La CGIL del futuro può essere solo plurale e democratica - di Giacinto Botti

Abbiamo di fronte come Cgil nuove e impegnative sfide sul piano sociale e politico. Nella preparazione del XVIII congresso dobbiamo mantenere il confronto aperto delle idee e delle esperienze, produrre un percorso e un agire capaci di coinvolgere e far crescere le delegate e i delegati. Dovremmo rinvigorire la dialettica, la collegialità sulle decisioni e rafforzare l’unità e il senso di appartenenza alla CGIL. E agire con coerenza, per innovare l’organizzazione rafforzando la sua natura confederale e plurale al fine di riunificare e rappresentare più e meglio gli interessi del mondo del lavoro di ieri e di oggi.

Il pluralismo delle idee e delle opinioni di merito sindacale per la nostra organizzazione democratica e di massa rimane vitale e ne costituisce risorsa e ricchezza fondamentale. La CGIL è un grande sindacato anche perché promuove la partecipazione e la militanza attiva, mentre la confederalità è stata in tutta la lunga storia della CGIL il valore che ne ha garantito unità e coesione democratica anche nei passaggi più difficili e divisivi.

La deriva della frammentazione categoriale è dal punto di vista organizzativo il pericolo principale per la capacità della CGIL di affrontare con la sua autonomia lo scontro generale e il confronto con il padronato e i governi.

L’altro pericolo è il leaderismo esasperato, il ricorso a primarie dove si incorona il leader, la riduzione di ogni forma di collegialità e di democrazia partecipata presente nella politica e che si manifesta in una società nella quale i corpi intermedi, in primo luogo i partiti, hanno perso il proprio ruolo e prevalgono l’individualismo e il rapporto diretto tra “capi” e base.

E’ il rovesciamento delle dinamiche di base e partecipative che sono a fondamento anche della nostra esperienza sindacale. Per questo dobbiamo implementare regole e comportamenti che rafforzino la collegialità dei gruppi dirigenti, a tutti i livelli, superando l’anomalia di costanti riunioni di segretari generali che, di fatto, esautorano gli organismi dirigenti statutari.

Oggi Lavoro Società, area programmatica della sinistra sindacale confederale in CGIL, è parte ed erede del pluralismo programmatico, dopo il formale scioglimento delle componenti di partito. Infatti con le varie denominazioni assunte a partire dal congresso del ’91, si è data continuità a una aggregazione programmatica nelle forme più significative, portando un utile e importante contributo alla dialettica e al confronto delle idee. Questa tendenza organizzata in aree programmatiche – prima tra tutte Democrazia Consiliare nel 1984 e poi Charta 90 e, successivamente, in aree programmatiche congressuali con Essere Sindacato, Alternativa Sindacale e Lavoro Società-Cambiare Rotta – ha contribuito alla ricostruzione e rivisitazione della linea politica dell’organizzazione. Nomi e definizioni organizzate collettivamente che hanno sempre corrisposto a passaggi di natura programmatica - avendo come riferimento il merito sindacale, l’articolazione di idee e non altro - e di allargamento delle soggettività coinvolte. Dal 2006 con la convergenza su contenuti programmatici facciamo parte della maggioranza congressuale e ci siamo assunti le responsabilità di governo politico unitario della CGIL.

Il rafforzamento dei percorsi unitari – che vogliamo confermare nella preparazione del XVIII congresso – si qualificano nel confronto dialettico tra le diverse posizioni e nella ricerca di punti di avanzati di sintesi in ambito confederale, ai sensi dello Statuto.

La definizione programmatica e strategica, le scelte politiche, sociali, rivendicative e contrattuali saranno il terreno sul quale si determinerà la qualità del confronto congressuale, ma le scelte organizzative dovranno essere coerenti con l’impianto del Congresso stesso e con la natura programmatica della CGIL.

