzioni programmatiche di Matteo Renzi nella sua corsa alla segreteria del Pd, le liste di movimento (o di cittadinanza che dir si voglia) hanno l’ambizione di migliorare la qualità della vita nelle città, attraverso un’azione amministrativa che segue i principi del diritto ad abitazioni dignitose; di una gestione sociale e non privatistica del territorio; di politiche pubbliche per la scuola e gli altri servizi basilari come l’acqua, i rifiuti, i trasporti. Si tratta insomma di recuperare, attualizzandola, quella tradizione di welfare municipale che ha segnato le migliori stagioni del secondo dopoguerra.
Nel convocare la tre giorni di lavoro che si è svolta la settimana scorsa a Pisa, le liste di movimento evidenziano: “Siamo governati da politiche europee di austerità che producono l’impoverimento di un numero sempre maggiore di persone, generando sfiducia, isolamento e paura, con una dinamica che indebolisce sempre di più il tessuto sociale e contribuisce a peggiorare la qualità della vita”. Una nitida fotografia dell’esistente, davanti al quale si offre una prospettiva che parte dall’attivismo sociale e dalle pratiche dei beni comuni – spazi socioculturali compresi – per delineare esperienze amministrative di segno opposto.
Le città in Comune Le liste di movimento avviano una collaborazione, con tre campagne sui temi dell’austerità, dei beni comuni e del recupero del territorio che saranno poste all’attenzione dei cittadini, attraverso iniziative da mettere in atto sia dentro che fuori i palazzi comunali. E’ questo il risultato della tre giorni pisana “Un’altra musica in Comune”, l’appuntamento promosso dalle liste di cittadinanza già attive in una ventina di centri della penisola, al termine del quale è stato deciso di coordinare le proprie azioni politiche e amministrative lungo tre direttrici principali. |