Venezuela, la miseria dei servi dell'impero - di Anika Persiani

Gli USA hanno vissuto lo Shut down più lungo della storia, lasciando 800 mila persone senza stipendio. Oltre ai senza tetto, ai “roulottari” e a coloro che vivono nelle fognature. Ma vogliono risolvere i problemi in Venezuela, paese dove – dice Trump – Maduro vuole sterminare il suo popolo; gli USA sono “amici” della Colombia (paese con record di mortalità infantile, analfabetismo, delinquenza e, guarda caso, icona degli interessi di ‘ndranghestisti e narcos) che ha ben 8 basi militari statunitensi; gli aiuti umanitari, infatti, li mandano via terra da lì, con una spesa quadruplicata, nonostante La Guaira, a Caracas, sia uno dei porti commerciali ed uno degli aeroporti più importanti del continente. E con il disconoscimento di tutte le organizzazioni internazionali, compresa la Croce Rossa.

Colombia e Venezuela hanno un regalo lasciato dalla deriva dei continenti; osservano due mari, due fronti continentali (a nord e a sud), e perfino il traffico commerciale di Panamà. E, non da meno, quello futuro che si svilupperà nel Canale del Nicaragua grazie agli investimenti cinesi, che cambierà le regole del commercio internazionale.

Il Governo degli Stati Uniti critica un paese che, da sempre, “nei peggiori bar di Caracas” ospita tizi intenti a spararsi il fine settimana, secondo il cliché importato del Far West e dalle mode statunitensi di imbracciare fucili e fare stragi nelle scuole e nelle maratone. Come succede in tutte le megalopoli latinoamericane e nordamericane che, già dagli anni venti, sono esplose demograficamente e non hanno importato propriamente architetti, medici o Professori di antropologia, ma gente che cerca di sopravvivere secondo il sogno americano (soldi facili e lavoro zero).

Con tutti questi problemi continentali, quello più importante pare essere Maduro. Un presidente eletto legittimamente che, a sua volta, ha a che fare con tizi che girano con bombe carta che costano come venti dei loro stipendi, che passano giorni e giorni per strada a manifestare distruggendo le città e lamentando il fatto che i figli non hanno di che campare. Ma girano il mondo, chiedendo ai governi di altri paesi di intervenire per massacrare i loro concittadini che non sopportano più di stare a guardare gente con i conti correnti all’estero che, attraverso il cambio di denaro che è più simile al riciclaggio, continua ad affossare la moneta locale. E più grave ancora, chiedono il riconoscimento di un tizio, formatosi alla Washington Accademy che, oltre ad aver studiato sotto la guida dall’economista Berrezbeitia e di accademici (pratici di rivoluzioni arancioni) del Fondo Monetario internazionale, prima di autoproclama Presidente, poi nomina Presidenti della Corte Suprema residenti negli USA, poi tenta di destabilizzare le forze armate venezuelane, poi di comprarle, poi di screditarle, poi di proporre loro addirittura un’amnistia e, poi ancora, chiede a forze armate di altri paesi di attaccare il suo proprio Stato.

