La CGIL è la casa comune del lavoro e si regge su salde fondamenta valoriali - di Andrea Montagni

 

Intervento al XV Congresso della FILCAMS-CGIL

La FILCAMS raggruppa sempre più lavoratori che l’economia 4.0 sposta dai settori industriali e manifatturieri nell’area dei servizi alle imprese e si colloca all’avanguardia sul terreno della difesa dei diritti del lavoro nei settori della nuova economia digitale ed informale, affiancando questa attività a quella nei multiservizi, nella rete distributiva, nella ristorazione, nel turismo. Organizza, accanto ai lavoratori strutturati, sempre più la vasta massa dei lavoratori precari e informali, senza diritti e senza tutele, sia essi dipendenti o parasubordinati, avanzando sul terreno posto a base della Carta dei diritti della CGIL. Siamo stati in prima fila nella raccolta di firme sulla Carta dei diritti e per i referendum su articolo 18, voucher e ripristino della responsabilità solidale delle imprese negli appalti. Voglio ricordare che la nostra Segretari generale partecipò a Milano alla prima iniziativa pubblica della CGIL, organizzata da Lavoro Società, in difesa della Costituzione per il NO al referendum!
Abbiamo sintetizzato il senso di tutta la nostra discussione sul modello di sindacato che è stata, è e sarà la CGIL in una parola, “collettiva”!: un modello organizzativo, una metodologia, ma anche una idea di società per lottare. Difendiamo questo percorso collettivo, sostenendo la proposta di leadership maturata collettivamente con l’ascolto e nel vivo della pratica sindacale. Quando quel passaggio sarà stato superato, il compagno Landini tenga a mente questa parola, “collettiva”, poiché da soli siamo niente, insieme conquisteremo tutto!
Politica sindacale inclusiva vuol dire che la contrattazione collettiva nazionale deve riguardare tutti i lavoratori: diretti e indiretti, dipendenti e parasubordinati.
La politica contrattuale nazionale dovrebbe essere coerente con gli obiettivi unitari della carta dei diritti e con la linea generale di difesa e allargamento delle prestazioni dello Stato sociale rivolte ai lavoratori (assegno di disoccupazione, sospensioni di lavoro, previdenza) e a tutti i cittadini (assistenza sanitaria, diritto allo studio e alla formazione, sostegno al reddito) e valorizzare la prestazione lavorativa.
La contrattazione integrativa di secondo livello dovrebbe riconoscere le particolarità della prestazione e ripartire tra i lavoratori quote di produttività proprie del gruppo di riferimento. Questo livello dovrebbe coinvolgere tutti i lavoratori presenti in azienda compresi i contratti a termine, gli interinali, i neoassunti, secondo un “modello inclusivo”.
Cresce il peso della contrattazione di secondo livello, peraltro sempre largamente inesigibile per la maggioranza dei lavoratori, e diminuisce il peso del contratto collettivo nazionale di lavoro. Cresce il peso del welfare contrattuale e si allarga la sfera di quello aziendale. La contrattazione – che per noi resta la strada maestra per affermare il rispetto e conquistare nuovi diritti e tutele – non è sufficiente a dare garanzie ai lavoratori. Due sono le condizioni necessarie: la ripresa di un ciclo economico positivo, che la politica dovrebbe sollecitare e promuovere, l’altro è la riconquista di un quadro legislativo favorevole alla causa del lavoro.
Con centinaia di quadri e delegati ho sottoscritto alla vigilia del Congresso un documento: “Per una CGIL unita e plurale”, un contributo a definire la natura della CGIL del XXI secolo, una CGIL costretta a navigare in mare aperto, mentre è crollato intorno a noi il quadro politico e istituzionale che ci dava certezze, a partire dalla sinistra. Questo non significa il venir meno di alcuni punti di riferimento fondamentali: la lotta di classe, i valori di una società di liberi ed uguali, la volontà di proseguire in continuità con una storia e una cultura conflittuali. Il pluralismo è un valore. Appare chiaro proprio in questo momento, mentre una parte del gruppo dirigente utilizza la questione della scelta del nuovo segretario generale per porre in discussione, indirettamente, la linea politica perseguita negli ultimi 5 anni. In un certo senso son contento che siano venuti “allo scoperto”. . Dovremmo discutere apertamente della linea non dei nomi
Mai avrei pensato di vivere in un paese nel quale si alimentano odio, rancore, invidia sociale, dove si aggrediscono persone per il colore della loro pelle, e – a così tanti anni di distanza dall’abolizione del reato d’onore, della istituzione del divorzio e dalla legalizzazione dell’aborto, donne vengono quotidianamente uccise nelle loro case da uomini padroni. La crisi economica e sociale ha portato ad un regresso culturale che la CGIL deve contrastare.
La CGIL è la casa dei lavoratori. Ogni lavoratore può trovare da noi un ascolto, una tutela, per difendere i suoi diritti. Qualunque sia la sua idea, qualunque partito o lista abbia votato. Su questo deve essere tranquillo. Ma ogni uomo o donna che sceglie di aderire alla CGIL deve sapere che con la tessera “acquista tutto il pacchetto”. La CGIL è antifascista, la CGIL è antirazzista, la CGIL si oppone alla xenofobia e ad ogni discriminazione sociale, etnica e di genere. La CGIL è la casa dei lavoratori italiani e stranieri, emigrati, migranti e immigrati, atei, cristiani, ebrei, musulmani, animisti, buddisti, maschi, femmine e LGBT!
Chi vuole dirigere la CGIL deve sapere che questi valori li deve condividere! Non c’è posto tra di noi per chi fomenti con le parole e con le azioni l’odio, il razzismo, il sessismo. Non c’è posto per chi crede di usare la CGIL per i proprio fini, per chi crede di giocare sulla pelle dei lavoratori, usando gli incarichi per tornaconto personale.
Bisogna essere rossi ed esperti. Essere esperti è una qualità che si costruisce con lo studio e l’esperienza, ma l’essere rossi è una qualità che bisogna avere prima e che non bisogna smarrire mai.
Essere rossi vuol dire avere essere ribelli verso lo stato di cose esistente, ribelli verso la sfruttamento e la prevaricazione, solidali verso i propri fratelli e sorelle di classe, animati dalla fiducia che le cose possano cambiare, irriducibilmente ottimisti sul successo della nostra buona causa.
Essere rossi vuol dire anche essere umili, essere disposti a rimettersi in discussione, ma anche esser orgogliosi perché il nostro, parlo per i sindacalisti di professione, non è un “lavoro”, ma una missione laica e per le delegate i delegati un fardello che si ripaga solo con l’orgoglio di camminare a testa altra di fronte al padrone!


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