Aggiungi un posto a tavola che c'è un partito in più - di Frida Nacinovich

Tutta colpa di D’Alema? Diciamo la verità, l’ex leader Massimo è già stato protagonista di molte, troppe stagioni politiche. Pensare nel 2017 che sia lui l’origine dei mali del Pd è francamente opinabile. Se poi parla in latino (“quandoquidem dormitat Homerus”) è ancora più difficile immaginare che ci sia qualche Jamie Lee Curtis, la bella Vanda, che va in brodo di giuggiole. Per giunta Omero era cieco, ci sta che qualche volta inciampasse. Casomai è fondata l’accusa principale (“Mi sfogo qui perché nel Pd non si può più parlare in latino”). Il latino è poco cool, poco smart, anche poco conosciuto dalle giovani leve dell’ex partitone democratico. Nasce una nuova formazione politica, il movimento dei democratici e progressisti, acronimo Mdp, vogliono farsi chiamare Articolo 1 nel segno della Costituzione, anche se alcuni di loro hanno votato sì al referendum Renzi-Boschi sulla demolizione della Carta. Tant’è. L’area del cosiddetto nuovo centrosinistra è bella perché è varia. Per ora ci sono Speranza, Rossi, Scotto, in ordine alfabetico e si aspetta D’Artagnan Pisapia. Alcuni dicono che Renzi ne abbia paura, i più non credono che il padre padrone del Pd si sia fatto intimorire dai quattro moschettieri (più Bersani e D’Alema), e considerano i transfughi pura e semplice zavorra. Residui di un tempo che non c’è più. Di quando c’era il centrosinistra. Restano gli insegnamenti della scuola di partito, l’eco delle Frattocchie si avverte bene durante gli interventi, poi c’è la mozione degli affetti per le generazioni più anziane, quelle che hanno creduto che il Pd fosse l’erede diretto del Pci. Basterà? Più facile pensare che il ritorno - quantomai salutare - di un sistema proporzionale permetta alle varie opzioni politiche di contarsi. Meglio così, nell’atomizzata Italia del decimo anno dopo la crisi non sarà male vedere cosa ne pensano gli elettori. La partita si giocherà dopo le elezioni, visto che al momento nessuno può pensare di raggiungere il 40% (con l’attuale legge elettorale), sia da solo che coalizzato. C’è ancora tempo. Ora c’è il congresso del Pd, anche se congresso è una parola grossa, visto che nello statuto del partitone veltroniano la dinamica congressuale si riduce all’ascolto della base e al lavacro delle primarie. I candidati sono quattro, ma a sfidare Renzi sono Andrea Orlando e Michele Emiliano. Il sindaco di Bari era stato frettolosamente dipinto come l’anti-Renzi. Ma una serie non banale di gaffe ha convinto la minoranza del partito a presentare l’attuale ministro della giustizia Orlando, pupillo di Giorgio Napolitano, cuperliano al congresso del 2013. C’è affollamento nel sistema politico italiano, all’Mdp si aggiunge il campo progressista di Giuliano Pisapia, entrambi con l’intenzione di non far mancare l’appoggio materiale o morale al governo Gentiloni. Il nuovo centrosinistra sembra già vecchio.


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