zingaretti, la forma del PD - di Frida Nacinovich

Le primarie del Pd sono state meno avvincenti del campionato di serie A. Dirlo alle dieci di sera, a urne chiuse, è facile. Ma fra i tre contendenti Zingaretti, Martina e Giachetti, l’unico che aveva vinto qualche competizione elettorale era il fratello del commissario Montalbano. Maurizio Martina era subentrato a Matteo Renzi dopo il disastroso referendum costituzionale del dicembre 2016, e con lui il Pd era sceso al 18% alle ultime elezioni politiche. Quanto a Roberto Giachetti, alla sua discesa in campo per le elezioni comunali capitoline, i romani avevano risposto votando in massa la pentastellata Virginia Raggi. Nicola Zingaretti invece aveva centrato il suo obiettivo, proprio nel giorno più difficile, diventando governatore del Lazio il 4 marzo 2018. Un milione e ottocentomila iscritti e simpatizzanti nella prima domenica primaverile di questo 2019 si sono messi in fila davanti ai gazebo per scegliere il futuro segretario del Pd. Non pochi, in una stagione particolarmente difficile per il partitone tricolore. E allora diciamolo: riescono meglio le primarie al Pd che le consultazioni sulla piattaforma Rousseau ai Cinque stelle. Gli sconfitti stringono la mano al vincitore, assicurando fedeltà. Potrebbero fare altrimenti? No. E se c’è chi sostiene che ha vinto il candidato con le posizioni più lontane da Matteo Renzi, il confronto televisivo fra i tre contendenti alla segreteria ha evidenziato differenze più di sensibilità che di sostanza. Si apre comunque una pagina nuova per il Pd, che dall’opposizione dovrà affrontare una lunga marcia per essere competitivo alle prossime elezioni politiche. Zingaretti lo sa e lo ha subito detto. Certo, questo delle primarie è stato uno spettacolo diverso da quello imbarazzante offerto appena pochi mesi fa, quando il Pd manifestava a favore della legge Fornero e del jobs act. Parafrasando il titolo di uno dei più bei romanzi di Andrea Camilleri, con protagonista il fratello più famoso di Zingaretti, la forma del Pd è come quella dell’acqua. 

La rivoluzione gentile di un LSU stabilizzato - di Guglielmo Limatola

Il percorso lavorativo e di militanza sindacale di Guglielmo, dipendente di Napoli Servizi

Mi piace Maurizio Landini: parla al popolo perché viene dal popolo. Anch’io, come lui, ho cominciato a lavorare da giovanissimo. Sono entrato in fabbrica a 16 anni, era il 1975. Per me il lavoro ha sempre profumato di dignità; tuttavia ho conosciuto il lavoro povero, quello senza diritti e senza tutele.

Per molti anni sono stato un lavoratore a nero, uno dei tanti invisibili che ancora oggi “aspietta ‘a ciorta”, come cantava il grande Pino Daniele. Fino al 1995 ho stretto i denti, ho lottato per avere una possibilità, sono caduto tante volte e tante volte mi sono rialzato.

Poi, uno spiraglio di luce: è iniziato il mio percorso come L.S.U. al Comune di Napoli. La voglia di emanciparmi era tanta, il lavoro lo divoravo, ho cercato di acquisire in tempi ristrettissimi conoscenze e competenze amministrative. Per nove anni ho cercato di riempire di significato parole tipo lotta, diritti, emancipazione e l’ho fatto utilizzando l’unico strumento che conoscevo: il lavoro.

Nel 2004, il Comune creò una partecipata che si occupa di accompagnamento scolastico e terapeutico di ragazze e ragazzi portatori di handicap. Morale della favola: sono passato dall’essere L.S.U. ad avere un contratto a tempo indeterminato. E’ iniziata così la mia più grande esperienza umana e lavorativa. Sì, perché questo tipo di lavoro non lo puoi svolgere se non ci metti anche il cuore. Regalare sorrisi è una delle cose che mi riesce meglio; restare umano è uno dei miei obiettivi.

Ho sempre pensato che noi lavoratori siamo le braccia e le gambe di queste persone, li aiutiamo nel quotidiano. Siamo una piccola rete sociale formata, inizialmente, da 117 unità e composta da 80 autisti e 30 persone nei centri di accoglienza. Ma non è tutto rose e fiori. Per 7 anni siamo stati una squadra affiatata. Una squadra che cresceva in quanto a competenze ed a numeri. Nel 2007/08, infatti, il Comune di Napoli ha deliberato un nuovo servizio da dare in assistenza alle scuole e vengono assunti altri 260 lavoratori, con qualifica di O.S.S..

Questi professionisti del sociale hanno dato un valore aggiunto al servizio ed alla società per cui lavoravo. Società che, nel frattempo, è diventata al 100% di proprietà del Comune che ne è diventato unico committente. Ero contento e soddisfatto, a livello professionale e non solo.

