Partita doppia - di Riccardo Chiari

“Se perdo il referendum lascio la politica. Non sono come gli altri. E andremo casa per casa: la scelta è fra l'Italia che dice sempre no e non vuole mai cambiare, e chi invece ci prova con coraggio e determinazione”. Raccolte da Roberto Napoletano che dirige il confindustriale Sole 24 Ore, queste parole di Matteo Renzi danno almeno due indicazioni. La prima è la scelta del campo di gioco.

atta da un presidente del consiglio che usa, fisiologicamente, le sue prerogative, per indirizzare l'opinione pubblica verso quella che il Pd considera la madre di tutte le battaglie politiche. Del resto non è un segreto che il presidente emerito della Repubblica, Giorgio Napolitano, autorevolissimo collega di partito del Renzi segretario Pd, rimarchi in ogni occasione la necessità di mandare in porto le riforme costituzionali. Difese da Napolitano anche nella forma, assai discussa, che il parlamento ha approvato in questi mesi. Senza la maggioranza qualificata che dovrebbe accompagnare provvedimenti di simile peso politico.

La seconda indicazione si lega a quella che sarà la scelta finale del popolo italiano. Con scaltra spregiudicatezza, il presidente del consiglio la trasforma, anche mediaticamente, in una questione personale. Vi vado bene? Votate le riforme. Non vi piaccio? Bocciatele e mandatemi a casa. Che poi il premier lo faccia davvero, in caso di sconfitta referendaria, appare perfino secondario. Almeno rispetto alla disarmante reductio ad unum operata da Renzi, su un argomento così delicato come quello della forma dello Stato repubblicano. Non può mancare infine la rappresentazione in fotoshop della dicotomia nuovo/antico, progresso contro conservazione. Ma questa non è più una novità. E' la cifra stilistica di quel giovanilismo, di facciata, che ha contrassegnato l'ascesa dell'ultimo arcitaliano in ordine di tempo.


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