La vergogna di Afrin - dalla Redazione

Il 26 gennaio 2015, i partigiani e le partigiane kurde respinsero le milizie fasciste religiose dello stato islamico dalla città di Kobane, ponendo fine ad un assedio di quattro mesi.
Kobane ha resistito per mesi nell’indifferenza internazionale, finché le potenze impegnate nel conflitto siriano realizzarono che finalmente era stata individuata sul terreno una forza capace di contrastare e battere lo Stato islamico. Le ragioni di questa forza stavano e stanno nella determinazione di combattenti che si battono per la pace, la libertà e la convivenza multietnica. Solo allora americani e russi si decisero. Gli americani a fornire copertura aerea, i russi ad inviare truppe al confine tra Afrin e Turchia, per proteggerli dai turchi alle spalle.
Il 20 gennaio 2018, i russi hanno ritirato i propri reparti, gli Stati uniti hanno raccomandato ai turchi di “non esagerare” ed è iniziata da terra e dal cielo l’invasione di Afrin, Truppe turche e miliziani di Al Qaeda sono entrate nel cantone da Nord, da Est e da Ovest.
Il 16 marzo, i partigiani kurdi si sono ritirati da Afrin per non utilizzare i civili come scudi umani nella battaglia e dopo migliaia di vittime, soprattutto civili, 250.000 profughi hanno abbandonato le loro case, i loro villaggi e le loro proprietà per rifugiarsi nei territori sotto controllo dei governativi siriani o delle milizie kurde. I partigiani sono passati alla guerriglia e la lotta prosegue.
Il corpo martoriato di Amina Omar, “Barin Kobanì”, denudata, mutilata, straziata e offesa anche da morta, esibito in un video dai mercenari del sedicente Esercito libero siriano, ci ricorda che la battaglia che i kurdi combattono è anche la nostra battaglia contro la barbarie, l’oscurantismo, il terrorismo che insanguina le nostre metropoli. Non lasciamoli soli.


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