Ma dietro l’angolo c’erano i primi problemi. Nel 2013, infatti, i problemi societari si sono fatti sempre più gravi. Le assemblee sindacali, i primi scioperi: una lotta per il lavoro che diventava lotta di responsabilità. Sì, perché da un lato c’erano le nostre legittime richieste, dall’altra c’erano i cittadini. Abbiamo sempre cercato di non penalizzare le persone. Il nostro disagio, anche quando è stato acutissimo, non ha mai incontrato i volti delle ragazze e dei ragazzi a cui ogni giorno regaliamo piccole dosi di dignità.

E’ anche questo che mi ha insegnato la militanza all’interno della Filcams-Cgil. Il senso del dovere che incontra il dovere della responsabilità. Poi, l’adesione a Lavoro e Società Sinistra Sindacale perché in gioco non è mai stato solo il mio piccolo pezzetto di felicità: è l’idea di una società diversa che ha sempre animato tutte le mie azioni. Una società che provi ad emancipare gli ultimi attraverso il lavoro.

Sarò franco: le trattative tra società e proprietà sono state spesso estenuanti, ma hanno dato i loro frutti. In diversi anni di lotta siamo riusciti a mettere in sicurezza 420 lavoratrici e lavoratori. Abbiamo colto le opportunità che ci sono state offerte dalle leggi dello Stato ed oggi 420 famiglie possono vivere con un minimo di serenità. Personalmente, la cosa di cui vado più orgoglioso è che le difficoltà della vita non sono riuscite a cambiarmi: ieri... regalavo sorrisi agli utenti, oggi... continuo a farlo.
Nella vita sono sempre stato un rivoluzionario. Mi piace pensare di aver realizzato questa rivoluzione: far sentire tutti importanti. In un Paese che innalza muri tra i diversi, mi piace poter rivendicare con orgoglio che invece il mio lavoro consiste anche nel costruire ponti di dignità e di dialogo. Insomma, una piccola rivoluzione...gentile!

CCNL distribuzione cooperativa: tra diritti e salario un campo minato - di Luca Lugli

A rischio la capacità di tenuta contrattuale dell’intero comparto della distribuzione

La scelta di firmare è una scelta che sosteniamo, ma che non deve celare la difficoltà dello scontro in atto, mentre andiamo verso l’allineamento contrattuale del personale della distribuzione

Con la sottoscrizione del CCNL della “Distribuzione Cooperativa” si è conclusa una stagione contrattuale lunga e complicata che ha coinvolto tutti i contratti del mondo del commercio.
Il contratto dei lavoratori delle COOP era atteso da ormai quattro anni che sono passati in un’attesa a volte snervante. Quattro anni in cui i salari sono rimasti immobili con la conseguenza di rendere ormai indispensabile trovare una nuova intesa.

L’ipotesi di accordo siglato nei giorni scorsi, e su cui si stanno svolgendo le assemblee nei luoghi di lavoro, prevede il mantenimento della struttura contrattuale attuale, con la salvaguardia di tutti gli istituti che differenziano il testo contrattuale della distribuzione cooperativa dal contratto del terziario e della Federdistribuzione.

In particolare il trattamento di malattia, il pagamento della maggiorazione per il lavoro festivo e domenicale e infine il divisore retributivo convenzionale (che permette un calcolo di tutte le maggiorazioni e istituti contrattuali maggiormente favorevole) non sono stati messi in discussione.
La difesa di queste norme, sostenuta con forza dalla FILCAMS, è stata mantenuta grazie al testo che prevede anche l’ultrattività del contratto. Cioè la continuità di applicazione delle normative contrattuali anche in assenza di rinnovo.

E’ stato inoltre determinato l’aumento della quota di contribuzione aziendale sul fondo di assistenza sanitario, parificando full time e part time in un operazione di sicuro impatto.

La parte economica del rinnovo prevede un aumento di 65 € nel corso del 2019 con l’erogazione della “una tantum” di 1000 € a compensazione dei quattro anni di vacanza contrattuale. Se paragonati agli 85 € di aumento complessivi strappati alla Federdistribuzione con gli 889 € di una tantum risulta evidente la differenza di trattamento economico registrato nei due contratti.

L’attivo dei delegati del 26 febbraio scorso, ha discusso i termini dell’accordo dando il via al percorso delle assemblee di approvazione dell’ipotesi sottoscritta da FILCAMS, FISASCAT e UILTucs.