Il regolamento con il quale si avvieranno e si determineranno i tempi e le modalità di svolgimento del congresso deve contenere elementi innovativi – soprattutto in tema di pieno coinvolgimento di iscritte/i, lavoratrici/lavoratori – tali da prefigurare un congresso unitario, dialettico, partecipato e di confronto democratico reale all’altezza della situazione.
Il problema non è come si vota, ma come si coinvolgono gli iscritti in un percorso di democrazia compiuta, come si discute e ci si confronta, e come si individuano coloro che andranno a costituire la platea congressuale; saremo in grado di organizzare il confronto congressuale senza trasformarlo in una conta come talvolta nel passato e di coniugare la massima unità programmatica con la massima rappresentazione a tutti i livelli dei pluralismi presenti nell’organizzazione.

Ius soli, l'Italia non è un paese per giovani - di Frida Nacinovich

Dovrebbe essere semplice garantire la cittadinanza a chi è nato o è arrivato qui da neonato, sta andando a scuola, conosce (e parla) la lingua italiana meglio di tanti italiani ‘veri’. Anche Toto Cutugno, amatissimo da milioni di italiani emigrati ai quattro angoli del pianeta, potrebbe attualizzare la sua celebre canzone - “sono un italiano, un italiano vero” - dedicandola ad Abdul, Amal, Emer, ragazze e ragazzi che diventeranno la colonna vertebrale del paese di domani. Il futuro è loro, nonostante una politica incapace di andare al di là delle campagne mediatiche e dei sondaggi usa-e-getta. Dagli all’immigrato, dagli al diverso, dagli al povero. A ben guardare non c’è alcuna differenza con il trattamento riservato, più di mezzo secolo fa, ai tanti figli del sud costretti a emigrare nel triangolo industriale per lavorare nelle fabbriche dei padroni delle ferriere. Eppure nel frattempo l’uomo è andato sulla luna, la tecnologia ci ha già portato nel futuro. Solo la politica, evidentemente refrattaria a ogni salutare cambiamento, si impiglia in ragnatele tanto vecchie quanto resistenti. Disposta a perdere la faccia, pur di non perdere i voti di chi continua a dire al bar che quando c’era lui i treni arrivavano in orario. Mentre scriviamo, autorevoli esponenti del governo (Maria Elena Boschi) assicurano che la legge sullo ius soli sarà la prima ad essere approvata nella nuova legislatura perché adesso “non ci sono le condizioni”. Ma un suo collega del Pd (Graziano Delrio) insiste: la legge sul diritto di cittadinanza a chi è nato e/o cresciuto in Italia può essere approvata. Il tira e molla è destinato a continuare, mentre i fascioleghisti soffiano sul fuoco dell’intolleranza, Silvio Berlusconi se ne sta pudicamente zitto (una rarità), e Beppe Grillo dà un colpo al cerchio ed uno alla botte, a giorni alterni, a seconda di quello che dicono i sondaggi della Casaleggio & associati. Uno dei tanti magnifici film dei fratelli Coen si intitola ‘non è un paese per vecchi’. L’Italia, invece, non è un paese per giovani.

"Vuoi lavorare al Sud? Riduci salario e diritti" - di Frida Nacinovich

La versione Coop della contrattazione nel Mezzogiorno

 

[Una versione più breve dell’articolo e dell’intervista alla compagna Giusi Ungaro è stata pubblicata con il titolo: Alleanza 3 diritti 0, sul n. 15 del 2017 di “sinistra sindacale”]

Nella galassia Coop, è diventata la stella più splendente. L’hanno battezzata Alleanza 3.0, non tanto per questioni tecnologiche, quanto per ragioni di marketing. Un nome smart, molto cool, per la fusione di tre storiche realtà della grande distribuzione organizzata: Coop Adriatica, Coop Estense, Coop Consumatori Nord-est. Il fiocco azzurro alla porta dei punti vendita è stato messo il primo gennaio 2016. Un ulteriore passo sarà fatto quando nel 2018 anche Coop Sicilia entrerà nell’Alleanza.

