La Cgil ha fatto da lungo tempo una scelta di campo. Netta. Le forme di lotta violente in democrazia non ci appartengono e il ricorso alla violenza comporta una cesura con la pratica e l’organizzazione del sindacato, oltre che essere inaccettabile sul piano etico e controproducente sul piano politico.
Questo non annulla la consapevolezza che le tensioni sociali, i contrasti politici, il disagio sociale, la repressione delle aspirazioni al cambiamento e la protesta possano produrre situazioni violente che vanno governate e risolte in primo luogo con il confronto delle idee e con la mediazione degli interessi sociali in campo. Sono quelle che si chiamano politiche di coesione sociale ed hanno a fondamento la giustizia sociale e la partecipazione democratica, per l’appunto.
L’Italia affronta una situazione sociale difficilissima: crescono la disoccupazione e le difficoltà economiche per milioni di lavoratori e comuni cittadini. La crisi perdura da 13 anni, il Paese è in declino.
Dal 2001, da Genova per l’esattezza, il comportamento delle forze repressive, l’orientamento della Magistratura nel giudicare i fatti hanno annullato qualsiasi valutazione tra le violazioni di legge compiute, la gravità effettiva delle stesse, le motivazioni che hanno indotto quei comportamenti. Con un approccio simile decine, forse centinaia di migliaia di cittadini italiani delle generazioni precedenti che hanno partecipato alle lotte politiche e sociali dal dopoguerra agli anni 80 sarebbero oggi escluse e ai margini della vita sociale. Sto parlando non solo di uomini e donne che hanno trascorso la loro vita nella quotidiana lotta per vivere una vita dignitosa, ma anche – spesso – di quadri politici e sindacali che sono stati o sono editorialisti di fama, docenti universitari, ministri, sindaci, dirigenti, ecc. Questa è la storia della mia generazione.
Quando la pena è completamente sproporzionata al reato, quando si cessa di considerare i motivi di valore morale, sociale ed economico che spingono alla ribellione, quando si trasforma in criminalità il dissenso usando il maglio della repressione, si preparano tempi cupi.
Occorre vigilanza democratica più che contro le provocazioni, contro l’illusione di prevenire e affrontare per via autoritaria il conflitto sociale.
A quando gli arresti, magari con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa, così come chiede il delirante senatore democrat Stefano Esposito? La difesa a oltranza della Tav in Val di Susa da parte del governo Letta e delle forze politiche che lo sostengono – ma c’è anche la Lega Nord del governatore Cota – sta diventando pericolosa per gli stessi principi basilari della democrazia.
Il primo campanello d’allarme è suonato nei giorni di Ferragosto, quando la magistratura torinese ha aperto una indagine preliminare sulla visita in carcere dell’europarlamentare Gianni Vattimo a un attivista no-Tav. Una decisione politica quella della procura, vista l’assenza di ipotesi di reato né tanto meno di indagati. Riconducibile solo al fatto che con Vattimo erano entrati in carcere due storici esponenti del movimento, Nicoletta Dosio e Luca Abbà, presentati come consulenti. Qualifica del resto quanto mai adeguata, vista l’approfondita conoscenza dei fatti da parte dei due residenti nella valle.
Il messaggio era chiaro. Lo scrittore Erri De Luca lo ha subito compreso, reagendo di conseguenza. L’ex operaio De Luca ha alzato a sua volta il tiro, dichiarando pubblicamente che “i sabotaggi sono necessari, per far comprendere che la Tav è un’opera nociva e inutile”. La società Lft, che cerca di realizzare il tratto ad alta velocità ferroviaria fra Torino e Lione, ha subito minacciato una denuncia. Mentre dai palazzi del potere si levavano grida di sdegno per le sue parole. Così però De Luca ha potuto approfondire il ragionamento. Ricordando una volta di più che quella in Val di Susa è la più forte, unanime e continua resistenza civile degli ultimi vent’anni. E che tagliare le reti di recinzione e organizzare blocchi stradali è una violenza minima, rispetto a una valle militarizzata contro un’intera popolazione.
A sostegno di Erri De Luca si sono levate molte voci, ultima quella di Ascanio Celestini, pronte a denunciare che nei fatti la criminalizzazione del movimento no-Tav ha preso di mira anche le opinioni. Nel mentre il governo insiste, quella grande opera s’ha da fare. Il ministro pidiellino al trasporti Maurizio Lupi convoca una riunione alla Prefettura di Torino per rassicurare gli imprenditori impegnati negli appalti, anch’essi dubbiosi e preoccupati per il clima di ostilità che a loro dire si avverte nella valle. Poi Lupi si presenta come ospite d’onore alla festa cittadina del Pd, per dire ai militanti democrat che l’alta velocità sarà portata a termine, costi quel che costi. In parallelo alla procura del capoluogo piemontese vengono convocati i nomi più conosciuti del movimento, mentre le forze dell’ordine denunciano e arrestano, ipotizzando reati terroristici, giovani militanti no-Tav. Senza però riuscire a bloccare le azioni più eclatanti, incendi e danneggiamenti che continuano periodicamente a succedersi.