Facendo una valutazione seria e serena dei termini dell’intesa raggiunta non si può far finta che il contesto contrattuale non abbia inciso in maniera determinante sul risultato finale. Una prima valutazione deve essere fatta avendo a mente ciò che accade nel mondo della distribuzione cooperativa. L’utilizzo del lavoro part time raggiunge spesso percentuali enormi. L’utilizzo medio è del 53%, con punte molto maggiori in alcune realtà locali. Questo significa che se c’è un ambito nel quale il part time “involontario” è più presente è questo della distribuzione cooperativa. Potrà la contrattazione aziendale porre un argine a questo tema, inserendo percorsi di stabilizzazione e consolidamento dei rapporti di lavoro? Mantenere fermo il differenziale contrattuale ha determinato anche il sostanziale immobilismo su alcuni temi di forte rilevanza per la vita di molti lavoratori delegando, nella sostanza, alla contrattazione aziendale la discussione di questi problemi.

Una seconda considerazione porta a comprendere che il mantenimento di questa rete di diritti, più ampia rispetto alla grande distribuzione, ha creato il presupposto per cui l’elemento di equilibrio fosse trovato nella parte salariale. E’ stata questa una scelta condivisibile che però deve aprire una grande riflessione nella nostra categoria sui risultati della contrattazione nei nostri settori.

La compatibilità tra diritti e salario è un vulnus in cui le aziende si vogliono inserire in modo sempre più prepotente. Oggi sappiamo che la scelta fatta è la più logica e intelligente, ma quanto questa dinamica potrà determinare in futuro non è chiaro a nessuno.

Contradditorio appare l’ambiente imprenditoriale, che chiede a gran voce una diversa politica dei redditi per poter sostenere i consumi, ma che poi non accetta di ragionare sull’aumento del potere di acquisto dei salari dei dipendenti delle proprie imprese. Ma di fronte a questa contraddizione dovremo trovare una modalità e un’idea di contrasto nuova, diversa ed efficace, che tuteli un quadro di diritti che non può perennemente essere oggetto di baratto con il salario.

Su questo aspetto il contratto nazionale della distribuzione cooperativa diventa simbolico perché evidenzia in tutta la sua sostanza questa grande partita. Partita che, ripetiamo, oggi è stata giocata in maniera condivisibile e che sosterremo nel corso delle prossime assemblee, ma che non potrà ripetersi uguale a se stessa in un futuro in cui le scadenze dei contratti di tutto il mondo del commercio saranno allineate, creando le condizioni per una contrattazione ancor più influenzata da un quadro di riferimento su cui non sarà semplice incidere.

Cento anni fa nasceva la Terza Internazionale - di Pericle Frosetti

Marzo 1919: Il messaggio del manifesto del partito comunista di Marx ed Engels si invera nella storia. “Proletari di tutti i paesi unitevi!”

Cade quest’anno il centenario della fondazione della Terza Internazionale, soggetto politico tra i principali protagonisti della storia mondiale tra le due grandi guerre del Novecento. Il congresso costitutivo si svolse a Mosca dal 2 al 6 marzo 1919, con la partecipazione con voto deliberativo di 35 delegati, in rappresentanza di 19 partiti e organizzazioni, riusciti ad arrivare nella capitale sovietica nonostante il blocco delle potenze dell’Intesa.

L’Internazionale comunista raccoglieva la bandiera della II Internazionale, fondata nel 1889 su spinta della corrente marxista del socialismo mondiale, soprattutto europeo e miseramente crollata di fronte alla guerra mondiale imperialista del 1914, nella quale la maggioranza dei partiti, con l’eccezione di quello italiano e pochi altri, e delle minoranze di sinistra degli altri, si schierarono con le loro borghesie senza opporsi al massacro di proletari che sconvolse il mondo dal 1914 al 1918.