Ma non è tutto oro quel che luccica. Giuseppina Ungaro, addetta dell’Iper di Brindisi racconta di aver saputo per caso, nel 2015, un fulmine a ciel sereno, che erano stati dichiarati 147 esuberi in Puglia. “L’amministratore delegato di Coop estense, Zucchelli, aveva convocato una conferenza stampa per annunciare i tagli. Senza aver convocato i sindacati, senza aver aperto un tavolo di confronto, senza preoccuparsi delle conseguenze di una simile decisione”.

Coop Alleanza 3.0 è attualmente la prima Coop italiana per numero di punti vendita, 348 negozi, di cui 56 ipermercati. Un gigante. Alla vigilia della fusione i soci delle tre grandi cooperative di consumo erano circa 2.780.000, clienti abituali, tanto per capire quale possa essere il giro di affari di Alleanza 3.0. Gli addetti ammontavano a un totale di 22.000 persone impegnate a lavorare in 427 negozi. Dopo la fusione Alleanza 3.0 acquista anche tutta una serie di punti vendita centro-meridionali di Coop tirreno. E ancora, a febbraio sigla un accordo con il Gruppo AZ per l’apertura di 34 negozi in franchising con il marchio Coop Master in Calabria. Infine, nel maggio scorso, viene programmata l’apertura di negozi a marchio Coop specializzati per animali dove sarà offerto anche un servizio di toilettatura. Di fronte a un autentico colosso in fase di ulteriore espansione, è facile capire come l’obbiettivo di avere corrette relazioni sindacali sia paragonabile al duello fra Davide e Golia. Ma Giusi Ungaro con i delegati CGIL non sono tra quelli che si arrendono facilmente. “Dal giorno dell’annuncio degli esuberi abbiamo protestato, chiesto spiegazioni, imposto una trattativa per salvare i posti di lavoro a rischio dei nostri compagni e delle nostre compagne. Alla fine – luglio 2015 - non è stato licenziato nessuno. Ma salvare gli impieghi è stato tutt’altro che indolore. L’azienda ci ha chiesto in cambio una turnazione più faticosa, lavoro festivo pagato come quello feriale, la sospensione di altri istituti del CIA come riduzione d’orario attraverso le 24 ore di rol, mensa e indennità speciali di funzione, mobilità volontaria con incentivo all’esodo (scaduta a giugno 2017) ; tutto ciò ha contribuito a un dumping salariale all’interno di Alleanza 3.0: i lavoratori dei punti vendita del Sud hanno condizioni economiche e contrattuali peggiori dei loro colleghi del Nord. Non è giusto”. Il ‘do ut des’ dovrebbe essere a termine, fino al giugno 2018. E se a pensare male si fa peccato ma spesso si indovina, fra i delegati sindacali di Alleanza 3.0 si è fatta strada l’idea che il management aziendale cercherà in ogni modo di mantenere il dumping salariale e il peggioramento delle condizioni di lavoro. “Combattiamo da una vita le gabbie salariali, ma puntualmente spuntano sempre fuori”. In questi giorni i dipendenti di Coop Sicilia, che nel 2018 entrerà in Alleanza 3.0, hanno dovuto digerire un accordo analogo per scongiurare 273 esuberi e la chiusura di diversi punti vendita con flessibilità nei turni, riorganizzazione degli orari di lavoro, incentivi all’esodo e possibilità di transitare in altri punti vendita.

