Tra CIG e articolo 18: fatti, non parole - di Riccardo Chiari

“Non scioperiamo per il gusto di farlo”. Lo ripete sempre Susanna Camusso, mentre passa da una fabbrica in crisi all’altra, parlando agli operai ai cancelli di stabilimenti semichiusi, abbandonati dagli industriali italiani o dalla multinazionale di turno. La necessità dello sciopero generale, messo in agenda da una Cgil che in parallelo chiama il governo a dare risposte, sta nella realistica radiografia fatta dalla segretaria generale in San Giovanni. Un paese con un quadro imprenditoriale disastroso. Con una disoccupazione giovanile altissima e con un tasso generale che, nonostante un lieve aumento degli occupati (82mila), a settembre è risalito al 12,6%. Sono dati dell’Istat, pronta anche a segnalare che oggi le persone in cerca di lavoro sono 3.236.000, il numero più alto dal 2004.
A fronte di numeri che parlano da sé, c’è l’assenza da parte del governo Renzi di una strategia d’azione che individui le priorità sul duplice binario di un piano di investimenti per far ripartire le produzioni, e di un piano del lavoro - qualificato e tutelato - per i giovani. Del resto cosa aspettarsi da un premier che attacca l’articolo 18 e parla di “un posto fisso che non esiste più”, quando i tempi indeterminati, pieni o parziali, sono 15 milioni? E come giudicare le risibili risposte del governo di fronte alle elaborazioni su dati Inps che raccontano di come a settembre si sia verificata la salita (ennesima) delle ore di cig richieste (104 milioni, +43,86%), con più di un milione di lavoratori in cig nel 2014, di cui più della metà (525.000) a zero ore? “Visti i dati - tira le somme Serena Sorrentino - ci chiediamo come possa il governo stimare in 1,5 miliardi la spesa prevista nella legge di stabilità per finanziare politiche attive e passive, e come si potrà gestire la crisi se con il jobs act, anziché estenderle, si pensa di ridurre coperture di cig e cassa straordinaria”. Fatti, non parole.


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