A furor di popolo - di Frida Nacinovich

Il popolo li ama. Anzi li lovva, orribile neologismo figlio dell’epoca dei social network. Si può credere o meno ai sondaggi, ma il numero di cuoricini che accompagna ogni post di Luigi Di Maio e Matteo Salvini è un indicatore da non trascurare. Hanno milioni di seguaci, pardon follower, se la giocano con le rock star dei giorni nostri, dal duo Fedez-Ferragni alla coppia riaccoppiata D’Alessio-Tatangelo. Matteo Renzi ha aperto il sentiero, loro lo hanno asfaltato - non solo il sentiero, anche lo stesso Renzi - e fatto diventare un’autostrada.

Di cui sono azionisti di maggioranza e riscossori del pedaggio. Un meccanismo a prova di bomba: può succedere qualsiasi cosa, buone notizie drammi tragedie disastri, il consenso del governo giallo-verde aumenta. Certo, l’opposizione ci mette del suo: sentire in tv i dirigenti del Pd o le dirigenti di Forza Italia che criticano la manovra economica difendendo questa Unione Europea, fa venir voglia di cambiare canale, paese, pianeta. Poi uno si riprende pensando al mare, al sole, alle grigliate di pesce, perché l’Italia resta uno dei paesi più belli del mondo. E alla fine riflessione dopo riflessione, arriva alla conclusione che l’Italia del 2018 è questa, tertium non datur, alternative democratiche non ce ne sono. È il governo figlio della crisi, quello che va dal vaffanculo al me ne frego.

Si può permettere così operazioni furbesche, come ribattezzare reddito di cittadinanza il reddito di inclusione di ‘renzi-gentiloniana’ memoria. Ci mette qualche miliardo in più, ma soprattutto lo vende in modo diverso: vuoi mettere come suona meglio sui social e in tv ‘reddito di cittadinanza’, al posto di ‘reddito di inclusione’, che fa tanto pensare a un’elemosina ai poveri? I pochi economisti che ancora hanno la schiena dritta non si stracciano le vesti, un paese con milioni di giovani disoccupati, con sacche di povertà allucinanti, può tentare anche esperimenti del genere. In fondo si tratta di impiegare un centesimo del bilancio statale, un duecentesimo del prodotto interno lordo. Il brutto è che lo stesso governo, stavolta nella versione verde e non in quella gialla, con l’accoppiata flat-tax pace fiscale (leggi condono, sia pur attenuato dopo che una ‘manina padana’ lo aveva ulteriormente ingigantito indignando perfino il premier Conte), agisce come Superciuk, il geniale supereroe di Magus & Bunker che ruba ai poveri per donare ai ricchi.

In un paese con un’evasione da 100 miliardi l’anno che nessuno vuole fermare, è una coltellata a un corpo se non agonizzante, malato grave. Qui sì che i pochi economisti con la schiena dritta inorridiscono. Ma tant’è, il vero affare con la nascita di questo governo l’ha fatto Matteo Salvini. Infatti la Lega secondo gli ultimi sondaggi è salita al 30%, sta raddoppiando i non pochi voti che aveva preso alle elezioni di marzo. In definitiva, la manovra economica che sta per essere discussa in Parlamento risponde alle aspettative di chi ha votato Movimento Cinque Stelle e Lega, entrambe realtà lontane anni luce da qualsiasi ipotesi di redistribuzione del reddito, di investimenti ‘intelligenti’ in innovazione e ricerca per rilanciare l’economia, di tutela del welfare (dalla scuola, alla sanità, ai servizi pubblici).

Scarpe rotte eppur bisogna andare, cantavano i partigiani nel terribile inverno del ‘44. Perché fischia il vento e infuria la bufera, e non è certo quella dello spread.


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