Ungaro lavora con un contratto a tempo indeterminato, con un part-time modulare. “Nella pratica sono 1042 ore annuali, che l’azienda suddivide a seconda delle sue esigenze”. Traduzione: agosto e festività si passano a lavorare nei punti vendita. “In cassa può capitare di avere turni spezzati - sottolinea Ungaro - con due ore di buco, che non ti permettono neppure di tornare a casa. Altro che tempo parziale, alle volte sembra di avere un doppio full time”. L’Ipercoop di Brindisi dove lavora come cassiera è aperto tutti i giorni, dalle 9 alle 21, che diventano 21,30 in estate. Non c’è un giorno di chiusura. “Eppure non ha senso lavorare di domenica - osserva - le liberalizzazioni sono sbagliate, vengono svilite le festività, si svuotano i centri storici modificando di fatto le abitudini degli italiani, non creano nuova occupazione, il gioco non vale la candela neppure per l’azienda. Però il management fa leva sul nostro bisogno di lavorare, che ci costringe anche ad accettare l’inaccettabile”.

Nell’Ipercoop dove lavora Giusi ci sono circa ottanta addetti, con un’età media che oscilla fra i 40 e i 45 anni. “Io sono nella grande distribuzione da undici anni, prima Carrefour ora Coop. Mi arrabbio con le mie colleghe quando dicono che una sigla sindacale vale l’altra. La Cgil è stato l’unico sindacato che si è battuto contro la manomissione della Costituzione, contro i voucher e anche contro il job act”. Certo, non è facile fare sindacato nell’Italia di oggi, dopo dieci anni di crisi, e con una ripresa ben più sulla carta che nella vita quotidiana. “Così finisce che il sindacalista viene visto come il solito rompiscatole che mette dei paletti alla produzione e che quindi va isolato. Ma andiamo avanti, sempre e comunque a testa alta in nome dei diritti ed il rispetto della vita dei lavoratori.”

E poi ancora: “ci sarebbe da evidenziare il fatto che il CCNL scaduto nel dicembre 2013, è ancora oggetto di trattativa per il rinnovo tra OO. SS. e le aziende datoriali. Ma la trattativa è ferma sul tema “malattia”, ossia Coop vorrebbe togliere dalla retribuzione i primi tre giorni di malattia per limitare il fenomeno dell’assenteismo, per risparmiare. Sarebbe interessante innanzitutto sapere la percentuale di assenteismo, se è diminuita o aumentata in concomitanza del peggioramento delle condizioni di vita e lavorative dei lavoratori. Poi forse, per contenere i costi del lavoro aziendali e non gravare ulteriormente su vita e aspetto economico dei lavoratori, si potrebbe pensare a “qualche chiusura domenicale”. In questo modo l’azienda risparmia e darebbe un po’ di respiro ai lavoratori, ottimizzando anche le prestazioni lavorative dei suoi dipendenti nei giorni precedenti alle chiusure domenicali. Questo il mio auspicio.”

Sicuritalia: si scrive cooperativa, si legge sfruttamento - di Omero Raccontabene

Per il codice civile italiano, secondo l’art. 45 della Costituzione, una società cooperativa è una società senza fini di speculazione privata, dove il fondamento dell’agire economico è il soddisfacimento dei bisogni del socio, secondo i principi di mutualità, solidarietà e democrazia.

Ricordiamoci queste parole mentre ci occupiamo di una azienda iscritta all’albo delle cooperative, la Sicuritalia servizi fiduciari s.c, una società leader nel settore dei servizi della sicurezza e del portierato, in grado di raddoppiare il fatturato nel giro degli ultimi 5 anni (dal 2011 al 2016 con 68.114.109,00 € attuali), ponendosi in testa al proprio settore di mercato ed in controtendenza rispetto alla quasi totalità della concorrenza.

Ora andiamo ad analizzare le modalità di come opera questa azienda al suo interno, per capire le reali motivazioni di queste condizione sui generis che la contraddistinguono. In primo luogo, andremo ad approfondire i principali strumenti di cui si avvale per mantenere alti i profitti: Il basso costo del lavoro; la non sindacalizzazione del settore fiduciario, senza la presenza di delegati sul territorio, l’alta offerta di forza lavoro che il mercato le offre; la capacità di derogare, modificare ed arginare il CCNL tramite assemblee interne, svolte in maniera poco ufficiale e molto equivoca.