Nasceva intorno ai socialisti, italiani compresi, che avevano rifiutato la guerra e alla spinta del partito bolscevico russo, protagonista di una rivoluzione che allora non era ancora definitivamente vittoriosa, ma che aveva segnato nel novembre dell’anno precedente il primo colpo, con la proclamazione del potere dei Soviet degli operai, dei contadini e dei soldati, insorti contro lo zar, contro la guerra, per la pace, la libertà, la terra e il socialismo.

Nel primo congresso Lenin fece il discorso inaugurale di saluto accogliendo i delegati che erano arrivati in Russia attraversando i confini di un’Europa appena uscita da una guerra ed una Russia ancora nel caos e priva di un potere consolidato in larga parte dei suoi territori. In quell’intervento ricordò con secche parole, senza alcuna retorica – dedicando loro la riunione - Karl Liebknecht e Rosa Luxemburg, capi dei comunisti tedeschi assassinati solo due mesi prima dalle guardie bianche e con la complicità della socialdemocrazia tedesca: “invito subito tutti i presenti ad alzarsi per onorare la memoria dei migliori rappresentanti della III Internazionale: Karl Liebknecht e Rosa Luxemburg.

Quel primo congresso era per l’appunto l’inizio. L’internazionale avrebbe stabilito le sue regole, eletto i suoi organismi, nell’anno successivo nel suo secondo congresso, nel luglio-agosto 1920. La Terza Internazionale dei “21 punti”, che portò anche alla nascita del Partito Comunista d’Italia, è quella sancita dai documenti approvati nel 1920. Ma niente annulla in significato storico e politico della sua nascita nel marzo del 1919.

Nella giornata conclusiva, il 6 marzo, Lenin presentò le “Tesi e rapporto sulla democrazia e borghese e la dittatura del proletariato”, che vennero approvate all’unanimità. Di quelle Tesi voglio ricordare, riportandola, la 7a. Sono parole che possono essere lette oggi per avere un punto di riferimento teorico nel valutare l’atteggiamento di tanta sinistra su quanto avviene in Venezuela. Non certo per paragonare realtà affatto diverse tra loro e contesti storici assai lontani, ma per segnare una mentalità, un modo di valutare la sostanza e non solo la forma che le parole assumono nel contesto storico determinato…

“La Comune di Parigi, che tutti coloro i quali desiderano passare per socialisti onorano a parole, perché sanno che le masse operaie nutrono per essa una simpatia appassionata e sincera, ha mostrato con singolare evidenza il carattere storicamente convenzionale e il valore limitato del parlamentarismo e della democrazia borghesi, istituzioni sommamente progressive rispetto al medioevo, ma che richiedono inevitabilmente una trasformazione radicale nell’epoca della rivoluzione proletaria.

Proprio Marx, che ha valutato meglio di ogni altro la portata storica della Comune, ha mostrato, nel farne l’analisi, il carattere sfruttatore della democrazia borghese e del parlamentarismo borghese, in cui le classi oppresse si vedono concesso il diritto di decidere, una volta ogni tanti anni quale esponente delle classi abbienti dovrà “rappresentare e reprimere” (ver und zertreten) il popolo in parlamento. Proprio oggi, mentre il movimento dei soviet, abbracciando il mondo intero, prosegue l’opera della Comune sotto gli occhi di tutti, i traditori del socialismo dimenticano l’esperienza e gli insegnamenti concreti della Comune di Parigi, riprendendo il vecchio ciarpame borghese sulla “democrazia in generale’. La Comune non è stata un’istituzione parlamentare.

Il significato della Comune sta inoltre nel fatto che essa ha tentato di spezzare, di distruggere dalle fondamenta l’apparato statale borghese, burocratico, giudiziario, militare, poliziesco, sostituendolo con l’organizzazione autonoma delle masse operaie, che non conosceva distinzioni tra il potere legislativo e il potere esecutivo. Tutte le repubbliche democratiche borghesi contemporanee, compresa quella tedesca, che i traditori del socialismo a disprezzo della verità definiscono proletaria, mantengono questo apparato statale. Viene così confermato ancora una volta, e con assoluta evidenza, che gli strepiti in difesa della “democrazia in generale” sono di fatto una difesa della borghesia e dei suoi privilegi di “sfruttatrice”.