Cgil, non ci siamo proprio - di Kang Sheng

Quanto tempo può andare avanti la CGIL senza che alle decisioni prese e agli orientamenti definiti seguano comportamenti e iniziative capaci di tradurli in azione sociale?
Guardando il lavoro quotidiano dei delegati, degli operatori sindacali, delle categorie e delle camere del lavoro, queste affermazioni paiono ingenerose e prive di fondamento. Ogni giorno decine di migliaia di lavoratrici e di lavoratori, di precari, di pensionati incontrano la CGIL e le sue categorie in azienda o nelle sedi sindacali per affrontare i problemi quotidiani, per impostare vertenze collettive e individuali, per trovare sostegno e organizzazione di fronte alle minacce di licenziamento o per impostare la contrattazione aziendale e di categoria. Non passa giorno, nonostante la sordina che stampa e televisione impongono ai temi del lavoro e sul sindacato, senza che sulle cronache locali o nei notiziari regionali ci sia una notizia che riguardi la CGIL e il suo impegno quotidiano. Nonostante la mancanza di qualsivoglia impostazione unitaria delle politiche rivendicative, sono stati rinnovati contratti collettivi di lavoro in numerosi comparti. Dunque, il sindacato, la CGIL, c’è e denunciarne la mancanza di iniziativa parrebbe proprio una forzatura, eppure…

Eppure nella vita politica del Paese, la CGIL scompare come soggetto politico autonomo capace di incidere con iniziative di peso sulle grandi questioni politiche, economiche e sociali. Due mesi fa, i sindacati degli edili hanno dato vita alla prima manifestazione di massa contro la riforma Fornero, ma senza riuscire a togliere il “primato” dell’iniziativa al nuovo presidente dell’INPS - “ministro aggiunto” del Lavoro e delle politiche sociali, più che presidente dell’INPS a dire il vero - che ha aperto per conto del governo Renzi una nuova fase di attacco al sistema pensionistico pubblico. Sulla controriforma della scuola, la mobilitazione è stata ampia e ha coinvolto, intorno al movimento sindacale, l’intero mondo della scuola e oltre sensibilizzando e mobilitando larghi settori della società civile. E’ stato detto che la mobilitazione prosegue.

Su lavoro e scuola il governo ha scelto la strada dello scontro frontale ed ha vinto prime importanti battaglie.
La CGIL in verità ha già deciso il percorso di contrasto del decreto lavoro attraverso un capillare coinvolgimento delle iscritte e degli iscritti e di sensibilizzazione dell’opinione pubblica attraverso la elaborazione di una proposta di nuovo Statuto dei lavoratori che ampli ed estenda la sfera dei diritti del lavoro, sulla cui base promuovere anche un referendum abrogativo dell’attuale legislazione del lavoro, facendo sì, questo l’obbiettivo, che la lotta contro il jobs act sia palesemente inclusiva e parli a tutti i lavoratori e non sembri la mera difesa dell’esistente. Ma di tutto questo niente si è ancora tradotto in una iniziativa capace di parlare all’intero Paese. Mentre la reazione a queste sconfitte, dovrebbe essere elemento di maggiore coesione e determinazione. Non è un caso che tutti i soggetti in campo si muovano a prescindere da questo orientamento, quasi come non fosse presente nelle opzioni possibili. Vedi le scelte referendarie su lavoro e scuola e la corsa di altri a porre il cappello sulla seggiola, per primi.

La CGIL soffre anche del fatto di essere vissuta, per effetto soprattutto di una ben orchestrata campagna mediatica, ma anche per propria responsabilità, come un Giano a due teste: c’è un Segretario generale, quello eletto negli organismi preposti, e ce n’è un altro “scelto” e incoronato dalla stampa e dalla televisione – dalla televisione soprattutto! -. Dicono in generale, nella differenza dei toni, le stesse cose, ma il secondo si presta a farle apparire sempre come originali o di sprone. Una situazione che non può durare all’infinito e che produrrà, se non si pone rimedio in tempo, una risoluzione traumatica. E il resto del gruppo dirigente sta a guardare senza scomporsi più di tanto o “facendo il tifo”, invece di porsi il problema dell’azione politica di contrasto a questa tendenza, pur avendo a disposizione la forza e l’impatto degli iscritti organizzati nelle loro categorie e un vero e proprio esercito di delegate, delegati, attivisti che hanno bisogno di essere chiamati democraticamente a partecipare e contare, discutendo, decidendo e mobilitandosi…

Conosco una sola cura: una massiccia dose di volontà. Sta qui la responsabilità che coinvolge per la sua parte ognuno di quanti fanno parte del “corpaccione” della CGIL, delle donne e degli uomini che nelle Camere del Lavoro, nelle categorie, nelle aziende ne costituiscono il gruppo dirigente allargato e l’interfaccia diretto coi lavoratori. Devono assumersi la responsabilità in prima persona di tradurre nei fatti la linea della CGIL, innovando e rischiando del proprio, senza usare come alibi le difficoltà che incontrano o l’inerzia di altri. Il lavoro quotidiano che pure svolgono - e che ho descritto all’inizio di questa riflessione – è importantissimo ma non è più sufficiente.

Gli sherpa che accompagnano gli scalatori sulle cime dell’Everest non sono solo portatori: sono quelli che conoscono meglio la strada e le insidie della montagna.


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