La paga oraria dei soci non supera in media i 5 € lordi all’ora (alla faccia dell’art. 36 della costituzione che recita “Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla sua famiglia un’esistenza libera e dignitosa”). Ad esempio, un neoassunto andrà a percepire un salario di circa 800 € lordi (4,60 € lordi l’ora) su una base di 40 ore settimanali, quindi a tutti gli effetti al lavoratore verrà riconosciuta una paga part-time per un impiego full-time. Per quanto riguarda le prestazioni straordinarie, non vengono rispettate in nessun modo le maggiorazioni di vario genere, in quanto per qualsiasi tipo di straordinario viene a corrispondere un’incomprensibile remunerazione, fuori contratto, di 80 centesimi lordi l’ora.

Queste condizioni economiche, seppur di modesto peso specifico, non vengono garantite a tutti i soci, poiché chi non possiede una postazione fissa ed è costretto a continui spostamenti territoriali, nella migliore delle ipotesi potrà ricevere un corrispettivo economico in base alle ore lavorate, come fosse un lavoratore a cottimo. Ed è proprio su questo aspetto che ruota tutta la politica interna di Sicuritalia, dove molte centinaia di lavoratori “senza fissa dimora”, sono costretti alla piena reperibilità (non retribuita) h24 senza avere un adeguato preavviso, a meno che non vogliano ricevere in cambio una busta paga prossima allo 0. Inoltre a tali mancanze economiche, ne conseguono altre di varia natura, come le indennità, i congedi, le malattie, che sommate al resto, creano importanti inconveniente sulle già esigue buste paga. Un altro fattore determinante che influisce notevolmente al mantenimento di tale status quo, è la mancata presenza di delegati sindacali, per cui tutti i lavoratori non hanno modo di far valere i propri diritti, se non con azioni spontanee ed individuali, che come ben sappiamo non hanno nessuna possibilità di successo. Questa debolezza fa si che l’azienda adotti verso i lavoratori una politica aggressiva ed intransigente, con minacce di licenziamento, continui cambi di postazione ed intimidazioni verbali. Per questo motivo sono pochi i casi in cui i lavoratori fiduciari della Sicuritalia hanno deciso di scioperare contro tali ricatti, come nel caso di Padova, Vicenza, Rovigo e Torino. A questa fragilità da un lato, corrisponde una forte supremazia societaria dall’altra, dovuta oltre a quanto detto sopra, alla concentrazione del potere di mercato nelle mani di pochi istituti di cui Sicuritalia fa parte e con cui collabora a livello nazionale, costituendo dei veri e propri cartelli di mercato e riproducendo delle effettive condizioni di monopolio. Ci sono vari esempi a riguardo non di poco conto che confermano tali affermazioni, come nel caso della vicenda dell’appalto per l’Expo di Milano, finita per l’appunto in tribunale. Una torta da 20 milioni di euro, spartita tra una manciata di istituti. Detto ciò, riassumendo le informazioni fornite in questo articolo, possiamo desumere la criticità delle condizioni in cui versa il lavoro in questo istituto e di cui i lavoratori sono vittime, riconosciuti teoricamente come soci di una cooperativa finalizzata, almeno formalmente, alla cooperazione e alla solidarietà interna, ed al contrario confinati dentro una realtà totalmente disarmante, arrogante ed avida di opulenza.

Visite mediche di controllo: verso l'"armonizzazione" Pubblico e Privato - di Dafne Conforti

Lo sappiamo. Le politiche di Pari Opportunità non hanno portato bene. In nome delle Pari Opportunità si è introdotto il turno di notte per le donne, le si è mandate in guerra, le si manda in pensione “come gli uomini”. Rimane ancora “dispari” il salario, ma questa è un’altra faccenda. Parliamo ora delle “pari opportunità” dei lavoratori in malattia.

Dal 1° settembre 2017 l’INPS diventa Polo Unico e si occuperà dei controlli per le assenze per malattia dei lavoratori sia pubblici (fino al 31 agosto in gestione alle ASL) che privati (già di competenza INPS).

Cosa cambia? Al momento nulla ma il Decreto legislativo n.75/2017 (il Decreto Madia sulla Pubblica Amministrazione, tanto per capirci) all’art.18, comma d) del Capo VIII recita “…Al fine di armonizzare la disciplina dei settori pubblico e privato, con decreto del Ministro per la semplificazione e la Pubblica Amministrazione, di concerto con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, sono stabilite le fasce orarie di reperibilità entro le quali devono essere effettuate le visite di controllo e sono definite le modalità per lo svolgimento delle visite mediche per l’accertamento, anche con cadenza sistematica e ripetitiva, delle assenze dal servizio per malattia”. Chiaro?
Le fasce orarie in cui il/la dipendente deve essere reperibile e che oggi sono 10:00-12:00 e 17:00-19:00 per il settore privato e 09:00-13:00 e 15:00-18:00 per il settore pubblico, compresi sabato e festivi, saranno “armonizzate”. Il Presidente dell’INPS, Boeri, forse sentitosi chiamato in causa come “Ministro del lavoro supplente o facente funzioni”, ancora una volta è intervenuto con solerzia.

Già contrario all’abolizione del meccanismo automatico dell’aspettativa di vita e quindi favorevole al mantenimento del rialzo dell’età pensionabile (sempre perché i giovani sono penalizzati…), promotore dei contratti a tempo indeterminato a tutele crescenti, espostosi al referendum del 4 dicembre, sempre contro il sindacato (dimentico del suo passato di giovane “rivoluzionario”) e soprattutto contro i sindacalisti accusati falsamente financo di percepire doppia pensione, con il chiodo fisso del ricalcolo contributivo di tutte le pensioni e con il prelievo di solidarietà sulle pensioni “alte” (cioè delle pensioni da € 2000!), lui che razzola malissimo (clamorosa la vicenda dell’ex direttore del personale ENEL, diventato “suo” direttore generale all’INPS pur non avendone i titoli, autosospesosi perché con lui dirigente l’ENEL aveva realizzato una procedura di incentivo all’esodo senza pagare i contributi previdenziali, provocando un buco di 40 milioni di euro e che autosospese l’autosospensione fino al “dimissionamento”), dopo la fallimentare e costosissima operazione “Busta Arancione”, intanto che sulle nomine dirigenziali da lui fatte l’Autorità Anticorruzione apre un fascicolo, il prof. Boeri, nel suo fantastico viaggio forse verso la Presidenza del Consiglio, anche in questo caso non si risparmia e “auspica” che anche per il settore privato si passi a sette ore di reperibilità, per evitare differenze. Come sempre, fatta la “sperimentazione” sui pubblici dipendenti, la “cura” viene poi estesa anche ai privati.

Allora occhio e attenzione massima al Decreto ministeriale attuativo che deve uscire, perché dire “non lo sapevo” non sarà una motivazione valida per giustificare l’assenza al controllo domiciliare del medico fiscale. Ma attenzione anche alla compilazione del certificato di malattia da parte del medico curante e/o della struttura ospedaliera, perché con Decreto legislativo n. 151/2015 sono stati individuati i soggetti esclusi dall’obbligo di reperibilità. Sono le lavoratrici e i lavoratori la cui assenza dal lavoro sia collegata a patologie gravi che richiedono terapie salvavita o a stati patologici per stato di invalidità pari o superiore al 67%. Detta così è pura astrazione, ma il medico che stila il certificato deve conoscere le linee guida in attuazione del Decreto 151. Non può dire “non lo sapevo” perché, ricordiamocelo, il tetto massimo di comporto resta fissato a 180 giorni!